S&F_scienzaefilosofia.it

MY MOTHER WAS A… CYBORG. TECNOLOGIA E SOGGETTIVITÀ IBRIDE A CONFRONTO

Autore


Ilaria Santoemma

Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

dottoranda di ricerca in Human Rights and Global Politics presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Indice


  1. L’ibrido e la soggettività
  2. Cyborg ovvero Téras
  3. Primo Posthuman
  4. My mother was a computer, but now is Cyborg

 

↓ download pdf

S&F_n. 23_2020

Abstract


My Mother was a… Cyborg. New technologies and Hybrid Subjectivities

This paper starts from the current querelle regarding the ethical and ontological status of techno-assemblages and embodied subjectivities. Critical aspects of New Technologies have been raised in a fertile debate from different perspectives, above all concerning the cutting-edge fields of life sciences and genetics. From this debate emerges how NT potentiality could act as a device to improve, enhance and exploit the embodied subject. Some of these critics lead to a dualistic understanding of the body, conceived as either natural or artificial. To overcome this dichotomy which polarize the debate, the hereby proposed essay assumes the notion of hybrid subjectivity as a category from which a deeper reflection may set off. Aiming at critically recognizing the multiple relations that the contemporary techno-hybrid subject experiences, the paper will examine different shades and declinations of the hybrid subjectivity, following the two categories of “uncanny” and “enhancement”. The argumentative process will therefore present two ongoing research lines addressing the topics of hybrid subjectivity, also known as the Cyborg: Feminist Critical Posthumanism and Transhumanism. It will be considered how these brunches of thought are respectively connected to A)a teratological idea of the Cyborg and B)an enhanced sight of the artificial hybridization and, consequently, how the two have a different conception of the subjectivity and of technology’s ontological status. The thesis is that the resulting difference could inform the debate on NT by considering the latter a contingence and not the only feature of today’s hybrid forms of life.

 

 

 

e il futuro d’un Eva è Ginoide di sé estratto d’una sintesi/ritratto a vita,

a scatti a abissi a scoppi agli urli contenuti da una[1]

Cyborg operato in sembianze per protesi di vita

che di cera fa rigido il finale dell’Eva futura e replicante[2].

 

 

  1. L’ibrido e la soggettività

Come superare la figurazione di Eva Futura[3]? Sebbene la ginoide del romanzo rappresenti un originario tentativo di soggettività ibrida, la sua figura è in realtà un iconico spauracchio per le riflessioni femministe attuali sulla dimensione dell’ibrido e delle nuove tecnologie. Eva Futura è una ginoide, ovvero un essere artificiale – robot – con sembianze di umana. È stata commissionata e assemblata per lo spasmodico desiderio di possesso di un uomo e deve assolvere al compito d’esser bella e prestante. Eva è l’incarnazione dell’incubo soggettivante legato alla matrice del genere che in questo caso prende forma per mezzo di apparati meccatronici e cibernetici. È una replicante: ovvero la replica corpo-reale di una donna, infusa poi di “intelligenza”, quindi sessualizzata, normalizzata e artificialmente prodotta al fine di assolvere desideri prodotti in una struttura culturale densamente sessista e patriarcale. In effetti, Eva Futura proprio in virtù del dualismo strutturale (corpo-mente) mediante il quale è programmata, incarna un po’ il punto di partenza per un’idea antagonista del pensiero dell’ibrido che qui ci accingiamo a presentare.

Le premesse da cui ha origine questo saggio si radicano nel riconoscimento delle potenzialità eversive offerte dalle nuove tecnologie, le quali entrano a scompaginare categorie fissiste e tradizionali modi di soggettivazione dei “corpi docili”, riscrivendo, per esempio, i rigidi binarismi di genere o tracciando una via di uscita rispetto ai riduzionismi ontologici e oppositivi del pensiero moderno. Le nuove tecnologie non sono però in questo senso delle promesse. Negli ultimi decenni abbiamo assistito anche a un progressivo emergere di criticità intorno agli avanzamenti tecnologici, alcune delle quali attecchiscono nel fertile terreno dei progressi delle scienze della vita. Le tecniche dell’IVF, l’ingegneria genetica e in generale le biotecnologie contemporanee, hanno generato un florido dibattito anche all’interno della letteratura critica femminista[4].

