«Ogni uomo colto segue fatalmente una metafisica» (p. 33). Anzi due – aggiunge qualche riga più in là Bachelard – razionalismo e realismo. È l’incipit de Il nuovo spirito scientifico, giunto alla sua terza edizione italiana a cura di Aurosa Alison per i tipi di Mimesis. Un libro imprescindibile che pone l’accento sull’andamento evolutivo della conoscenza, sul suo inalienabile carattere storico. Come afferma Alison nell’accurata Prefazione «la scienza, così come i risultati che ne conseguono, non può essere concepita come un unico blocco ma come un continuo sviluppo rivoluzionario» (p. 16). Seguendo il gioco dialettico bachelardiano sarà allora possibile mostrare l’essenziale novità del pensiero scientifico contemporaneo: è questo, in fondo, il principale motore dell’epistemologia storica. Tesa, altresì, a rimodulare i rapporti costantemente cangianti tra scienza e filosofia. Una filosofia, quella della scienza, che non può restare nei perimetri angusti della teoresi, ma che si fa subito applicativa. La ritmica tra scienza e filosofia consente a Bachelard di individuare un preciso vettore epistemologico: «la scienza va dal razionale al reale e niente affatto inversamente, dalla realtà al generale, come professavano tutti i filosofi, da Aristotele a Bacone» (p. 35). In tal senso la scienza è deduttiva e non già induttiva o, meglio, predittiva. Tale predizione non è mai costituita a partire da una conoscenza meramente soggettiva, la sua natura verificazionale si esprime nel passaggio dal soggetto al progetto, ossia la conoscenza scientifica si determina come parte integrante di un progetto, «la meditazione dell’oggetto attraverso il soggetto assume sempre, nel pensiero scientifico, la forma del progetto» (p. 40). La scienza è il realizzarsi del razionale e, in particolare, del razionale nell’esperienza fisica. Specularmente «l’esperienza fisica è in tal modo una ragione confermata […], un ritorno del normativo nell’esperienza» (p. 36). Bachelard dipana il dichiarato intento dell’opera – «afferrare il pensiero scientifico contemporaneo nella sua dialettica e mostrarne così l’essenziale novità» (p. 41) – attraverso vari argomenti. La geometria non euclidea (I), la meccanica non-newtoniana (II), il rapporto fra materia e irradiazione (III), il rapporto fra i corpuscoli e le onde (IV), determinismo e indeterminismo nella scienza (V) e, infine, un’epistemologia non cartesiana (VI) che è precisamente quella che incarna la novità dello spirito scientifico contemporaneo. In fondo il testo di Bachelard è un impeccabile elogio del probabile, del mutamento, dell’errore, quali viatici della riforma della nostra conoscenza usuale. Bachelard inizia subito col riconoscere che la geometria non-euclidea non è fatta per contraddire la geometria di Euclide, «ma costituisce piuttosto una specie di fattore aggiunto che permette la totalizzazione, il completamento del pensiero geometrico, l’assorbimento in una pangeometria» (p. 37). La concezione dello spazio muta in rapporto alle nuove teorie fisiche e all’emersione del problema epistemologico. I concetti di misura occupano un posto di primo piano in cui la veridicità della dimensione geometrica dipende da fattori matematici. Il filosofo francese viene assorbito dalle considerazioni metafisiche e psicologiche introdotte dalla geometria non-euclidea, e così inizia a orientare la sua predisposizione per le geometrie razionali verso una geometria che implica l’uso di una quarta dimensione, ossia una geometria che chiama in causa la nostra presenza nello spazio. È in particolare il riferimento alle teorie einsteiniane e newtoniane a rivelare la differenza sostanziale tra vecchio e nuovo spirito scientifico: «vivevamo nel mondo newtoniano come in una dimora spaziosa e chiara. Il pensiero newtoniano era a prima vista un tipo meravigliosamente chiaro di pensiero chiuso; non era possibile uscirne senza rottura» (p. 61). Il passaggio dalla dimora chiara e spaziosa all’universo incerto