Natura, tecnica, libertà. Ancora su Jürgen Habermas e Nicholas Agar

Autore


Alessandro Borghesi

Università di Perugia

Dottore di Ricerca in Filosofia e assegnista post-doc


  1. La terza via tra bioconservatori e bioliberali
  2. La dialettica polare tra natura e tecnica in Habermas
  3. Progressismo tecnico e pessimismo moderato in Nicholas Agar

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S&F_n. 33_2025

Abstract


Nature, technique, freedom. More on Jürgen Habermas and Nicholas Agar

The essay traces the long-distance confrontation between Jürgen Habermas and Nicholas Agar on the limits of eugenics in relation to the conservation or transformation of “human nature”. Halfway between bioconservatives and bioliberals, Habermas and Agar indicate a compromise solution between nature and technology according to which interventions on the human genome must not lead to "transhumanism". Agar is more flexible, Habermas is more radical in his no to genetic manipulation, both raise a series of problems, of an ethical-political-psychological nature, which question the doctrine of enhancement.

 

  1. La terza via tra bioconservatori e bioliberali

Negli ultimi decenni il pensiero bioetico è stato contrassegnato da un confronto serrato sul rapporto tra natura, tecnica, e libertà. Un tema ampio che vede, al suo interno, il dibattito eugenetico diviso tra bioliberali e bioconservatori, i primi favorevoli all’eugenetica positiva e al potenziamento (Enhancement) umano, i secondi contrari. I bioliberali, rappresentati, tra altri, da Peter Sloterdijk, Nick Bostrom, Robert Nozick, Richard Dworkin, condividono un orientamento libertario, liberal[1], sulla base di un’eugenetica migliorativa secondo un modello di «futurismo naturalistico» che «punta all’autottimizzazione tecnica dell’uomo»[2]. Un testo chiave, rappresentativo di questa posizione, è From chance to choice curato nel 2000 da Allen Buchanan, Normann Daniels, Dan W. Brock e Daniel Wikler[3].

Agli orientamenti indicati si oppongono i bioconservatori, promotori di una visione essenzialista della natura umana sul modello del fissismo biologico[4]. Tra essi troviamo il Francis Fukuyama di Our Posthuman Future, testo edito nel 2002[5], Leon Kaas, Michael Sandel. Critici verso le possibilità aperte da un’eugenetica “liberale” i bioconservatori si oppongono alla modifica del patrimonio genetico umano. In questo dibattito, tra trans-umanisti e bioconservatori, emergono per il loro interesse le posizioni di Jürgen Habermas e di Nicholas Agar[6].

Nel 2001 Jürgen Habermas pubblica Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf dem Weg zu einer liberalen Eugenik? Il testo affronta criticamente le due posizioni, quella evolutiva e quella fissista, senza optare per l’una o per l’altra anche se risulta essere più vicino alla posizione dei bioconservatori. Luisa Battaglia definisce Habermas come un rappresentante della terza via tra primitivismo biologico e prometeismo tecnologico[7]. Egli non condivide l’assunto fissista e sacralizzante della natura umana dei bioconservatori ma non ammette neanche la posizione dei trans-umanisti[8]. Contro i bioconservatori Habermas apre alla possibilità di modifiche genetiche da parte della tecnologia a scopi terapeutici, contro i bioliberali non ammette il potenziamento trans-umano e la riduzione mercificante dell’uomo alla logica del mercato e della tecnologia. Il suo è un modello dialettico, polare, tra natura e cultura che il pensatore tedesco cerca di sviluppare tenendo insieme la condizione naturale e la libertà morale del soggetto moderno. Nel Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale l’avversario è il post-umanesimo. Habermas non ritiene che Fukuyama e i bioconservatori rappresentino una minaccia perché condivide con loro lo stesso modello di filosofia della storia di matrice kantiana e hegeliana. La Modernità è l’età della razionalità e della libertà del soggetto, descritta in Der philosophische Diskurs der Moderne, un’eredità che deve essere conservata e riaffermata come progetto ideale incompiuto[9]. Agli occhi di Habermas il nuovo progressismo neo-illuminista, sostenuto da Nick Bostrom, basato sull’idea di una post-umanità, rappresenta una fase involutiva del progetto moderno. La fabbricazione della specie mediante interventi tecnologici invasivi, come nel caso di una ipotetica clonazione, causerebbe la progressiva erosione dei presupposti che sono alla base della morale moderna. Essa inciderebbe «su un presupposto naturale per la coscienza della persona interessata che voglia agire in maniera autonoma e responsabile»[10]. Solo custodendo le basi naturali del soggetto diviene possibile conservare le conquiste della modernità ed evitare una nuova dialettica dell’illuminismo.