  1. Cyborg ovvero Téras

In maniera introduttiva è opportuno interrogarsi su cosa sia in effetti questa soggettività ibrida. Diverse discipline negli ultimi decenni[7] si sono variamente interrogate intorno al superamento del concetto moderno di uomo, oggi messo in crisi, fra le altre cose, dall’ingresso massiccio della mediazione tecnologica, dai progressi bio-scientifici e informatici. L’esito generale di queste discussioni è, pur tra molte differenze, l’idea che il soggetto contemporaneo sia il risultato di un’ibridazione di naturale e artificiale che abita le contraddizioni della realtà globale, accelerata e tecnomediata. Figurativamente ne abbiamo esempi in diversi ambiti della produzione culturale, in quella artistica (dalla bioart, alla performance and body art, ma anche, più genericamente nell’arte contemporanea), nel cinema sci-fi o nelle immaginifiche figure della letteratura: le nuove tecnologie si innestano sui corpi viventi e non solo umani, ridisegnando confini inattesi. Le figurazioni tecno-assemblate e gli anime, come gli innesti fantascientifici, sono modelli di una crasi ai confini fra umano e non umano che ci guidano verso una ra-figurazione dell’ibrido. Queste rappresentazioni, seppur nella loro eterogeneità, viaggiano tutte ai limiti della norma, fanno rivivere un’idea di Golem[8] – essere ibrido artificiale – già cara agli immaginari tradizionali antichi, avendo però a cuore un’aderenza alle attuali possibilità di riconfigurazione dell’umano. È quello che in lingua inglese è conosciuto come uncanny – il perturbante, sconosciuto, mostruoso[9] – il carattere principale di questa produzione e non solo per profetizzare l’“avvento delle nuove tecnologie”. Le figurazioni tecno-ibride portando in vita la zona grigia e perturbante del possibile, dell’in-potentia offrono la visuale di alcuni scenari talvolta temuti, proprio perché dirompenti, ambigui.

Eppure, l’idea di soggettività ibrida all’interno delle riflessioni filosofiche contemporanee, non si arresta alle figurazioni tecno-assemblate. Il Postumanesimo (filosofico, soprattutto) nasce dalla necessità emersa sul finire del XX secolo di ripensare l’idea di uomo attraverso quella di soggettività, la quale sul piano teoretico è caratterizzata, prima e dopo le sue figurazioni immaginarie, dal rifiuto dell’incasellamento categorico del soggetto. Quel soggetto, cioè, caro alla tradizione di pensiero umanistica e in particolare il soggetto moderno della storia del pensiero filosofico, il quale differisce dall’altro da-sé nell’atto riflessivo di negazione dell’altro, del non-io, per un’affermazione razionale e un riconoscimento di sé attraverso l’esclusione. In questo atto dicotomico di differenziazione-mediante-negazione, tutto ciò che non è soggetto assume le fattezze dell’alterità[10] e, potremmo aggiungere con una lettura più contemporanea, di tutto ciò che esula dal dispositivo di normalizzazione di un soggetto neutro. Il soggetto unico di sapere, spesso monolitico, a tratti autoreferenziale e sempre umano, non è il referente unico di questo mondo dell’ibrido; è proprio nello scarto post-umano che nasce l’interesse critico del femminismo postumanista per la soggettività ibrida, quella appunto, uncanny perché differisce dal soggetto unico. È, infatti, molto più per la qualità teratologica dell’indistinzione che un pensiero dell’ibrido come quello postumanista si può situare in opposizione rispetto alla fabbricazione di Eva Futura, tutta tecnica e artificiale.

