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Non siamo mai stati carenti. La tecnicità costitutiva dell’esistenza umana secondo Paul Alsberg

Autore


Marco Pavanini

Università degli Studi di Milano

laureato in Scienze filosofiche all’Università degli Studi di Milano

Indice


  1. Adattamento corporeo e disattivazione corporea
  2. Protetica generale
  3. L’illusione della carenza
  4. Il problema dell’evento della tecnica

 

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S&F_n. 19_2018

Abstract


We have never been lacking. The technical Core of human Existence according to Paul Alsberg


Paul Alsberg (1883-1965) represent a minor, though influential author within philosophical anthropology. The aim of this paper is firstly to analyze some of his most relevant intuitions concerning the problem of hominization and the nature of the tool. In his work Das Menschheitsrätsel (1922) he conceptualizes the prosthetic dynamics of technical practice, maintaining that human biological lack descends from tool-using and tool-making and consequently do not elicit it. This allows him to theorize a constitutive simultaneity and reciprocity between anthropogenesis and technogenesis. The second half of the paper develops some critical remarks on Alsberg’s theory. It considers questionable the assumption made by Alsberg of a difference of nature between human and animal and of the independence of the environment from the adaptive action of man. Nevertheless, Alsberg’s thesis may provide an interesting contribution within the current debate about hominization and the question of technics.


  1. Adattamento corporeo e disattivazione corporea

Paul Alsberg (1883-1965), medico tedesco di origine ebraica con interessi umanistici, rappresenta una figura marginale all’interno della corrente di pensiero dell’antropologia filosofica del primo Novecento. Questa circostanza è comprensibile anche se si considera che la sua produzione è limitata a una sola opera, edita nel 1922 con il titolo Das Menschheitsrätsel e successivamente modificata e ripubblicata più volte[1]. Ciononostante, la sua riflessione ha mantenuto un certo rilievo nel dibattito contemporaneo, influenzando profondamente pensatori come Hans Blumenberg, Dieter Claessens e, tramite quest’ultimo, Peter Sloterdijk[2].

Non ci si propone, qui, né di fornire una sinossi esaustiva della sua opera né di discuterne criticamente e analiticamente la validità filosofica e la fondatezza scientifica. Piuttosto, si tenta, in primo luogo, di mostrare come alcune delle sue intuizioni fondamentali siano ancora feconde in relazione alla questione dell’essenza della tecnica e della tecnicità dell’umano e rappresentino tuttora dei nodi problematici inerenti a qualunque tentativo di pensare l’antropogenesi. In secondo luogo, di evidenziare alcune aporie e punti critici del suo pensiero, particolarmente rilevanti per il dibattuto attuale[3].

Secondo Alsberg, l’evoluzione umana si configura come lo svolgersi di un unico particolare processo evolutivo. Esso si colloca interamente all’interno del dominio dell’evoluzione naturale: Alsberg esclude categoricamente ogni tentativo di fare scaturire l’umano da un principio extranaturale, che conferirebbe in questo modo all’uomo la sua specificità rispetto al resto del vivente. Tale approccio ricade necessariamente in una forma cripto-teologica di metafisica, in quanto la deduzione di questo principio extramondano risulterebbe, per definizione, impossibile a partire dall’esperienza scientificamente fondata[4]. Ciononostante, questo principio pone una differenza essenziale, all’interno della natura, tra il genere umano e il resto del vivente: l’uomo costituirebbe l’unico rappresentante di un meccanismo evolutivo a sé stante, la cui attribuzione ad altri viventi sarebbe possibile solo per una fallace analogia[5].