Rivalutando la condizione naturale come condizione trascendentale della libertà e della cultura moderna, Habermas modifica, in parte, il suo kantismo precedente. La nuova prospettiva è animata da una dialettica polare basata su un «naturalismo debole» che accetta il modello darwinista della natura e le scoperte scientifiche, ma senza che esse possano minare la libertà della persona[11].

Il modello, non consueto, ha suscitato, come era logico attendersi, numerose critiche da parte degli esponenti dell’eugenetica liberale. Una critica peculiare gli è venuta da uno studioso non propriamente bioliberale: Nicholas Agar, professore di etica presso la Victoria University di Wellington, e di Filosofia presso l’Università di Waikato, a Hamilton in Nuova Zelanda, tra i massimi esperti nel campo dell’Enhancement[12].

Secondo Agar, Habermas è promotore di una visione inficiata da un determinismo biologico eccessivo al quale l’autore contrappone una prospettiva interazionista basata su un rapporto meno diretto della natura sulla cultura. Ai suoi occhi l’essere umano, anche se modificato, ha ancora la capacità di rigettare le predisposizioni genetiche volute da quei genitori che confidano nella possibilità, offerta dalla scienza, di modificare il progetto genetico di vita per i loro figli. La dialettica polare tra natura e cultura in Agar, a differenza di Habermas, è bi-direzionale nel senso causale e attivo. Quella sviluppata da Habermas tende a conservare la condizione naturale, avendo difficoltà nel discernere tra terapia e potenziamento, quella di Agar risulta più favorevole a un’eugenetica positiva avendo, però, difficoltà nel distinguere nettamente tra potenziamento lento e potenziamento radicale. La tensione tra natura e libertà varia, tuttavia, significativamente nella stessa riflessione di Agar. In Liberal Eugenics. In defence of human enhancement, del 2004, il peso cade sul polo della libertà tecnologica rispetto a quello naturale, mentre a partire dal 2010, in Humanity’s End. Why should reject radical enhancement e nel 2014 in Truly human enhancement. A philosophical defense of limits, la scelta si orienta in favore della natura e della condizione umana[13]. Si tratta di un cambiamento che lo conduce da un «ottimismo tecnologico»[14] a un pessimismo guidato da una «prudential rationality»[15]. La svolta dipende da un pericolo precedentemente sottovalutato, quello rappresentato dalle correnti transumanistiche.

Per controbilanciarlo Agar intende conservare una tensione aperta tra natura e libertà sulla base di un potenziamento limitato fatto di gradi e secondo una scala d’intensità.

 

  1. La dialettica polare tra natura e tecnica in Habermas

Le tesi di Habermas nel Il futuro della natura umana. I rischi della genetica liberale sono strutturate sulla base di tre argomenti: l’argomento dell’alienazione, del consenso e della strumentalizzazione del genere umano.

Secondo Habermas il sé moderno nell’età post-secolare dispone di sé stesso e pianifica il suo progetto di vita al di là di ogni prospettiva normativa ed essenzialista. Le frontiere aperte dalla bioingegneria e dagli interventi genetici sulla vita prenatale hanno posto fine al limite tra essere un organismo naturale, condizione data e necessaria, e disporre di un corpo, condizione affidata alla libertà. L’autodeterminazione moderna ha dato per scontato l’indisponibilità del suo organismo. Una condizione che, a seguito dei risultati delle biotecnologie, perde la sua immutabilità. «A partire dal momento in cui viene padroneggiata questa contingenza esce dall’ombra e sembra diventare una condizione indispensabile al poter essere sé stessi e alla natura fondamentalmente egualitaria della nostre relazioni interpersonali»[16]. I genitori e gli scienziati potrebbero in un futuro non troppo lontano prendere decisioni che impatterebbero sul patrimonio genetico dei loro figli e su quello delle generazioni future. Avremmo, in tal caso, un intervento invasivo sulla persona che «continuerebbe a dipendere ciecamente dall’irreversibile decisione di un’altra persona»[17]. Dalla libertà del consumatore si passerebbe, secondo un’eterogenesi dei fini, a una nuova forma di subordinazione e di schiavitù: «Infatti il giorno in cui gli adulti potessero considerare come producibili e modellabili il corredo genetico dei loro figli, e dunque progettare a piacimento un “design” accettabile, essi verrebbero con ciò stesso a esercitare, sui loro prodotti geneticamente manipolabili, un potere di disposizione»[18]. Il giovane con un patrimonio manipolato dai suoi genitori, una volta diventato uomo, diventerebbe consapevole che il proprio corpo, le inclinazioni morali e le sue potenzialità cognitive sono state predisposte e prodotte da altri: «A questo punto, la prospettiva del partecipante che caratterizza la “vita vissuta” entra in collisione con la prospettiva oggettivante di produttori e sperimentatori»[19]. Il bambino sarebbe investito da aspettative familiari, dalla società di mercato e dallo Stato, scatenando possibili e probabili richieste di risarcimento e di risentimento causate da una nuova forma di alienazione[20]. I figli progettati potrebbero rifiutare i “doni” dati con richieste di risarcimento e azioni collettive. Secondo Habermas si tratterebbe di una magra consolazione dato che gli interventi di modificazione genetica, fatti a suo tempo, sarebbero comunque irreversibili e immodificabili. Solo garantendo l’origine della vita secondo un «cominciamento indisponibile», ovvero partendo da una nascita che sia ”casuale” e “spontanea”, si potrà tutelare la contingenza della condizione umana, il suo essere una nuova storia di vita nel mondo[21]. Siamo di fronte a un diritto al “caso” che deve, però, essere bilanciato dal diritto a una vita sana priva di malattie genetiche gravi dal momento che tali interventi conservativi rientrano nella medicina preventiva e nella cura.