Il mostro è uno dei fulcri d’interpretazione del perturbante mediante cui si può pensare alla soggettività ibrida. Riprendendo la distinzione di Caronia, il mostro nella sua accezione classica e medievale è infatti un ibrido, «una contaminazione di più corpi esistenti in natura»[11] tant’è che pur destando meraviglia (dal sostantivo greco, téras, l’indefinito) rimane una creatura in qualche modo dotata di una certa dose di datità. Soltanto in un secondo momento l’ibrido-cyborg perde le sue caratteristiche teratologiche per aderire a un concetto più strettamente tecno-mediato e potenziante. L’ibrido mostruoso – che MacCormack, proprio per la sua connotazione non-conforme, definisce con la perifrasi «to be a not not-monster»[12] – innesca invece un immaginario florido per i tecno-assemblages fantascientifici, ma non funge solo da significante figurativo per i cosiddetti “corpi artificiali”. Al contrario, il famoso Cyborg di Donna Haraway in maniera pionieristica metteva in luce già nel 1985[13] il carattere “perturbante” innescato dal rimescolamento delle concettualità proprie del soggetto dell’umano, dell’antropocentrismo e del binomio stesso naturalculturale (dunque natura e artificio, umano-animale, e anche organico e inorganico, materia viva e materia inerte). Haraway fin da subito legge nel concetto di Cyborg qualcosa di differente dal semplice “umanoide artificiale” che pur figura tutt’oggi come descrizione della tassonomia ufficiale dei tecno-soggetti. Nel ripensare Cyborg[14] attraverso una lente peculiare Haraway fa uso sì di figurazioni, ma anche di vere e proprie soggettività non umane, ibride perché bio-tecnomediate, ma incarnate e situate perché appartengono al tempo del qui e ora. A testimoniare son chiamati cyborg quali OncoMouse™, il topo non-nata di donna, prodotta in laboratorio per lo sviluppo di farmaci per il cancro al seno, o la Bianconiglia, anch’essa soggettività nata nel contesto della ricerca e dei trial scientifici[15]. Per descrivere Cyborg la biologa traccia cartografie che presentano sia appendici tecnologiche che apparati organici, forme di vita animali e spazialità terrestri, spesso irretite in una rete biopolitica ed economica di sfruttamento. Cyborg è metafora anche di quegli esseri ibridi che fa chiama articulata, creature che vivono nell’assemblaggio, «che infondono vita nei cosmi artefatti dei mostri» che tengono «le cose insieme, anche cose spaventose, rischiose e imprevedibili»[16]. Il potere dell’uncanny che entra a sbaragliare la composizione monolitica o standardizzata di un qualsivoglia soggetto, si nutre moltissimo quindi degli innesti mostruosi di Haraway, incontrando la tecnologia come una contingenza dell’ibrido e non come il solo carattere di Cyborg.

Senza andar troppo in fondo all’ibrido macchinico/digitale, anche Rosi Braidotti, ha formulato, ancor prima della sua filosofia del Postumano, un pensiero del teratologico[17]. Una delle creature mostruose da sempre più affezionate per le femministe postumaniste è la figura della madre genitrice, e non (o non solo) per il potenziale natural-culturale del materno, ma per la “meravigliosa” (teratológos, “che racconta meraviglie” o terateía, “discorso che racconta cose meravigliose o incomprensibili”) metamorfosi che compie, complici le sue delle qualità biologiche mutanti. Il teratologico, in questa declinazione, permette di navigare spazi di possibilità dentro e fuori l’umano, rinvenendo ad esempio lo scarto eccedente e la produzione di alterità, fin dentro la materia incarnata umana. La metamorfosi della genitrice così intesa da Braidotti, più che legata all’idea romantica della procreazione e della maternità, rappresenta una chimera: essa è mutante, in grado di tessere alleanze figurative e infra-speciste con l’alterità non umana, ovvero con “mostre” e macchine, perché performa un atto poietico dai caratteri mutevoli e non-conformi. Si può leggere in continuità con questa figurazione anche lo studio di Barbara Henry sul Golem e il Cyborg, specialmente laddove l’autrice specifica come nella tradizione talmudica, la figurazione golemica sia spesso legata a una sorta di mutante – o embrione – assibilabile alla fase della gestazione: «the term “Golem” effectively described something not dissimilar to this [an embryo]. The sense is that which has the potential to gradually unfold, starting from the internal energetic nucleus of a clod of matter, and which follows a prearranged structural plan, already in the womb»[18].

Queste suggestioni, qui brevemente presentate, ispirano l’idea di alterità propria oggi del Postumanesimo Critico Femminista, in cui l’ibrido trova posto come cifra tipica della soggettività piuttosto che dell’apparato tecno-potenziante, rendendo la soggettività stessa, se non indisponibile, almeno sfuggente ai meccanismi di assimilazione alla norma – e quindi, lo stesso ibrido, non evoca la produzione di una soggettività concepita esclusivamente come corpo-artificiale e più disponibile a certi assi di assoggettamento. Com’è noto questa corrente di pensiero, pur nelle sue plurime declinazioni, ha tematizzato la necessità del superamento delle barriere epistemologiche, ontologiche ed etico-politiche dell’idea illuminista di uomo e lo ha fatto anche grazie al vetriolo delle promesse, non tecnologiche, bensì quelle dei mostri[19] che ci permettono di mettere a fuoco una contemporaneità così densamente ibrida, relata, compromettente. «The monster» – si legge nella voce Moster/The Unhuman del Posthuman Glossary «is not a negation, but a non-relation, which is not to say that is immune to situational interaction or relationality, but instead to highlight that the monstrous is a rejection of stifling non/human binary entrapment»[20].