Il processo evolutivo per cui l’uomo si distingue dall’animale e, conseguentemente, dal resto del vivente è individuato nel differente rapporto di adattamento perseguito nei confronti dell’ambiente. L’animale si sviluppa secondo il principio di adattamento corporeo (Körperanpassungsprinzip) a un ambiente dato, ossia modifica filogeneticamente la propria costituzione organica in base alle prerogative che le condizioni ambientali che lo circondano richiedono. L’uomo, invece, intraprende un processo di evoluzione extracorporea: il suo adattamento all’ambiente è perseguito tramite lo sviluppo di media di carattere extra-organico, ossia tecnico. All’antropogenesi corrisponde una tecnogenesi costitutiva: è il complesso degli strumenti a produrre le condizioni di adattamento del vivente che diventa umano e non più la sua costituzione organica[6]. L’intero ambito psicofisico dell’umano è riconducibile a questa dinamica, in quanto la totalità dei fenomeni tecnici, linguistici, concettuali e le relative istituzioni sono concepiti come rispondenti alla stessa funzione, ossia provvedere all’adattamento all’ambiente naturale con mezzi extranaturali[7].

 

  1. Protetica generale

Alsberg definisce il principio evolutivo costitutivo dell’umano come principio di disattivazione corporea (Körperausschaltungsprinzip) tramite strumenti artificiali: «Sono i suoi strumenti artificiali che assumono al posto del corpo il compito dell’adattamento alla natura»[8]. Nella sua teoria dell’ominazione, è possibile trovare tematizzata la duplice natura dello strumento, ossia dell’artefatto tecnico concepito in senso ampio in quanto protesi.

In quest’ottica, in primo luogo, l’adozione di un fare tecnico rappresenta il perseguimento di una funzione biologica con mezzi extra-biologici. Lo strumento si configura come analogo dell’organo e ne espleta le stesse funzioni. Inoltre, lo strumento tecnico risulta caratterizzato da una maggiore efficacia e versatilità nello svolgere la funzione dell’organo che emula, amplificandone la portata d’azione e intensificandone l’impatto sull’ambiente. Ciò fa sì che il fare tecnico si imponga come superiore al fare organico in relazione allo svolgimento di un dato compito. Tuttavia, lo strumento non si limita a prolungare l’azione organica: esso la rimpiazza totalmente. L’azione dello strumento si rivela come ciò che si sostituisce all’azione dell’organo, esonerando quest’ultimo dalla sua funzione originaria. Ciò che prima veniva conseguito con mezzi organici, viene ora espletato tramite strumenti artificiali. Ma il fare tecnico, così inteso, non è concepibile senza considerare i suoi inevitabili effetti di ritorno sulla costituzione biologica del soggetto di questo fare. L’emergere di strumenti comporta, allo stesso tempo, il regredire degli organi che questi strumenti rimpiazzano. Il configurarsi del corpo umano come supporto di media tecnici è inseparabile dal suo riconfigurarsi come corpo tecnico, ossia come corpo in cui le funzioni che prima venivano svolte dagli organi sono ora state trasferite sugli strumenti. Gli organi perdono la capacità di svolgere la loro funzione primaria e si modificano in modo da supportare l’azione delle protesi tecniche surroganti: si intende «come ‘organo’ un qualunque componente al tempo stesso anatomico e funzionale del corpo, come ‘strumento’ un qualunque mezzo extracorporeo (artificiale), con il quale si tende a una disattivazione del corpo»[9].

Alsberg, dunque, concepisce l’essenza eminentemente protetica e ricorsiva della tecnica. Lo strumento è qualunque medium inorganico che svolge una funzione organica preesistente, modificandone l’efficacia, sostituendosi al medium organico precedente e retroagendo sulla totalità del corpo, rifunzionalizzandolo. L’effetto di feedback proprio della tecnica fa sì che il corpo venga destituito di una sua certa funzione e che quindi perda la capacità di espletarla proprio mentre quest’ultima viene assunta dallo strumento, che a sua volta può emergere soltanto in concomitanza con il riconfigurarsi del corpo come supporto di una data prassi tecnica incarnata dallo strumento.

