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Le nuove tecnologie domineranno le scienze e rivitalizzeranno la filosofia

Autore


Orazio Miglino

Università degli Studi di Napoli Federico II

insegna Psicologia Generale ed è coordinatore del dottorato in Scienze psicologiche e pedagogiche presso la Federico II di Napoli. È inoltre ricercatore associato presso l’ISTC-CNR (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione) di Roma. Ha fondato e dirige, presso il Dipartimento di Scienze Relazionali della Federico II, il Laboratorio per lo studio dei processi cognitivi naturali e artificiali (www.nac.unina.it).

Indice


  1. Il vecchio modello della “ricaduta applicativa”
  2. “New deal” tecnologico: la nascita delle macchine cognitive
  3. Natura in artificio
  4. Il posto della filosofia nel “nuovo mondo”

 

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S&F_n. 04_2010


  1. Il vecchio modello della “ricaduta applicativa”

La tecnologia è stata da sempre percepita come il prodotto di un sapere “minore”. Artigiani, ingegneri, medici sono stati considerati detentori di una conoscenza sicuramente importante dal punto di vista pratico ma con un ruolo subalterno nello sviluppo delle grandi rivoluzioni culturali e scientifiche della storia dell’umanità. In effetti tale posizione era ampiamente giustificabile: la realizzazione tecnica di sofisticati strumenti tecnologici avveniva come ricaduta “applicativa” di una qualche forma di conoscenza più astratta e generale. Infatti, fino a buona parte del secolo scorso i grandi progressi tecnologici erano diretta conseguenza dei progressi scientifici. Non a caso la rivoluzione industriale è avvenuta nella terra di Newton e di Darwin. Esempi recenti del rapporto di subalternità della tecnologia nei confronti della ricerca scientifica di base sono le tecnologie atomiche (bombe, centrali nucleari) sviluppate in seguito agli studi nel campo della Fisica Nucleare, o la realizzazione di sistemi per le telecomunicazione (radar, radio, telefono, televisione) che trovano la loro base teorica nella Fisica delle onde elettromagnetiche. L’elenco potrebbe essere lunghissimo e servirebbe solo a dimostrare che in primis vi è la ricerca scientifica e solo in seconda battuta arrivano le applicazioni tecnologiche innovative. Ma è ancora così?

Per provare a fornire una risposta occorre fare un’ulteriore considerazione: fino a circa la metà del secolo scorso la tecnologia prodotta dagli esseri umani serviva essenzialmente per aiutarli e supportarli in qualche funzione di tipo prevalentemente fisico. Per esempio, i treni, le navi, le automobili servivano ad ampliare le nostre capacità di locomozione e movimento; trattori, motozappe, impianti di irrigazione ci aiutavano a coltivare meglio la terra; carri armati, mitragliatrici, bombe ci consentivano di trucidare il nostro prossimo rapidamente e in grande quantità. Questo filone tecnologico è stato di fondamentale importanza per lo sviluppo della nostra civiltà e continuerà sicuramente a dare frutti. Ma è un settore che nasce al traino delle scoperte scientifiche. La tecnica è il versante applicativo di un corpus di conoscenze elaborate altrove grazie ad un formidabile apparato concettuale: il metodo scientifico.

 

  1. “New deal” tecnologico: la nascita delle macchine cognitive

All’opposto, nella seconda parte del secolo scorso sono comparse delle tecnologie che hanno cominciato a sovvertire gradualmente ma inesorabilmente i rapporti tra Scienza e Tecnologia. Il computer è stato il primo esempio di questo “new deal” tecnologico. Tale macchina, seppur immobile, riesce ad avere una quota di autonomia al di fuori del nostro potere di controllo come mai nessuno altro prodotto tecnologico abbia mai avuto. Vediamone il perché.

Il computer compie calcoli e ne compie velocemente tanti che a voler controllare se abbia commesso o meno qualche errore risulta essere un’impresa ardua e faticosissima. Addirittura, con l’incremento della potenza computazionale degli attuali computer, tale impresa appare praticamente impossibile. Gradualmente e inconsapevolmente abbiamo dunque deciso di “fidarci” delle macchine e delegare loro una parte del nostro potere di analisi e di decisione[1]. Recentemente, abbiamo anche deciso, sempre con una buona dose di inconsapevolezza, di affidare loro la memoria delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti, anche quelli più intimi e privati[2].