Il Postumanesimo Critico rileva dunque l’aspetto teratologico della soggettività ibrida, la sua eccedenza rispetto allo standard, sviluppando le sue riflessioni in una duplice direzione: in primo luogo critica la neutralità con cui si opera il misconoscimento dei corpi oggi bio-info-tecno mediati, e che di conseguenza, espongono le soggettività a divenire superfici vulnerabili di sfruttamento, anche grazie alla pervasività di alcune forme assunte dalle odierne tecnologie. In seconda battuta però, riconoscendo queste soggettività ibride, a partire dal potenziale teratologico e perturbante, ci permette di tematizzate i molteplici grovigli (gli entanglements) della soggettività contemporanea, non più irrelata, non più solo umana, non più neanche solo persona. Punto di partenza, quest’ultimo, imprescindibile per operare una critica informata del presente, per nuove ontologie e cartografie delle soggettività tecno-mediate che oggi è impossibile mettere a fuoco se il discorso stesso rimane catturato nel persistere della distinzione netta fra corpi artificiali e corpi naturali. Nell’orizzonte postumanista, la tecnologia non è un punto zero produttivo, né il cyborg tecno-ibrido è il telos che assume il corpo inteso come a-specifico, irrelato, immune. Non vi è un indirizzo monodirezionale o una finalità a scopi da rinvenire sempre e solo nel dispositivo tecnologico. Al contrario vi è il ripensamento dell’umano e della soggettività, riconosciuta come ibrida, che abita spazi naturalculturali, la quale assume solo come contingenza l’evento tecnologico, lo riconosce, gli da forma. Questo modo d’intendere Cyborg è ciò che apre lo squarcio, la cosiddetta lesione[21] della norma, per una rivisitazione dell’umanoide artificiale di più ampio respiro. L’immaginario uncanny può dunque includere l’apparato tecnofilo di pensiero, ma in un senso che permette di ripensare la tecnologia stessa, le sue norme, le sue finalità verso un presente generativo di possibilità tecnopoietiche, ma non per forza tecnogene.

 

  1. Primo Posthuman

Come abbiamo visto, le soggettività ibride postumaniste non orbitano più intorno a un soggetto unico di riferimento, rinvenendo nell’ibrido la cifra propria della soggettività e rendendo perciò questo stesso soggetto meno disponibile al produttivismo performativo delle tecnologie “ottimizzanti”[22]. In direzione opposta a quella appena descritta, introduciamo qui un esempio di soggettività ibrida proveniente del paradigma Transumanista, al cuore del quale risiede un concetto di potenziamento – enhancement – che, facendo leva sul potere fornito dagli avanzamenti bio-info-tecnologici, ambisce alla creazione prometeica di una soggettività tecno-potenziata e resa scevra da ogni limite proprio della biologia umana. Brevemente, senza pretesa di esaustività, ci limitiamo qui a ricordare che questo paradigma è fondato su una fede visionaria nel progresso scientifico, biotecnologico, informatico e medico-clinico, che concepisce le nuove tecnologie non come appendici della soggettività ibrida, ma come fulcro e mezzo irrinunciabile per il raggiungimento di potenziamenti estremi dell’umano. In questo paradigma, la malattia, la disabilità, la senescenza, persino la morte costituiscono il limite onto-biologico dell’esistenza e, in maniera normativa, sono da superarsi mediante l’intervento potenziante dai progressi della tecnoscienza. Ovviamente non solo l’aspetto “mancante” e “fallibile” dell’umano è il focus sperimentale del Transumanesimo; ma il potenziamento per sé, come obbiettivo e promessa escatologica per un’esistenza illimitata e trascendente l’umano per come oggi ancora lo conosciamo. La condizione di possibilità di queste esistenze futuribili avviene mediante il carattere promissorio di interventi di enhancement ingegneristici, genetici, meccatronici, cibernetici e anche cognitivi (o mediante AI).