In tale contesto, Alsberg polemizza con quei pensatori che concepiscono lo strumento come un mero prolungamento dell’organo, ignorandone il carattere protetico. In particolare, è contestata la teoria della proiezione organica di Ernst Kapp, così come è formulata in Grundlinien einer Philosophie der Technik[10]. Alsberg rileva che, concependo lo strumento come qualcosa che si limita ad amplificare e intensificare le funzioni corporee, lasciando inalterata la costituzione biologica dell’uomo, si manca totalmente il carattere precipuo della tecnicità e non si riesce a spiegare il fenomeno dell’ominazione. Esso, infatti, consiste nel passaggio da un essere (animale) il cui corpo è adattato all’ambiente a un essere (umano) il cui corpo risulta completamente disadatto rispetto alle condizioni ambientali circostanti, ma il cui adattamento è allo stesso tempo garantito dal complesso dei suoi strumenti. Se la tecnica operasse unicamente un prolungamento delle funzioni organiche, in primo luogo, non si spiegherebbe la peculiarità del corpo umano, ossia il suo essere non specializzato, regredito e disadatto alla sopravvivenza. In secondo luogo, ignorare la retroazione dello strumento sulla costituzione psicofisica del suo portatore impedisce di comprendere come lo stesso corpo umano si sia configurato come corpo atto a servire da supporto a strumenti che un animale non potrebbe né utilizzare né, tantomeno, fabbricare[11].

 

  1. L’illusione della carenza

La simultaneità di antropogenesi e tecnogenesi concettualizzata da Alsberg permette di confutare radicalmente qualunque teoria della carenza originaria dell’umano. Questa tradizionale linea di pensiero risale, nella sua forma esplicita, quanto meno a Johann Gottfried Herder e trova in Arnold Gehlen la sua formulazione teoricamente più raffinata e completa[12]. Essa concepisce l’emergere della tecnicità come la necessaria conseguenza di un mancato adattamento della specie umana. L’uomo sarebbe l’essere carente, ossia un animale inerme e non specializzato, mancante di istinti e difese naturali e, pertanto, incapace di resistere alla pressione selettiva del suo ambiente. Il bisogno di sopravvivere nonostante questa sua radicale sprovvedutezza biologica avrebbe portato allo sviluppo del complesso tecnico, simbolico e istituzionale che caratterizza l’umano[13].

Alsberg contesta questo approccio, mostrando come esso non possa che condurre a paradossi. Infatti, risulta impossibile spiegare come un animale possa sviluppare un tale livello di disadattamento al suo ambiente senza estinguersi. È un principio basilare dell’evoluzionismo che il mancato adattamento alla pressione ambientale comporti in modo immediato e inevitabile la scomparsa della specie portatrice di tale disadattamento. Se anche si postulano delle condizioni ambientali particolarmente favorevoli e scarsamente selettive, in cui l’adattamento richiesto all’animale uomo sia minimo, non si comprende, allora, che cosa possa portare questo essere a sviluppare il proprio complesso tecnico. Se l’ambiente fosse mutato, diventando più selettivo, l’uomo si sarebbe estinto a causa della sua carenza di adattamento; in caso contrario, egli non avrebbe avuto alcuna esigenza biologica di migliorare il proprio adattamento, sviluppando il sistema di esoneri tecnici che lo contraddistingue. Si sarebbe costretti, allora, a postulare una qualche ‘genialità’ insita nell’umano, che lo avrebbe reso capace di adattarsi in modo extra-biologico a un ambiente nel quale non sarebbe altrimenti potuto sopravvivere come mero animale o di iper-adattarsi a un ambiente nel quale sarebbe comunque sopravvissuto. Ma una tale strategia non fa altro che, alternativamente, negare l’essere carente dell’uomo trasferendo la sua capacità di adattamento in un’intelligenza straordinaria e in grado “potenzialmente” di produrre l’intero sistema tecnico qualora se ne presenti l’esigenza; oppure ricorrere a un principio extranaturale per spiegare l’altrimenti enigmatica sopravvivenza e comparsa dell’uomo, ricadendo nelle metafisiche dalle quali anche i sostenitori della carenza originaria tentano di emanciparsi[14].