Le “nuove” macchine dunque hanno cominciato a supportarci e, sopratutto, a sostituirci in funzioni che non sono meramente fisiche. Sono macchine “cognitive” con cui interagiamo come se ci trovassimo di fronte a un essere (artificiale) dotato di intelligenza e autonomia. Fino a qualche tempo fa queste macchine erano incatenate a una triste esistenza: “vivevano” isolate nel ristretto spazio di una scrivania e si aprivano al mondo esterno tramite schermi, tastiere, mouse. Non avevano un corpo né potevano interagire tra loro. Negli ultimi due decenni, questo stato di prigionia forzato è stato irrimediabilmente infranto.

Dapprima i computer sono stati collegati tra loro in rete moltiplicandone esponenzialmente la loro capacità di calcolo e scambio di informazioni. Successivamente hanno lasciato le nostre scrivanie, sono diventatati piccolissimi e computazionalmente potentissimi, hanno assunto una molteplicità di forme e funzioni (telefonini, palmari, ebook, noteboobk, navigatori satellitari, ecc.) e ci accompagnano in qualsiasi nostro spostamento. Inoltre, tutti questi dispositivi che ci portiamo nelle tasche sono sempre collegati tra loro tramite delle entità distribuite di supercalcolo (i cosiddetti sistemi di cloud computing e di grid computing).

Da qualche anno, poi, stanno timidamente entrando nel nostro mondo anche degli esseri artificiali, i robot, capaci di apprendere dalle loro esperienze e agire autonomamente. Nel frattempo, in numerosi laboratori di ricerca si sta perseguendo l’obiettivo di (ri)creare una Vita Artificiale. In altre parole, si sta provando a riprodurrre la natura “in artificio”. Non è lontano il momento in cui le “nuove” macchine saranno costituite anche da materiale organico e avranno la capacità di riprodursi[3].

 

  1. Natura in artificio

Il fatto epistemologicamente rivoluzionario di queste nuove tecnologie è che non sono delle immediate derivazioni di una particolare teoria scientifica. Esse nascono da un complicato miscuglio di conoscenze scientifiche, possibilità tecnologiche, intuizioni euristiche. Il vecchio rapporto che vedeva la teoria scientifica porre le basi per una successiva applicazione tecnologica è completamente andato in frantumi. In molti casi questo rapporto appare addirittura capovolto: prima si crea un’intelligenza (o vita) artificiale e poi viene analizzata e studiata per cercare di comprenderne il funzionamento. In poche parole, prima si costruisce l’oggetto tecnologico e poi si cerca di capire cosa si è realmente realizzato.

Un esempio illuminate in questo contesto è rappresentato dagli studi di Robotica Evolutiva[4]. Tale disciplina si propone di realizzare dei robot “intelligenti” attraverso l’implementazione dei meccanismi evolutivi su popolazioni di organismi artificiali – i robot – che, analogamente a quanto accade in natura, competono per sopravvivere e riprodursi. I robot prodotti da questo particolare approccio emergono da una storia evolutiva filogenetica e ontogenetica innescata da un ricercatore che ne determina le condizioni iniziali e ne segue il divenire.

In sostanza, il ricercatore prova a condizionare la storia evolutiva delle popolazioni robotiche al fine di far emergere degli individui adatti a risolvere un particolare compito. In tal senso queste macchine sono allevate e addestrate proprio come potrebbe accadere nei confronti di un qualsiasi animale. Il ricercatore di Robotica Evolutiva deve saper coniugare una obiettiva perizia tecnologica con l’abilità tipica degli allevatori e dei coltivatori di saper intervenire e indirizzare un processo storico-evolutivo. Il paradosso è che sebbene il ricercatore abbia determinato la realizzazione dei propri Robot, non ne conosce i loro intimi meccanismi di funzionamento ma può osservarne solo comportamenti manifesti[5]. L’unico modo per sviscerare le strutture cognitive che governano queste nuove forme di intelligenza è quello di sottoporle a delle osservazioni e manipolazioni tipiche della psicologia sperimentale o, in alcuni casi, della neuropsicologia[6]. In tal senso, una Teoria dell’Intelligenza (Artificiale) può essere definita solo dopo aver costruito effettivamente l’Intelligenza stessa. In questo caso la Tecnologia precede la Scienza.