Una seconda tesi di Habermas, diretta conseguenza di quella sull’autonomia, è l’argomento del consenso. Secondo l’autore è necessario approcciarsi al mondo della vita umana presupponendo un atteggiamento e uno sguardo adatti all’oggetto esaminato. Ora ci sono due punti di vista che possiamo assumere rispetto alla vita: quello oggettivo della scienza e quello della libertà del partecipante. Se assumiamo il primo atteggiamento come l’unico possibile allora lo sperimentatore si porrà nei confronti dell’embrione come farebbe un “designer” e un allevatore di animali: «I genitori senza presupporre nessun consenso hanno semplicemente deciso in base alle loro preferenze, come se potessero arbitrariamente disporre di una cosa»[22]. Al contrario l’atteggiamento del partecipante considererebbe quell’embrione non come una cosa ma come una possibile persona futura. Una persona a cui è necessario chiedere il consenso per gli interventi che subirà: «dal momento però che quella “cosa” diventa “persona”, ecco che l’intervento egocentrico acquista il senso di un agire comunicativo che “potrebbe” avere conseguenze esistenziali per il giovane in crescita»[23]. La prospettiva del partecipante trasforma l’agire strumentale ed egocentrico del medico in un agire comunicativo. Le due prospettive in Habermas non sono opposte ma coinvolte in una tensione dialettica: il mondo della vita dei parlanti e il mondo della tecnica devono porsi in un dialogo reciproco limitandosi l’uno con l’altro. Se nella prospettiva tecnicista a dominare è la manipolazione egocentrica, nella prospettiva partecipante a dominare è la relazione tra la futura persona e il medico. Nell’orizzonte del partecipante il genetista e il medico si relazionerebbero a una controparte virtuale e, di fronte a possibili modificazioni sull’embrione, sarebbero chiamati a rispondere al suo consenso come se ci fosse una persona di fronte a loro.

Secondo Habermas dal momento che nessuno di noi è in grado di prevedere il futuro né possiede una tavola oggettiva dei valori con la quale indicare con certezza la migliore dotazione genetica non è possibile offrire con certezza una risposta su quali interventi migliorativi compiere. La liceità degli interventi proposti dovrebbe limitarsi a interventi terapeutici “curativi”, non migliorativi, evitando conseguenze alienanti sulla futura persona. Gli interventi eugenetici curativi, dettati secondo il modello dell’eugenetica negativa, sarebbero probabilmente consentiti dal soggetto interessato in quanto limitati alla cura di gravi patologie e alla conservazione della vita. I rischi di un intervento genetico sarebbero compensati e accettati dal soggetto malato; al contrario in un soggetto sano non sarebbero compensati in alcun modo.

Per tracciare tali confini disponiamo però di un’idea regolativa che fornisce un criterio bisognoso di interpretazione epperò in linea di principio incontestabile: tutti gli interventi terapeutici, anche quelli prenatali, devono essere fatti dipendere dal consenso dei possibili interessati (un consenso da presupporsi quanto meno in via controfattuale). […] Questa anticipazione del consenso è giustificabile soltanto nei casi di una sofferenza certamente prevedibile e indubitabilmente estrema. Solo quando si tratta di evitare mali estremi noi possiamo attenderci un ampio consenso in quegli orientamenti di valore solitamente caratterizzati da divergenze profonde[24].

 

Ogni comunità politica, composta sia dai soggetti parlanti che da quelli futuri, sarà chiamata a dover specificare cosa intende per salute e per malattia ricercando il maggior consenso possibile dato dalla discussione pubblica democratica: «La pubblica discussione dei cittadini circa l’ammissibilità di procedimenti di eugenetica negativa è destinata a riaccendersi ogni volta che il legislatore inserirà una nuova fattispecie nella lista delle malattie ereditarie che autorizzano l’intervento»[25]. Una discussione difficile e complessa ma che una società democratica deve e può affrontare, stabilendo gli interventi conservativi necessari contro malattie ereditarie e genetiche ritenute intollerabili.