Secondo Alsberg, la regressione biologica dell’uomo è la conseguenza dell’adozione di strumenti tecnici e non la sua causa. L’uomo è sempre stato perfettamente adattato al suo ambiente: è soltanto il principio attraverso il quale questo adattamento viene perseguito a essersi trasferito da un piano organico a uno extra-organico. La sprovvedutezza adattiva dell’uomo è solo apparente, in quanto non si sarebbe potuta realizzare indipendentemente dallo sviluppo di un completo adattamento tecnico all’ambiente, il quale l’ha anzi prodotta: «È stato lo strumento che ha influito sul corpo in modo determinante e che ne ha fatto sempre più retrocedere la capacità di difesa con il proprio crescente perfezionamento»[15].

 

  1. Il problema dell’evento della tecnica

La prima e più ovvia obiezione che la teoria della tecnicità costitutiva dell’esistenza umana di Alsberg suscita rileva che il suo pensiero, se mira a ricondurre l’origine dell’uomo al contesto dell’evoluzione naturale e a evitare qualunque forma di trascendenza spirituale e teologico-metafisica per spiegare il carattere peculiare del suo modo d’essere, allo stesso tempo insiste nel tracciare una differenza essenziale tra l’uomo e l’animale.

In questo contesto, emerge una circolarità viziosa nell’argomentazione di Alsberg. Egli riconosce che almeno alcune specie animali sembrano manifestare l’impiego di prassi tecnico-strumentali assimilabili per analogia a quella propria dell’uomo. Tali prassi sono però comprese unicamente come deviazioni rispetto al principio evolutivo proprio dei viventi non umani, ossia quello dell’adattamento corporeo: esse avrebbero carattere accidentale e non svolgerebbero un ruolo costitutivo nel loro sviluppo. La differenza radicale che sussisterebbe tra l’uomo e l’animale è individuata proprio nei differenti principi evolutivi che li determinano: adattamento extra-organico tramite mezzi tecnici e disattivazione corporea, da una parte, e adattamento organico attraverso il corpo, dall’altra. Se la distinzione tra i due diversi principi è utilizzata per fondare la differenza essenziale uomo-animale, questa differenza è sfruttata per giustificare, a sua volta, la distinzione tra tecnicità umana e tecnicità animale e per classificare la prima come costitutiva e la seconda come accidentale e deviante rispetto al principio evolutivo proprio dei viventi che la adottano. Ma la distinzione tra il principio evolutivo proprio dell’uomo e quello proprio dell’animale e, quindi, la distinzione essenziale tra i due viventi era stata motivata proprio dal mancato ricorso, negli animali, a forme di adattamento di tipo extra-organico (tecnico), e così via[16].

La seconda criticità è rappresentata dal problema dell’evento della tecnica. Essa viene notata già da Max Scheler, che peraltro fraintende la logica della disattivazione corporea, accusando Alsberg di essere egli stesso un fautore della teoria dell’essere carente[17].

Alsberg afferma la simultaneità dell’emergere della tecnica e dell’emergere dell’uomo e, contemporaneamente, considera l’adattamento extra-organico tramite media tecnici come l’unico fattore responsabile dell’ominazione e nega il sussistere di qualunque forma di tecnicità precedente o indipendente dalla comparsa dell’uomo. In quest’ottica, risulta non tematizzata la questione relativa alla dinamica tramite la quale un animale avrebbe dismesso il suo processo di adattamento caratteristico per intraprenderne uno radicalmente nuovo. A meno di postulare una qualche sorta di teleologia insita nel processo evolutivo della natura che si compirebbe nell’emergere dell’umano, come pure Alsberg sembra suggerire[18], la soluzione che egli propone si basa sul rapporto tra evoluzione della specie ed evoluzione del singolo (o del singolo gruppo). L’adozione di prassi tecniche non si sarebbe imposta dapprima in modo necessario e simultaneo tra tutti gli elementi dell’animale uomo, cosa che ne porrebbe il problema dell’origine inspiegabile. Essa si sarebbe affermata a causa di circostanze accidentali in singoli gruppi o individui, per poi diffondersi gradualmente nell’intero collettivo[19].