e ricco di ombre della scienza contemporanea passa per la consapevolezza che alcune nozioni geometriche, come quella di posizione o di simultaneità, devono essere colte in una composizione sperimentale. Il mondo, più che la nostra costituzione o rappresentazione, diviene la nostra verifica. Occorre abbandonare il realismo elementare, che è percepito da Bachelard come un errore. Nessuna qualità individuale va inscritta negli elementi, che saranno piuttosto definiti come parti integranti di un insieme, di una struttura. La dialettica tra determinismo e indeterminismo – affrontata in particolare nel V capitolo, ma che soggiace all’intero testo – è senz’altro quella che meglio illustra l’epistemologia bachelardiana. Ripercorrere la storia del determinismo significa elaborare una filosofia del cielo stellato, scrutare la profondità dei cieli, giacché «se vi sia qualche cosa di fatale nella nostra vita, quest’è, prima di tutto, una stella che ci domini e ci trascini» (p. 99). «Seguendo l’astronomia fino al secolo scorso – sostiene Bachelard – possiamo renderci conto del doppio senso implicito nel determinismo, preso ora come carattere fondamentale del fenomeno, ora come forma a priori della conoscenza oggettiva» (p. 100), e tutte le confusioni nelle discussioni filosofiche posso essere fatte risalire al «passaggio surrettizio dall’uno all’altro senso» (ibid.). È probabilmente dovuta a quest’origine astronomica l’incapacità dei filosofi rispetto ai problemi riguardanti le perturbazioni, gli errori, le incertezze. Il filosofo, sovrastato dal determinismo, occulta l’errore e mal si orienta nell’indeterminismo della scienza e nella fenomenologia probabilistica auspicata da Bachelard. Perché in fondo «il sentimento del determinato è il sentimento dell’ordine fondamentale, il riposo della mente dato dalle simmetrie, la sicurezza dei legami matematici» (p. 101). E allora il vecchio spirito scientifico consisterà prevalentemente nei timori e nelle accortezze, nelle precauzioni prese affinché il fenomeno già conosciuto e definito si riproduca senza eccessive deformazioni. Ma probabilità e ignoranza non sono sinonimi, come non lo sono possibilità e contingenza. Bachelard ricorda le parole acute di Margenau secondo cui «vi è una grande differenza tra queste due espressioni: un elettrone si trova in un certo punto dello spazio, ma non so dove, non posso saperlo; e il dire: ogni punto è un posto ugualmente probabile per l’elettrone. L’ultima affermazione, infatti, contiene anche l’assicurazione che, se io eseguo un grandissimo numero di osservazioni, i risultati saranno regolarmente distribuiti in tutto lo spazio» (pp. 110-111). Cosa che fa emergere un sincero carattere positivo della conoscenza probabile. Insomma il principio di indeterminazione di Heisenberg rappresenta un vero e proprio smacco per l’io legislatore kantiano: se con p indichiamo la posizione dell’elettrone e con q la sua velocità, ne consegue che a) non è possibile stabilire con precisione l’una e l’altra contemporaneamente; b) p e q si compensano, cioè più informazioni si desiderano su una delle due, più se ne perdono sull’altra e viceversa. Vi è perciò «un’interferenza essenziale tra il metodo e l’oggetto» (p. 114) e, in secondo luogo, una limitazione delle attribuzioni realistiche. Vale a dire che le parole posizione e velocità non avranno un significato universale, non esisteranno come qualità prime, ma solo come qualità seconde, «poiché ogni qualità è solidale con una relazione» (p. 116). Infine è il tempo che fa le cose, nel nuovo spirito scientifico è il tempo a incaricarsi di realizzare il soltanto probabile, di renderlo effettivo. Si passa così da una legge statica, dove le possibilità si addizionano istante dopo istante, a una legge dello sviluppo temporale. «In tal modo, la realtà, coadiuvata dalla durata, finisce sempre con l’incorporare il probabile nell’essere» (p. 111). L’elogio del probabile è compiuto.
Alessandra Scotti
S&F_n. 21_2019