Come è noto da una vasta letteratura recente[23], il Transumanesimo è una branca di pensiero in sé diversificata, con interessi interdisciplinari e figure più o meno celebri al suo interno. La scelta di analizzare qui Primo Posthuman[24], progetto artistico della pioniera transumanista Natasha Vita-More nasce proprio in virtù di alcuni parallelismi riscontrabili fra questa figurazione e un’idea del Cyborg come adroide/ginoide tecnopotenziato/a e artificiale, molto vicina all’Eva Futura del romanzo. Primo è un progetto artistico cominciato nel 1996, riconfigurato nell’arco di diversi anni e ora concluso: è la figurazione di un corpo iper-performante, ibridato con apparati digitali, meccanici, tecnologici non visibili (proprio perché l’ibrido che si mostra costituisce il fattore repulsivo intrinseco al mostruoso) e una tensione caratteristica verso la perfettibilità corpo-reale e intelligente. Primo Posthuman è il disegno di un corpo aderente ai canoni di bellezza estetici occidentali; spesso un corpo abile, snello e agile di donna bianca, che solo nell’ultima versione muta in non-gendered. I potenziamenti sono plurimi e si rifanno alla cosiddetta branca emergente della “tecnologia speculativa”. L’involucro del corpo è la nanoskin, una sorta di epidermide impenetrabile dagli agenti esterni. Vi sono poi sensori di movimento e suono, una memoria nanotecnologica, simile allo storage di un hard-disk, e il Metabrain, un cervello che è innesto fra computer e l’apparato cerebrale-cognitivo umano, dotato di un dispositivo di correzione immediata dell’errore – quale nello specifico non ci è dato sapere.

Primo Posthuman, final project, by Natasha Vita-More, 2006.

 

Come si evince da questo progetto, nel discorso transumanista, il Cyborg è un concetto che naviga fra una sorta di riduzionismo tecnoscientifico e un uso visionario e strumentale delle bioscienze e delle nuove tecnologie. È interessante notare come l’esito di questa soggettività ibrida inasprisca le forme di soggettivazione, lì dove i corpi sono performanti e uniformati; come sia affermata la superiorità gerarchica di questo umano rispetto alle altre specie e al vivente, leggendo nella natura e nella biologia l’elemento di datità corruttibile. Come il corpo stesso sia atomizzato e ogni frammento di esso arbitrariamente ipostatizzato; dimensione, questa, che ha delle dirette ripercussioni quando la vita incarnata, grazie allo strumento tecnologico, diventa scomponibile e annettibile alle reti di estrazione di valore. In Primo, che è una sorta di ideale figurativo di riferimento per le ricerche attualmente condotte in ambito transumanista (così come il Cyborg-Mostro lo è per il Postumanesimo Critico), a essere annichilito è il potenziale teratologico, soppiantato da un’ideale etereo, superlongevo e teomorfico di uomo. Primo rappresenta di fatto la rivalutazione artificiale dell’ibrido solo nella misura in cui viene incasellato nel modello del soggetto unico che rifiuta l’alterità. Lo scarto è allora prodotto proprio nella distanza che l’approccio teleologico e futuribile di enhancement pone in sé, rispetto all’uncanny, alla base del quale invece vi è una soggettività che sconfina le barriere dello standard e tende verso la dis-identificazione del soggetto. La tecnologia è la matrice imprescindibile di ogni figurazione transumanista e come emerge da una lettura della figurazione di Primo Posthuman, questa soggettività sì ibrida ma perfettibile, trascende l’umano, col suo corpo deteriorabile, la potentia perturbante che vi è in esso e abbraccia l’ibridità solo attraverso e in ragione della funzione escatologica che l’apparato tecnologico può svolgere. In questo senso, una lettura transumanista dell’ibrido si avvicina a Eva Futura, ginoide perfetta, che rimpiazza una donna in carne e ossa al solo fine del raggiungimento di una performance perfetta, nella riproposizione dualistica fra mente (intelligenza) e corpo e datità (naturale) e soggetto umano.