Tale soluzione, tuttavia, resta insoddisfacente, in quanto si limita a spostare la questione sul problema, peraltro non affrontato da Alsberg, delle modalità di trasmissione, conservazione e diffusione su larga scala di queste tecniche, processo che sembra incomprensibile prescindendo da una struttura sociale elementare e soprattutto dal linguaggio. Ma se Alsberg, da una parte, riconosce la costituzione essenzialmente tecnica del linguaggio stesso, dall’altra ne concepisce l’emergere come successivo all’imporsi della tecnicità di tipo strumentale, a essa posteriore e da essa derivato, precludendosi la possibilità di pensare la genesi co-costitutiva di strumentalità, linguaggio e di un pensiero sufficientemente astratto da essere commisurato all’emergere di entrambi questi fenomeni[20]. In quest’ottica, il suo approccio differisce da quello di André Leroi-Gourhan, con cui pure presenta diverse affinità nella tematizzazione del rapporto tra corpo e tecnicità nel processo di ominazione[21].

Il terzo e ultimo punto critico della proposta di Alsberg consiste nella mancata concettualizzazione del fenomeno del mondo. L’evoluzione è concepita unicamente come un processo di adattamento a un ambiente dato, il quale da parte sua non risentirebbe minimamente dell’azione adattiva che il vivente intraprende nei suoi confronti. Ciò impedisce a Alsberg di pensare che almeno nel caso dell’uomo l’evoluzione extra-organica tramite mezzi tecnici che lo caratterizza produca effetti di ritorno non solo sull’organismo che la incarna (come disattivazione corporea), ma anche sull’ambiente che circonda questo organismo (come disattivazione della pressione selettiva ambientale). Tale ambiente si riconfigura in base alle prassi tecniche che strutturano il modo di vita proprio dell’umano, emergendo in quanto mondo.

Come rileva Moritz von Kalckreuth, ciò rende problematico, all’interno del discorso di Alsberg, tematizzare il fenomeno secondo il quale la costituzione di un mondo tecnicamente strutturato che si sostituisce all’ambiente naturale produce retroattivamente nuove esigenze adattive differenti e non riducibili alla mera pressione ambientale. Il complesso di prassi tecno-simboliche delle differenti culture ha, ricorsivamente, il compito di soddisfare tali esigenze[22]. Soltanto tematizzando la co-costituzione di soggetto (organismo) e mondo (ambiente) attraverso la prassi tecnica è possibile comprendere come le pratiche culturali presentino dinamiche eccedenti la mera funzione di sopravvivenza biologica. Sembra che Claessens tenti di risolvere proprio questa aporia nel pensiero di Alsberg, integrando la teoria di quest’ultimo con l’ipotesi dell’evoluzione tramite insulazione avanzata da Hugh Miller[23].

Nonostante tali problematicità, la teoria della disattivazione corporea attraverso strumenti artificiali di Alsberg conserva un certo valore in relazione alle attuali riflessioni sulla tecnicità. In essa si trovano chiaramente tematizzati il carattere essenzialmente protetico dello strumento e la genesi tecnogena del processo di ominazione. In conclusione, il suo pensiero può essere ancora un valido alleato per una teoria che provi a pensare l’antropogenesi a partire dalla tecnicità costitutiva dell’umano e che voglia evitare di postulare una carenza originaria per spiegare tale processo[24].


[1] Cfr. P. Alsberg, Das Menschheitsrätsel. Versuch einer prinzipiellen Lösung, Sybillen, Dresden 1922. Si cita dall’ultima edizione, pubblicata postuma a cura di Dieter Claessens con il titolo Der Ausbruch aus dem Gefängnis. Zu den Entstehungsbedingungen des Menschen, Focus, Gießen 1975.

[2] Cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2006; D. Claessens, Instinkt, Psyche, Geltung. Bestimmungsfaktoren menschlichen Verhaltens, Westdeutscher, Opladen 19702, pp. 81-93; Id., Das Konkrete und das Abstrakte. Soziologische Skizzen zur Anthropologie, Suhrkamp, Frankfurt am Main 19932, pp. 62-66; P. Sloterdijk, La domesticazione dell’essere. Lo spiegarsi della Lichtung, in Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger (2001), tr. it. Bompiani, Milano 2004, pp. 113-184.

[3] Cfr. G. Fournier, Paul Alsberg (1883-1965) et le transfert adaptatif du biologique au technique : un précurseur de la ‘cultural niche construction’?, in «Laboratoire d’Etude du Phénomène Scientifique», 2008, pp. 1-16.

[4] Cfr. P. Alsberg, op. cit., pp. 26-31.

[5] Cfr. ibid., pp. 32-38.

[6] Cfr. ibid., pp. 45-61.

[7] Cfr. ibid., pp. 62-82. Cfr. G. Cusinato, La totalità incompiuta. Antropologia filosofica e ontologia della persona, FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 143-147.

[8] P. Alsberg, op. cit., p. 47 (traduzione mia).

[9] Ibid., p. 54 (traduzione mia).

[10] Cfr. E. Kapp, Grundlinien einer Philosophie der Technik. Zur Entstehungsgeschichte der Kultur aus neuen Gesichtspunkten (1877), Felix Meiner, Hamburg 2015.

[11] Cfr. P. Alsberg, op. cit., pp. 50-57.

[12] Cfr. J. G. Herder, Idee per la filosofia della storia dell'umanità (1784-1791), tr. it. Zanichelli, Bologna 1971; A. Gehlen, L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo (19504), tr. it. Mimesis, Milano 2010.

[13] Cfr. ibid., pp. 127-175.

[14] Cfr. P. Alsberg, op. cit., pp. 45-49.

[15] Ibid., p. 48 (traduzione mia). Cfr. M. Marino, Évolution, corps, langage : le cas Paul Alsberg et l’anthropologie philosophique, in «Alter», 23, 2015, pp. 113-128.

[16] Cfr. P. Alsberg, op. cit., pp. 83-101.

[17] Cfr. M. Scheler, La posizione dell'uomo nel cosmo (1927), tr. it. FrancoAngeli, Milano 2000, pp. 144-149.

[18] Cfr. P. Alsberg, op. cit., pp. 200-209.

[19] Cfr. ibid., pp. 150-156.

[20] Cfr. ibid., pp. 58-61.

[21] Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola. 1. Tecnica e linguaggio. 2. La memoria e i ritmi (1964-1965), 2 voll., tr. it. Einaudi, Torino 1977.

[22] Cfr. M. von Kalckreuth, Das Fluchttier, das zum Stein griff und Mensch wurde. Körperausschaltung und geistige Freiheit in der Anthropologie Paul Alsbergs, in Das Leben im Menschen oder der Mensch im Leben?, a cura di T. Ebke, C. ‎Zanfi, H.-P. ‎Krüger, Universitätsverlag, Potsdam 2017, pp. 339-353.

[23] Cfr. D. Claessens, Das Konkrete und das Abstrakte. Soziologische Skizzen zur Anthropologie, cit.; H. Miller, Progress and decline: the group in evolution (1964), Literary Licensing, Whitefish (MT) 2012.

[24] Cfr. P. Lemmens, The detached animal – On the technical nature of being human, in New visions of nature. Complexity and authenticity, a cura di M. Drenthen, J. Keulartz, J. Proctor, Springer, New York (NY) 2009, pp. 117-127.

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