Se a prevalere nel dibattito politico e filosofico fosse la logica strumentale e di mercato ciò, secondo Habermas, avrebbe gravi conseguenze sull’etica del genere umano, sull’autocomprensione del sé e sulla democrazia-liberale. I genitori, in quanto “fabbricatori” delle nuove generazioni, provocherebbero un cambiamento del «nostro modo di vedere la morale»[26] e della «forma grammaticale dell’intero “gioco linguistico” della nostra morale»[27]. Gli interventi tecnici, definitivi e asimmetrici, determinerebbero lo sconvolgimento del contesto di vita su cui la democrazia è basata, causando una strumentalizzazione del genere umano e la fine della «figura moderna dell’universalismo egualitario»[28]. L’individuo si troverebbe privato della sua condizione di soggetto libero ed eguale. Avremmo un’asimmetria irreversibile subita dalle nuove generazioni da parte delle vecchie che modificherebbe la nostra visione etica di genere, distruggendo la visione morale dell’autonomia moderna. Una trasformazione capace di porre fine non solo alla democrazia liberale, per il prevalere del polo della libertà su quello dell’eguaglianza, ma anche della nostra appartenenza alla comunità umana contrassegnata dalla divisione tra superuomini potenziati e uomini non potenziati. In prospettiva: tra razze superiori e razze inferiori. A questo proposito Habermas cita un testo di Allen Buchanan contenuto in From Chance to Choice: «Non siamo più obbligati a pensare che debba esserci un solo successore per ciò che consideravamo essere la natura umana. Dobbiamo ammettere la possibilità che, a partire da un certo momento del futuro, diversi gruppi di esseri umano possano seguire, usando l’ingegneria genetica, strade evolutive divergenti»[29].

 

  1. Progressismo tecnico e pessimismo moderato in Nicholas Agar

Nel 2004 Nicholas Agar pubblica Liberal Eugenics. Defence of human che colloca l’autore all’interno del mondo liberale favorevole all’eugenetica positiva e del potenziamento. Agar è abbastanza lucido nel comprendere come la posizione dell’eugenetica liberista di Nozick tuteli la diversità e rispetti il pluralismo delle scelte riproduttive, ma previlegi eccessivamente valori di potenziamento competitivi e di mercato. Occorre un intervento regolatore del mercato da parte dello Stato. Nel testo i suoi principali avversari restano i bioconservatori. Tra essi, oltre a Fukuyama, Agar ricomprende anche Habermas accusato di essere un determinista genetico: «la netta distinzione di Habermas tra influenze ambientali genetiche, tuttavia, non corrisponde alla realtà dello sviluppo umano»[30]. Rispetto a Habermas l’autore è persuaso che il soggetto modificato non subisca passivamente i cambiamenti naturali irreversibili ma sia capace di rifiutarli e di orientare il proprio progetto di vita autonomamente: «un’ampia varietà di fattori ambientali si combinano con le predisposizioni genetiche…»[31]. L’educazione e gli interventi genetici sono elementi che performano l’agire umano ma non lo determinano completamente secondo una logica alienante. Il testo di Agar, del 2004, pur auspicando il potenziamento evidenziava le problematiche morali e utilitaristiche causate dall’insostenibile rapporto tra costi e benefici già descritto da Habermas. Un soggetto minacciato a causa di una malattia genetica sarebbe disposto a correre i rischi di una manipolazione del suo patrimonio genetico, al contrario per un soggetto sano questo rischio non sarebbe sostenibile né moralmente né utilitaristicamente. Perché affrontare i rischi della sperimentazione se si è in possesso di una vita sana? Lo stesso Agar ammette che essere favorevoli al potenziamento genetico significa accettare il sacrificio del progresso, cioè utilizzare delle cavie umane a favore di un «ottimismo pragmatico sulla clonazione, la genomica e l’ingegneria genetica»[32]. Personalmente è convinto «che i biotecnologi tra qualche secolo futuro svilupperanno tecniche in grado di potenziare gli attributi umani in modo sicuro»[33].

Nei suoi lavori successivi Agar dimostrerà, però, un ottimismo meno marcato. Un pessimismo velato segna il testo del 2010 Humanity’s End. Why should reject radical enhancement e quello del 2014 Truly human enhancement. In questi lavori la prospettiva di Agar diventa più drammatica e questo lo porta a rivalutare un modello di ragione prudenziale opposta a quella strumentale[34]. Pur restando critico verso l’assoluta impossibilità di intervento migliorativo, portato avanti dai bioconservatori, il pensiero di Agar cambia di prospettiva: «Le intuizioni di Fukuyama e di McKibben, tuttavia, si orientano verso qualcosa di sufficientemente buono da giustificare il rifiuto di un potenziamento radicale»[35]. Suoi avversari sono ora Nick Bostrom e il post-umanesimo. L’accusa che Bostrom muove ai bioconservatori è di proiettare psicologicamente lo status quo della condizione umana come valore. Agar offre una lunga elaborazione dialettica e critica nella quale rovescia l’accusa di Bostrom osservando che la visione dei trans-umanisti sul futuro uomo è inficiata da una proiezione psicologica basata su una ricostruzione mitica del post umano, definita come focalismo. Per affrontare adeguatamente Bostrom, Agar riattualizza ed estende le critiche elaborate da Habermas contro l’eugenetica liberale rivalutando sia la dialettica polare tra condizione naturale e libertà sia la prospettiva del partecipante e dei suoi valori contro quella oggettificante e strumentale. Agar definisce la natura umana servendosi della definizione di homo sapiens data dal biologo E. Mayr: «un gruppo di popolazione i cui membri sono in grado d’incrociarsi con successo e sono riproduttivamente isolati da altri gruppi[36]». L’appartenenza a una specie biologica è la condizione trascendentale della soggettività, ciò da cui: «dipendono valori importanti. L’accesso a questi valori sarà eroso nella misura in cui il potenziamento radicale ci isolerà dal resto della specie umana»[37]. Analogamente a Habermas, Agar ammette che la condizione biologica umana è condizione del fiorire di esperienze, limiti e relazioni di comunanza tra gli esseri umani[38]. La critica al determinismo biologico di Habermas è abbandonata. Il cambiamento radicale voluto dai trans-umanisti è una minaccia in quanto: «altera lo stato delle caratteristiche mentali o fisiche di un individuo in un modo da provocare e giustificare un cambiamento significativo nel mondo in cui quell’individuo valuta un’ampia gamma di esperienze, convinzioni o risultati»[39]. Ogni specie biologica, secondo Agar, ha una specifica condizione naturale biologica che genera una peculiare condivisione culturale e morale. Il salto qualitativo generato da una modifica radicale del nostro patrimonio genetico determinerebbe necessariamente la fine della specie umana e la creazione di un’altra specie con valori, esperienze e visioni del mondo diverse. Tali cambiamenti sarebbero di fatto irreversibili causando una nuova forma di alienazione[40]. Il tema dell’alienazione subita dal soggetto modificato, descritta da Habermas, viene, in tal modo, ripensata e approfondita da Agar. I potenziamenti causerebbero una rottura generazionale tra genitori e figli, incapaci di poter comunicare emotivamente e psicologicamente. Essi inciderebbero anche dentro l’identità del soggetto stesso[41]. Una dei casi più evidenti di alienazione del soggetto è quella che investirebbe la memoria. L’io modificato e potenziato sarebbe diviso tra un io passato con esperienze, ricordi e incontri passati legati alla precedente condizione umana, e un nuovo io futuro che considererebbe quello precedente come un falso io da rigettare e superare. Agar sviluppa ragionamenti analoghi sulle conseguenze di un allungamento indefinito della vita e sulle capacità cognitive e morali, dimostrando come la prospettiva di Bostrom implichi un’accettazione fideistica e ottimistica dei miglioramenti. In sede etica Agar osserva come la dottrina del potenziamento implichi un dualismo morale tra le due specie, la vecchia e la nuova, la prima fondata su valori egualitari, la seconda su valori selettivi. Allo stesso modo il miglioramento cognitivo causerebbe la crisi delle nostre teorie scientifiche sostituite da altre più complesse. In conclusione, per Agar la trasformazione dell’uomo contemporaneo in un essere “post-umano” non può non implicare l’abbandono del mondo della vita conosciuto fino a oggi.

Per descrivere questa metamorfosi Agar si serve dell’immagine della crescita che l’essere umano vive quando da bambino diventa un adulto. Nel caso del post-umanesimo le fasi non sarebbero più due ma tre: bambino, adulto e post-umano. L’uomo raggiungendo la sua fase adulta vive una fase di stabilizzazione indispensabile per realizzare i suoi progetti di vita, impegnandosi e lottando per ottenerli. La prospettiva di un ulteriore cambiamento stravolgerebbe ogni cosa causando un’alienazione nel soggetto in quanto: «minaccia di banalizzare questi piani»[42]. Alla base di tale modello evolutivo di trasformazione radicale si cela per Agar un modello di ragione strumentale[43]. Come Habermas, Agar contrappone a esso un modello di razionalità prudenziale secondo il quale l’essere umano vive sempre in una tensione dialettica tra limiti e parziali superamenti. Sulla base di questa etica del limite egli apre alla possibilità di miglioramenti parziali ma sempre nell’orizzonte umano, non specificando mai adeguatamente il confine tra questi e quelli radicali[44]. È necessario gestire questo passaggio lento dall’umano al post-umano, cercando di conservare quanto è possibile e di lasciare andare quanto non possiamo conservare. Agar accetta, quindi, la visione prudenziale e critica di Habermas ma la stempera dentro un quadro evolutivo che non rinuncia a un ottimismo di fondo.

La dialettica polare tra natura e libertà rappresenta solo una fase momentanea del suo pensiero, destinata a risolversi a favore di una eugenetica governata dalla logica tecnico-scientifica. La prospettiva indicata dal partecipante viene con ciò relativizzata a partire da possibili realizzazioni future, transumane. Se la dialettica di Habermas concludeva nella custodia della specie senza con ciò escludere la prospettiva tecnica, la dialettica di Agar si spinge oltre, non disdegnando un quadro evolutivo consentito dalle biotecnologie. Per un verso, egli resta il nostalgico che ama la condizione umana con i suoi limiti e valori, per un altro, è pronto ad accettarne la fine in vista del progresso.

L’opposizione al potenziamento radicale difesa in questo libro non dipende dall’assurda concezione che la specie umana durerà per sempre. Alla fine, se una catastrofe globale o galattica non ci lascerà completamente senza discendenti, ci evolveremo in esseri che non sono propriamente considerati umani. […] Ma questo futuro non umano dovrebbe essere idealmente lontano. I nostri valori umani ci spingono a mantenere la nostra umanità nei prossimi secoli piuttosto che diventare Eloi, Morlock, postumani o cyborg. Dovremo affrontare l’apparente inevitabilità della fine della nostra specie come affrontiamo la prospettiva della fine della nostra fine personale[45].

 


[1] P. Sloterdijk, Regole per il parco umano. Una replica alla lettera di Heidegger sull’umanesimo (1999), in «Aut-Aut», 301-302, 2001, pp. 120-139; N. Bostrom, In defense of Posthuman dignity, in «Bioethics», vol. 19, III, 2005, pp. 202-214; J. Savulescu-N. Bostrom, Human enhancement, Oxford University Press, Oxford 2011; R. Nozick, Anarchia, stato e individuo (1974), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2024; R. Dworkin, Sovereign and Virtue. The Theory and Practice of Equality, Harvard University Press, Cambridge 2000.

[2] J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale (2001), tr. it. Einaudi, Torino 2002, p. 92. Nel corso degli anni il dibattito, oltre a focalizzarsi sul rapporto tra la natura e la libertà, si è concentrato sulla distribuzione dei potenziamenti. Le posizioni si dividono tra: egualitaristi, liberisti, liberali favorevoli a interventi statali nella distribuzione. Sull’argomento si cfr., M. Walzer, Spheres of Justice, Harper Collins, New York 1983; P. Singer, Shopping at the genetic supermarket, in «The Ethics of Inheritable Genetic Modification: A Dividing Life?», Cambridge University Press, 2006, pp. 13-22; I. Persson- J. Savulescu, Inadatti al futuro. L’esigenza di un potenziamento morale (2004), tr. it. Rosenberg & Sellier, Torino 2019; C. Devandas, Rights of persons with disabilities: Report of the Special Rapporteur on the rights of persons with disabilities, General Assembly, 2020; D. Miyasaki, A Nietzschean critique of liberal eugenics, in «Journal of Medical Ethics», 2021, pp. 1-8; K. P. Harden, The genetic lottery. Why Dna matters fors social equality, Princeton University Press, Princeton 2022.

[3] A. Buchanan-N. Daniels-Dan W. Brock-D.Wickler, From Chance to Choice. Genetic and Justice, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 2000.

[4] Cfr. G. Kahane – J. Pugh – J. Savulesku, Bioconservatism, Partiality, and the Human-Nature Objection to Enhancement, in «The Monist», 4(2016), pp. 406-422; V. Suuronen, What is Bioconservatism? Arendt, Habermas, and Fukuyama, in «The European Legacy. Toward New Paradigms», 30, 2025, Taylor & Francis 1996, pp. 1-23.

[5] F. Fukuyama, L’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica (2002), tr. it. Mondadori, Milano 2002; L.R. Kass, Life, Liberty and the Defense of Dignity, Encounter Books, San Francisco 2001. Per la posizione di M. J. Sandel si cfr. i saggi pubblicati in https://scholar.harvard.edu/sandel/categories/bioethics.

[6] Sul confronto tra i due autori, unitamente al pensiero di Allen Buchanan, Normann Daniels, Dan W. Brock e Daniel Wikler, si cfr. G. Attademo, Autocomprensione, giustizia, dignità. Elementi del dibattito etico-filosofico intorno agli interventi genetici sull’uomo, Orthotes, Salerno 2023.

[7] L. Battaglia, Quale etica per l’ingegneria genetica? Il contributo di Jürgen Habermas ad una bioetica liberale, in M. Gensabella Furnari (a cura di), Le sfide della genetica: conoscere, prevenire, curare, modificare, Soveria Mannelli, Rubbettino 2006, pp. 123-141. Sulla concezione bioetica di Habermas si cfr. M. Rosati, Poter-essere-sé-stessi e essere soggetti morali: J. Habermas tra Kierkegaard e Kant, «Rassegna italiana di sociologia», 44, 4, 2003, pp. 493–514; G. Micheletti, Recensione a Jurgen Habermas, Il futuro della natura umana, in «Dialeghestai. Rivista di filosofia»,2003 (https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/gustavo-micheletti-02); E. Mendieta, Habermas on Human Cloning: The Debate on the Future of the Species, «Philosophy & Social Criticism», 30/5-6, 2004, pp. 721-743; C.A. Viano, Antiche ragioni per nuove paure: Habermas e la genetica, «Rivista di filosofia», 95, 2004, pp. 277-296; B. G. Prusak, Rethinking “Liberal Eugenics”: Reflections and Questions on Habermas on Bioethics, in «The Hastings Center Report», 35, 6, 2005, pp. 31-42; G. Preterossi, La mobilitazione normativa della natura umana. Soggettività e artificio giuridico in Habermas, «Filosofia politica», 3, 2009, pp. 381-395; D. Gunson, What Is the Habermasian Perspective in Bioethics?, «Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics», 21/2, 2012, pp. 188-199; N. Morar, An Empirically Informed Critique of Habermas’ Argument from Human Nature, «Science and Engineering Ethics», 21, 2015, pp. 95-113; E. Fischer, The Ethics of Genetic Intervention in Human Embryos: Assessing Jürgen Habermas’s Approach, «Kriterion – Journal of Philosophy», 30, 1, 2016, pp. 79-95; C. Palacios Gonzáles, Ethics of mitochondrial Replacement techniques: a habermasian Perspective, in «Bioethics», 1, 2017, pp. 27-36; A. Wienmeister, Rereading Habermas in Times of CRISPR-cas: A Critique of and an Alternative to the Instrumentalist Interpretation of the Human Nature Argument, in «Bioethical Inquiry», 2022; E. Hockings, What is the Habermasian perspective on new genetic Technologies?, in «Ethical Perspectives», 31, 2, 2024, pp. 75-98 (https://philarchive.org/archive/HOCWIT-3v1).

[8] La dialettica tra natura e libertà è sviluppata da Habermas in “Ich selber bin ja ein Stück Natur” – Adorno über die Naturflochtenheit der Vernunft. Überlegungen zum Verhältnis von Freiheit, Frankfurter Adorno-Konferenz 2003. J. Habermas, Freheit und Determinismus, in «Deutsche Zeitschrift für Philosophie», 6, 2004, pp. 871-890.

[9] J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità. Dodici lezioni (1985), tr. it. Laterza, Bari-Roma 1987.       

[10] J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, cit., p. 80.

[11] Ibid., p. 92.

[12] Per l’elenco delle pubblicazioni di Nicholas Agar si cfr. i siti https://philpeople.org/profiles/nicholas-agar-1;

https://scholar.google.com/citations?user=pBLQD7cAAAAJ&hl=en; https://researchid.co/nicholasagar.

[13] Cfr. N. Agar, Life intrinsic Value: Science, Ethics, and Nature, Columbia University Press, New York 2001; Id., Perfect Copy: Unravelling the Cloning Debate, Icon Books, London 2002; Id., Liberal Eugenics. In defence of human enhancement, Wiley-Blackwell, Hoboken-New Jersey 2004; Id., Humanity’s End. Why should reject radical enhancement, The MIT Press, Cambridge 2010; Id., Truly human enhancement. A philosophical defense of limits, The MIT Press, Cambridge 2014; Id., The Sceptical Optimist: Why Technology isn’t the answer to everything, OPUP, Oxford 2015; Id., Non essere una macchina. Come restare umani nell’Era digitale (2015), tr. it. Luiss University Press, Roma 2020; Id., Dialogues on Human Enhancement, Foreword by M. Hauskeller, Routledge, London 2023; Id., How to Think about Progress: A Skeptic's Guide to Technology, co-written with Stuart Whatley and Dan Weijers, Springer, New York 2024.

[14] N. Agar, Liberal Eugenics. In defence of human enhancement, cit., p. 20.

[15] N. Agar, Truly human enhancement. A philosophical defense of limits, cit., p. 3.

[16] J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, cit., p. 16.

[17] Ibid., p. 17.

[18] Ibid., p. 16.

[19] Ibid., p. 52.

[20] Su questo si cfr. C. Gyngell-T. Douglas, Stocking the genetic supermarket: reproductive genetic technologies and collective action problems, in «Bioethics», Maggio 2015, pp. 241-250.

[21] J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, cit., p. 59.

[22] Ibid., p. 52.

[23] Ibid., p. 53.

[24] Ibid., pp. 90-91.

[25] Ibid., p. 90.

[26] Ibid., p. 89.

[27] Ibid., p. 25.

[28] Ibid., p. 91.

[29] A. Buchanan-D.W. Brock- N. Daniels-D. Wikler, From chance to choice: genetics and justice, cit., p. 177. Sulla divergenza tra la posizione di Habermas e quella di Buchanan si cfr. G. Attademo, Biotecnologie e natura umana: un rischio per l’autocomprensione del genere o una questione di giustizia?, in «Filosofia e Teologia», XXI, 1, 2007, pp. 100-115. Va osservato come Allen Buchanan, dal canto suo, si opponga all’idea che gli esseri umani possano essere potenziati, sotto il profilo morale, attraverso interventi di natura neurochimica e farmacologica sulla base di una diversa interpretazione di dati provenienti dall’indagine evoluzionistica. (A. Buchanan, The Evolution of Moral Enhancement, in J. Savulescu, A. Clarke (et al.), The Ethics of Human Enhancement. Understanding the Debate, Oxford University Press, Oxford 2016).

[30] N. Agar, Liberal Eugenics. In defence of human enhancement, cit., p. 116.

[31] Ibid., p. 75.

[32] Ibid., p. 158.

[33] Ibid., p. 175.

[34] N. Agar, Truly human enhancement. A philosophical defense of limits, cit., p. 3. Nel suo volume del 2010, Humanity’s End: Why we Should Reject the Radical Enhancement, cit., Agar esamina le proposte di quattro importanti potenziatori radicali: Ray Kurzweil, che sostiene che la tecnologia ci consentirà di sfuggire alla biologia umana; Aubrey de Grey, che chiede terapie anti-invecchiamento che raggiungeranno la “velocità di fuga della longevità”; Nick Bostrom, che difende la moralità e la razionalità del potenziamento; e James Hughes, che immagina una democrazia armoniosa di potenziati e non potenziati. Per Agar queste prospettive ottimistiche non tengono conto dei possibili risvolti negativi che un Enhancement radicale inevitabilmente comporterebbe.

[35] N. Agar, Humanity’s End. Why should reject radical enhancement, cit., p. 181.

[36] E. Mayr, L’evoluzione delle specie animali (1963), tr. it. Einaudi, Torino 1970.

[37] N. Agar, Humanity’s End. Why should reject radical, cit., p. 25

[38] Il valore di questa appartenenza, sul terreno esistenziale, porta l’autore a pronosticare l’importanza di un’economia “sociale” come limite dell’economia “digitale”. Il tema è al centro del volume del 2020, How to be Human in the Digital Economy (cit.). Qui egli «propone una polizza assicurativa nei confronti di un mondo senza lavoro sotto forma dell’ideale dell’economia socio-digitale, ovvero di un’economia sociale affiancata all’economia digitale in cui il lavoro mentale è svolto con la massima efficienza dalle intelligenze artificiali del futuro. Esiste, infatti, una ragione cogente per mantenere gli esseri umani nel mondo del lavoro, e si tratta della nostra preferenza per le interazioni con altri membri del mind club. Per il valore aggiunto da questa comunanza e connessione tra esseri coscienti, siamo disposti a pagare un prezzo in termini di riduzione dell’efficienza. Ha allora senso che in tutte le mansioni in cui le interazioni sociali hanno un’importanza non trascurabile, il valore dell’umanità, e quindi la presenza stessa di esseri umani a svolgerle sia privilegiata rispetto al valore dell’efficienza e la conseguente sostituzione degli esseri umani con macchine digitali», C. Visentin, “Non essere una macchina” di Nicholas Agar, «Pandora Rivista», 2020: https://www.pandorarivista.it/articoli/non-essere-una-macchina-di-nicholas-agar/).

[39] N. Agar, Truly human enhancement. A philosophical defense of limits, cit., pp. 5-6.

[40] Ibid., p. 10.

[41] Ibid., p. 66.

[42] Ibid., p. 79.

[43] Ibid., p. 82.

[44] Ibid., p. 20. Agar definisce questo spazio tra conservazione e potenziamento moderato uno spazio di confine. Uno spazio indefinito che Agar non determina ma di cui si serve per collocarsi tra la terapia dell’eugenetica negativa e il potenziamento radicale dei post-umanisti.

[45] Ibid., p. 198.

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