 

  1. My mother was a computer, but now is Cyborg

Questo breve excursus delle correnti di pensiero postumaniste ci viene incontro soprattutto sul piano epistemologico e per la comprensione dello statuto della soggettività ibrida. Le prospettive prese in esame aprono infatti al regno delle possibilità della tecnoscienza: la forma stessa di queste possibilità può però assumere diverse fattezze a patto che questa stessa sia concepita nel suo legame inscindibile con la soggettività. Tant’è che una certa soggettività ibrida ci aiuta a indossare lenti adatte per la comprensione del presente, rinvenendo per esempio gli assi di sfruttamento riadattati e fagocitati anche mediante gli apparati tecnologici. In questo senso lo specifico ibrido del Postumanesimo Critico, includendo la tecnologia come uno dei dispositivi – ma non l’unico – che entra a scompaginare le categorie fissiste e le dicotomie moderne, ci presenta una forma della tecnologia e del téras che mostra le contraddizioni interne alla soggettività ibrida e allo stesso tempo i lati eversivi propri di una radicale alterità.

Dall’altra parte però vi è una certa declinazione della soggettività, come quella Transumanista, che visualizzando solo il potenziale ottimizzante dell’ibrido tecnologico, rende la soggettività stessa più disponibile a un paradigma produttivo-estrattivo di valore e sfruttamento, in ragione della performatività accelerata a cui punta, calcando l’esempio della produzione del soggetto neoliberale. Questa tensione, infatti, si pone in linea con gli attuali avanzamenti tecno-scientifici in campo biomedico e nelle scienze della vita citate in apertura e che contano, a esempio, le più sofisticate tecnologie riproduttive o la medicina personalizzata, le quali avallano spesso uno sfruttamento incarnato delle soggettività, depotenziando le possibilità pur eversive delle tecnologie.

Nel 2005, Katherine Hayles, prima fra le pensatrici del Postumanesimo, titolava uno dei saggi fondanti di questa corrente di pensiero, My Mother Was a Computer[25]. La sua provocazione si riferiva prevalentemente al rischio di una riformulazione in termini computazionali delle vite innestate con le nuove tecnologie, prevedendo i rischi estrattivi di valore e sfruttamento e una distorsione delle relazioni umane che un’osmosi con le tecnologie cibernetiche avrebbe in effetti potuto produrre. Oggi, nell’anno 2020, al crocevia con le molteplici forme di ibridazione che molte delle nostre esistenze sperimentano, il Postumanesimo Femminista è un po’ più in grado di riformulare i timori di quel momento storico. All’altezza del presente, in cui i legami quasi appendicolari con gli apparati bio-info-tecnologici pervadono gran parte delle forme di vita contemporanee, lo slogan della pioniera Hayles suonerebbe un po’meno con il timore di una partenogenesi cibernetica e digitale del: My Mother Was a Computer e un po’ di più con la consapevolezza dell’esistenza di una soggettività ibrida sì, ma situata, prismatica, magari desoggettivata e dunque in grado di tracciare delle cartografie di esistenza pur nel denso mondo tecno-mediato che abitiamo. Lo slogan, in virtù di una ri-formulazione della soggettività ibrida, per una sua responsabile posizione etico-politica, suona oggi un più come: My Mother Was a Cyborg.


[1] Corsivo mio.

[2] L. Ugolini, Eva Futura, in Figurine (monologhi in versi), La Recherche.it, ebook101, p. 5.

[3] P. A. Villers de L’isle d’Adam, Eva Futura (1886), tr. it. Bompiani, Milano 1992.

[4] Si veda, fra gli altri: A. Balzano, In bilico tra mercificazione del biologico e autodeterminazione delle donne: oltre il divieto di surrogacy, in «Politeia», XXXIII, 128, 2017b; pp. 22-41; L. Cirillo, Utero in affitto o gravidanza per altri, FrancoAngeli, Milano 2017; M. Cooper & C. Waldby, Biolavoro Globale, DeriveApprodi, Roma 2015.

[5] È sempre opportuno ricordare che nel vasto universo delle NT (New Technologies) vi sono branche eterogenee, ricordiamo qui alcune delle più importanti sigle: ICT (information and communication technologies), NBIC (nano, bio, info and cognitive technologies) GRIN/GRAIN (Genetic, Robotic, Artificial Intelligence, NanoTechnologies) e infine ancora diversi sono il campo del cibernetico e del digitale.