È ovvio che tale rapporto è di natura circolare, l’inquadramento teorico di un dato fenomeno naturale migliora la possibilità di replicarlo e simularlo in artificio[7] e viceversa. Però, come affermato in precedenza, in tale contesto non può esserci Scienza senza Tecnologia; la radici della conoscenza vanno ricercate nella capacità dapprima di creare degli Universi Artificiali (capacità tecnologica) e successivamente di comprenderli (capacità gnoseologica).

 

  1. Il posto della filosofia nel “nuovo mondo”

Il ruolo della riflessione filosofica in questo nuovo assetto scientifico-tecnologico appare determinante. Sicuramente occorrerà rispondere a delle impellenti domande che investono la sfera dell’etica e della morale. Ne elenco alcune che, sebbene non sia un filosofo, mi sembra importante almeno porre per cercare di dare un senso al quotidiano lavoro di un ricercatore: fino a che punto si potrà spingere l’Uomo nel ri-creare la Natura? Quale sarà il ruolo e la qualità della vita degli esseri umani in un ambiente altamente abitato da tecnologie “intelligenti” e pervasive? Cosa significherà essere “liberi” in un mondo che, potenzialmente, sa tutto di tutti? Saremo asserviti dalle “nuove” macchine?

D’altro canto, però, le nuove tecnologie rappresentano un formidabile terreno dove poter riproporre antichi interrogativi posti agli albori della ricerca filosofica: che cos’è la Vita? Possiamo creare un essere vivente simile a noi? A quali condizioni e mediante quali meccanismi generativi è possibile realizzare degli Universi Paralleli Eterei (digitali) dove osservare, condizionare e far evolvere nuove forme di “civiltà” e “società”[8]?

In breve, partendo dalle nuove tecnologie, la Filosofia potrà ridefinire se stessa e portare un enorme contributo alla ricerca scientifica. I gruppi di ricerca più vitali, già oggi, sono costituiti da filosofi, ingegneri, matematici e scienziati di diversa provenienza. Essi costruiscono il futuro assetto della Realtà in cui inevitabilmente vivremo, sono i semi del prossimo mondo. Non so se ciò che stanno realizzando sia a favore dell’Uomo o un ulteriore passo verso la sua progressiva auto-marginalizzazione (o auto-distruzione), ma so che per molti di essi l’avventura del ri-creare la natura ha un irresistibile fascino che li porterà a non abbandonare la loro impresa.

 


[1] A questo proposito i libri di qualche anno fa del fondatore delle rivista Wired, John Bailey e del giornalista scientifico Kevin Kelly hanno dato un quadro illuminante del mondo tecnologico che stiamo quotidianamente creando. Cfr. J. Bailey, Il postpensiero, Garzanti, Milano 1998; K. Kelly, Out of Control: The New Biology of Machines, Social Systems and the Economic World, Perseus Books, New York 1995.

[2] Su questo aspetto si vedano le opere di S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, Laterza, Roma-Bari 2005; F. Antinucci, L’algoritmo al potere. Vita quotidiana ai tempi di Google, Laterza, Roma-Bari 2009.

[3] Per esempio si veda il lavoro scientifico e visionario di Craig Venter, A Life Decoded: My Genome, My Life, Viking Adult, New York 2007.

[4] Per un’introduzione si vedano S. Nolfi e D. Floreano, Evolutionary Robotics. The Biology, Technology, and Intelligence of Self-Organizing Machines, MIT Press, Cambridge 2000; S. Nolfi, Che cos’è la robotica autonoma, Carocci, Roma 2009.

[5] Si ripropone in campo robotico la medesima situazione che ogni genitore esperisce nei confronti dei propri figli: li genera, li educa ma li comprende solo con grande fatica e spirito di osservazione!

[6] Per alcuni esempi di tale approccio si vedano i lavori di O. Miglino, D. Denaro, S. Tascini, D. Parisi, Detour behavior in evolving robots: Are internal representations necessary?, in A. Meyer, P. Husbands, I. Harvey (eds.), Evolutionary robotics: A survey of applications and problems, Springer, Berlin 1998; O. Miglino e R. Walker, Genetic redundancy in populations of simulated robots, in «Artificial Life», 8, 2002, pp. 265-277.

[7] Si rimanda per questo aspetto al saggio di D. Parisi, Simulazioni. La realtà rifatta nel computer, Il Mulino, Bologna 2001.

[8] È degno di nota l’esistenza di una rivista elettronica molto attiva denominata «Journal of Artifcial Sociietes and Social Simulations» http://jasss.soc.surrey.ac.uk/JASSS.html.

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