[6] Si veda per questo punto, la nozione post-fordista di lavoro immateriale e quella biocapitalismo sviluppata in: M. Lazzarato, Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività, Ombre corte, Verona 1997; A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un nuovo paradigma di accumulazione, Carocci, Roma 2009.

[7] È opportuno precisare che l’asse temporale si potrebbe allungare includendo anche il superamento dell’idea di uomo operato da Foucault nel 1966 in Le parole e le cose, se non da tutta una serie di filosofi del ‘900, sebbene in maniera eterogenea.

[8] Sul tema del Golem come antesignano simbolico e figurativo dell’immaginario cyborg si veda l’importante studio di B. Henry, Dal Golem al Cyborg. Trasmigrazioni nell’immaginario, Salomone Belforte &C., Livorno 2013.

[9] Ci si riferisce in particolare all’ibrido postumanista di pensatrici quali Rosi Braidotti, Donna Haraway, Barbara Henry, Patricia MacCormack.

[10] Roberto Marchesini è, a mio parere, uno dei più importanti pensatori italiani che ha formulato un pensiero dell’alterità in ambito postumanista; citiamo qui, fra i tanti studi dell’autore, R. Marchesini, Alterità. L’identità come relazione, MucchiEditore, Modena 2016.

[11] A. Caronia, Il Cyborg. Saggio sull’uomo artificiale (1984), tr. it. Shake, Milano 2008, p. 22.

[12] P. MacCormack, Posthuman Ethics, Routledge, London 2012, p. 82.

[13] D. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo (1985), tr. it. Feltrinelli, Milano 1995. 

[14] Usiamo qui “Cyborg” senza articolo maschile determinativo, in contrapposizione a il Cyborg come lemma appartenente alla tassonomia ufficiale degli esseri tecno-mediati, in cui il Cyborg è specificamente un essere umano con apparati bionici tecnologici o sintetici, prostetici o integrati. Cyborg è per Haraway e il Postumanesimo Critico sempre più il referente per “creature Cyborg”, non determinato, dalla natura sì cyber e organica, ma infinitamente più mobile, molteplice, sconfinante i regni tassonomici dell’animale e dell’umano, del fisico e del non fisico e così via. Si veda per un approfondimento sul tema del Cyborg: C. Gray (a cura di) The Cyborg Handbook, Routledge, London 1995.

[15] Troviamo questi due figurazioni rispettivamente in Tesimone_Modest@ Female Man©_incontra_OncoTopo™. Femminismo e tecnoscienza (1997) a cura di Liana Borghi, Feltrinelli, Milano 2000 e Le promesse dei mostri, DeriveApprodi, Roma 2019.

[16] Ibid., p. 122-123.

[17] R. Braidotti, Madri, mostri, macchine, Manifestolibri, Roma 2005.

[18] B. Henry, From Golem to Cyborg, in D. Campagna, S. Steinhart, Monster, Monstrosity and the Monstrous in Culture and Society, Vernon Press, Malaga 2019, p. 235.

[19] D. Haraway, Le promesse dei mostri (1992), tr. it. DeriveApprodi, Roma 2019.

[20] N. Mazurov, Monster/The Unhuman, in R. Braidotti - M. Hlavajova, Posthuman Glossary, Bloomsbury Publishing Plc, London-New York 2018, p. 262.

[21] Ci rifacciamo ancora a MacCormack e al suo intendere il mostro come lesione della biopolitica maggioritaria, op cit. pP. 92-93.

[22] Ci si riferisce qui all’Optimierung adattamento in tedesco del termine enhancement, indicante la categoria utilizzata per riferirsi alla tensione verso la perfettibilità umana nel discorso transumanista.

[23] Segnaliamo qua, fra gli altri: M. More & N. Vita More (eds.) The Transhumanist Reader, Wiley-Blackwell, Hoboken 2013; F. Ferrando, Philosophical Posthumanism, Bloomsbury, New York 2019 e il testo in italiano di R. Manzocco, Esseri umani 2.0. Transumanismo, il pensiero dopo l’uomo, Springer, Milano 2014.

[24] Il progetto artistico Primo Posthuman cominciato nel 1996 e conclusosi del 2006, ha lasciato ora il posto al Future Body Design del 2018: https://natashavita-more.com/innovations/.

[25] K. Hayles, My Mother was a Computer. Digital Subjects and Literary Texts, The Univerisity of Chicago Press, Chicago 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *