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L’animale linguistico nell’antropologia di Arnold Gehlen

Autore


Maria Teresa Speranza

Università degli Studi di Napoli Federico II

Laureata in Filosofia presso l’Ateneo Federico II di Napoli

Indice


  1. Fonazione e movimento: la prestazione linguistica
  2. Il regno intermedio tra essere e rappresentazione
  3. Simbolo e fonazione
  4. Gesti sonori

 

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S&F_n. 04_2010


  1. Fonazione e movimento: la prestazione linguistica

 

Nella seconda parte di Der Mensch, congiuntamente all’analisi della dinamica delle prestazioni umane, allo scopo di delineare con precisione le linee di un’antropologia filosofica, Arnold Gehlen illustra in maniera specifica la teoria del linguaggio.

Il modello centrale seguito dalla disamina è il processo circolare, che si verifica nel linguaggio così come in tutte le altre prestazioni umane che controllano se stesse mediante le informazioni di ritorno. Ogni impressione, visiva, tattile o fonetica, secondo Gehlen, ritorna al soggetto come informazione e determina lo sviluppo e l’intensificazione della funzione senso-motoria a essa preposta.

Sia la percezione visiva sia quella tattile seguono uno schema circolare, poiché la sensazione prodotta ritorna al soggetto sotto forma di informazione, la quale amplierà la gamma di esperienze di cui il soggetto è portatore e quindi  potenzierà  la sua conoscenza del mondo e la sua capacità di esonerarsi dalle necessità che esso impone. Ma soltanto nella fonazione, che Gehlen intende innanzitutto come movimento, il processo circolare, che caratterizza l’umana esperienza, si realizza nella maniera più evidente.

La fonazione infatti produce il suono ed esso ritorna all’orecchio, determinando nel soggetto l’autoavvertimento estraniato della propria attività. Il soggetto scopre se stesso quale causa di quel suono e prova una sensazione di dominio sul sé, di controllo sulle proprie capacità.

L’autoavvertimento del proprio movimento produce crescita e potenziamento delle funzioni senso-motorie e questo accrescersi delle prestazioni umane, che si fonda sulla riflessività e sull’autointensificazione autonomamente indotta, è chiaramente documentabile nel caso del linguaggio, dal momento che Gehlen considera l’estrinsecazione linguistica primariamente come movimento e dunque autoavvertimento, come suono emesso e al contempo udito. Il ritorno dell’informazione, come ritorno del suono, intensifica e potenzia l’attività linguistica, proprio come il ritorno dell’impressione visiva stimola la vista e il ritorno dell’evento tattile consolida il tatto.

Il processo circolare proprio dell’esperienza umana caratterizza ogni prestazione senso-motoria, è la modalità tipicamente umana di governare il commercium con il mondo, di stabilire con esso quel rapporto comunicativo in cui nostri movimenti si impegnano. I nostri movimenti sono, infatti, comunicativi, ossia hanno «un valore dischiudente, appropriativo ed esaustivo»[1].

Dischiudente perché rappresentano l’apertura dell’essere umano al mondo, ossia la profusione di stimoli cui è sottoposto, essendo i suoi impulsi indifferenziati, plastici, a-specifici e multiformi; a differenza dell’animale la cui struttura senso-motoria ha una forma chiusa, quindi specializzata, adattata a un ambiente specifico, recettiva di pochi e selezionati stimoli, cui prontamente reagisce grazie alla sua istintualità, tutta circoscritta e orientata entro l’ambiente specifico cui è, appunto, adattata per la sopravvivenza.

Appropriativo perché l’essere umano è costituzionalmente costretto ad acquisire il controllo sul mondo per servirsene in vista di uno scopo, per agire in esso: l’uomo è l’essere non specializzato, ossia privo di adattamento a uno specifico ambiente naturale, è l’unico essere vivente che conduce la sua esistenza piuttosto che semplicemente vivere, perché la sua vita è inesorabilmente votata al padroneggiamento del domani. Egli, per via della sua carenza organico-istintuale, deve necessariamente acquisire familiarità con il mondo, ossia appropriarsene mediante una visione panoramica che gli consenta di trasformare l’infinito campo di sorprese in un campo dove è possibile agire, ossia trasformare la natura in modo utile alla propria vita.

L’uomo è per definizione l’essere che agisce, l’azione è per lui l’autentica risorsa per la conservazione della vita, l’unica chance che gli permette di convertire le difficoltà naturali in possibilità di sopravvivenza. Neutralizzare gli ostacoli alla sopravvivenza, esonerandosi dalle infinite sorprese che il mondo ci riserva, da cui non siamo naturalmente protetti a causa della nostra carenza organico-istintuale, è possibile solo nella misura in cui l’uomo, tramite le prestazioni senso-motorie, tra cui rientrano la percezione visiva, tattile e l’espressione fonetica, si appropria del mondo, lo esperisce, lo pone sotto il suo controllo, sotto il suo sguardo panoramico.

Le prestazioni senso-motorie hanno allora valore esaustivo perché trasformano l’infinito campo di sorprese in «centri di doviziosità possibile»[2], in nuclei di senso esperibili tramite un minimo di prestazioni, che si sono esonerate dalle lunghe catene dell’esperienza, necessarie però per esaurire e sbrigare una volta per tutte (durante l’infanzia) le qualità complessuali che emergono dalla conoscenza del mondo. Rendere immediatamente disponibili le qualità fisiche degli oggetti alla sola percezione visiva, condensare in contrassegni pregnanti le proprietà degli oggetti, simbolizzarle ed enuclearle: questo è il valore esaustivo dei movimenti comunicativi, ossia la loro funzione di sbrigare, esaurire, rendere disponibile al solo sguardo panoramico le caratteristiche di un determinato universo fisico, i suoi valori di commercium insomma, piuttosto che ripetere ogni volta la sequenza di esperienze indispensabile per avere cognizione delle proprietà dell’oggetto. Ebbene, Gehlen intende la fonazione come movimento, pertanto essa avrà valore dischiudente, appropriativo ed esaustivo.

Il filosofo attribuisce al linguaggio il più alto valore di esonero e di familiarità con il mondo, affermando con chiarezza quanto segue:

comunicazione entro una sfera mondana illimitatamente aperta, orientamento e dimestichezza con il mondo, libera disponibilità delle cose nei simboli, esonero dalla pressione del presente e della presenza immediati – tutti questi risultati della vita umana in generale – […] solo il linguaggio sembra raggiungerli in sé, in modo concentrato e nel compimento più alto[3].

 

Proprio per questo motivo il linguaggio nasce e cresce nella struttura senso-motoria dell’essere umano; non solo, essendo la prestazione che realizza nel modo più efficace l’esonero dall’immediatezza del presente, esso consiste nell’elemento senso-motorio che governa lo sviluppo di tutte le prestazioni umane. Nel linguaggio si compie la liberazione dalla pressione del presente, si realizza il coronamento dei processi esperienziali e del maneggio delle cose, si padroneggia fruttuosamente l’apertura al mondo, si dà la possibilità infinita di progetti d’azione. Padroneggiando il linguaggio, l’essere umano consegue il dominio sulla sua apertura al mondo, conducendo consapevolmente il rapporto comunicativo che con esso ha instaurato. Con l’apprendimento del linguaggio, l’uomo diviene realmente protagonista della sua esistenza, poiché acquisisce consapevolezza del potenziale infinito delle sue prestazioni senso-motorie, controlla la sua interazione con il mondo, ma soprattutto può progettare illimitatamente il suo agire all’interno di esso. Per questo motivo, linguaggio e azione sono profondamente interconnessi: il linguaggio permette un agire più maturo e consapevole, consente il liberarsi di energie nuove e maggiormente esonerate, l’impiego razionalizzato delle risorse e la disponibilità immediata delle cose.

 

  1. Il regno intermedio tra essere e rappresentazione

«Il linguaggio reca interno ed esterno su un unico piano, cioè sul suo proprio»[4], questo piano linguistico non può che essere intermedio tra il mondo interiore e quello esteriore: forte sembra essere qui l’eco della teoria humboldtiana del linguaggio. In Humboldt il linguaggio è inteso come un «regno intermedio tra essere e rappresentazione»[5], come quel medium attraverso il quale il mondo si apre all’uomo e l’uomo al mondo. Scrive Humboldt:

Il linguaggio si situa tra l’universo e l’uomo, ci si rappresenta il primo, ma secondo il modo dell’altro[6],

 

per questo motivo tra mondo e linguaggio non c’è opposizione, perché è attraverso il linguaggio che il mondo prende forma ed è attraverso il linguaggio che l’uomo si rappresenta il mondo, anzi

l’uomo si circonda di un mondo di suoni in modo da assumere in sé ed elaborare il mondo degli oggetti[7];

 

il linguaggio è insomma quella dimensione dove si situa l’incontro tra l’uomo e il mondo, quella relazione speciale che investe solo l’essere umano, capace di instaurare con il mondo quel rapporto comunicativo che all’animale è precluso.

Tale rapporto comunicativo produce una reciproca conversione tra il mondo interiore e il mondo esteriore. Noi ci rappresentiamo la realtà per mezzo di simboli, concetti e immagini prodotti dalla nostra vita interiore ma, allo stesso tempo, gli stati d’animo, le emozioni, i sentimenti, i pensieri, che costituiscono la nostra interiorità, vengono espressi sempre con simboli, concetti e immagini. Si tratta del medesimo sistema percettivo, in cui soggetto e oggetto, essere e rappresentazione, si colgono a vicenda e si trasferiscono l’uno nell’altro.

Il linguaggio, in quanto movimento di fonazione, ha come obiettivo la riduzione dei punti di contatto con il mondo, poiché partecipa della struttura senso-motoria dell’essere umano, quindi deve perseguire l’esonero dal presente, ossia la simbolizzazione del reale. Tale esonero può essere conseguito attraverso le rappresentazioni «che ci consentono di presentificare qualsiasi realtà in absentia di essa»[8]: il linguaggio giunge ad azzerare i punti contatto con il mondo, dal momento che trasferisce il visibile nell’invisibile, una realtà concreta in una realtà simbolica,

la prestazione antropologica propria di quella proiezione su uno stesso piano di percezione e rappresentazione; essa è tra le condizioni d’esistenza dell’essere uomo[9].

 

In questa affermazione Gehlen ha condensato due funzioni fondamentali del linguaggio, ossia quella di convertire la percezione nella rappresentazione (e viceversa), e quella di esonerare l’uomo dalla sua carenza biologica, condizione fondamentale per la sopravvivenza umana. Condizione però unica in natura dal momento che esso è l’unico essere vivente dotato della parola, ossia della facoltà di modulare l’emissione del suono in accordo alla sua intenzionalità, produrre un suono articolato e costruire proposizioni nelle quali condensa oggettivazioni di realtà o stati interiori.

La rappresentazione della realtà interiore, cioè, passa sempre attraverso un medium esteriore – nel caso del linguaggio mediante un movimento fonetico articolato e intenzionale – che per rappresentazione rimanda a un oggetto, un oggetto che può partecipare sia del mondo interno sia del mondo esterno. Per questo motivo il linguaggio opera l’annullamento della distanza tra il dato percettivo e il dato simbolico-intenzionale, perché percezione e rappresentazione sono appiattite sullo stesso piano, l’invisibile diviene visibile, dal dato reale si ottiene il massimo disimpegno. Si tratta di un esonero totale, di un completo azzeramento dei punti di contatto con il mondo, dal momento che per rappresentare una cosa è sufficiente che la si nomini. Si tratta di uno sforzo minimo e di massima importanza, anche perché il linguaggio non ci permette di rappresentare solo la realtà esteriore ma la stessa vita pulsionale che, per mezzo della mediazione linguistica, si autoavverte e si chiarifica, divenendo conscia dei suoi contenuti e dei suoi obiettivi. Qui Gehlen si confronta con Herder, che in Der Mensch viene ritenuto il legittimo precursore, nella fedeltà a un principio inviolabile citato da un passo del celebre Saggio sull’origine del linguaggio:

“Nell’anima umana nessuno stato è possibile senza il pensare in parole”. Queste proposizioni sono tra le intuizioni immortali che si debbono additare nello scritto di Herder[10].

 

  1. Simbolo e fonazione

Il linguaggio è una delle condizioni indispensabili per l’esperienza umana, anzi è di importanza fondamentale poiché realizza in modo eccellente il rapporto comunicativo – la reciproca conversione di interiorità ed esteriorità – necessario per l’essere aperto al mondo, l’essere che progetta e agisce. Esso realizza infatti in maniera eminente l’attività simbolica, mediante il movimento di fonazione, caratteristica esclusiva dell’essere umano, dell’essere non specializzato. Per questo motivo viene considerato da Gehlen come azione, poiché «ha l’energia di riscatto e di richiamo che i nostri movimenti in generale hanno rispetto ai ricordi»[11]: tale capacità di riscatto e di richiamo permette al linguaggio di impiegare opportunamente i ricordi, attivandoli come immagini intenzionali, ossia dirette verso un oggetto, realizzando il massimo disimpegno dalla presenza reale dell’oggetto stesso. Tradurre in simboli il reale è attività unicamente umana:

noi esperiamo le realtà soltanto affrontandole praticamente e grazie al fatto che le facciamo passare attraverso la molteplicità dei nostri sensi (ad esempio, quelle che vediamo o sentiamo), o infine in quanto rivolgiamo loro la parola, istituendo così un terzo tipo di attività precipuamente umana nei loro confronti[12].

 

Investire il reale di rappresentazioni simboliche significa trasformare l’infinito campo di sorprese che è il mondo in un universo simbolico in cui è possibile agire, poiché si è esonerati dalle circostanze.

Il linguaggio è fatto senso-motorio: nella sua prima radice, la vita del suono, esso è inteso da Gehlen come un movimento vero e proprio, un movimento che produce il suono, che a sua volta viene percepito come ogni altro dato sensibile della realtà.

La seconda radice del linguaggio, che in Der Mensch viene definita apertura, rivela che il linguaggio appartiene solo all’uomo perché l’uomo è l’unico essere aperto al mondo, che necessita di una forma in cui esprimere e oggettivare le rappresentazioni del mondo esterno e della vita interiore, affinché possa disimpegnarsene, esonerarsene, disporne a proprio piacimento; non a caso il movimento della fonazione nell’essere umano è accordato all’intenzionalità e non all’istinto, come in tutti gli altri animali.

Il carattere fortemente specializzato del linguaggio si riscontra infine in maniera evidente quando consideriamo la sua terza radice, il riconoscimento. Tra tutti i movimenti di risposta al riconosciuto si particolarizza, escludendo tutti gli altri, quello della fonazione, infatti:

se la reazione alle impressioni della percezione risale al solo sistema fonetico-motorio, […] abbiamo qui […] un esempio di come la reazione fonetica possa dare il cambio ai movimenti di risposta di tutto l’uomo[13].

 

Si tratta dunque di una specializzazione fonetico-motoria, che si manifesta come emissione di suono articolato; e questo suono è un simbolo:

la peculiarità dell’intenzione che si dà nel linguaggio consiste unicamente nel fatto che qui il simbolo – il suono –  è un simbolo autoprodotto, e che questo movimento prende il posto di altri movimenti ed è quindi sufficiente, intenzione ed esaustione qui coincidono[14].

 

Il linguaggio prevale dunque su ogni altro movimento di risposta al riconosciuto perché di fatto esso è sufficiente a disimpegnarci dalle cose: nell’atto del nominare siamo esonerati dalla cosa. Il suono, liberamente mobile e orientabile, nell’esercitare l’attività intenzionale, proietta le nostre aspettative sul mondo, crea anticipazioni della percezione, getta un ponte tra il passato e il futuro, tra il sé e l’altro, ma più generalmente si può dire che realizza in modo eccellente il rapporto comunicativo tra il mondo e l’essere umano, una relazione unica in natura, non riscontrabile in nessun altro essere vivente così come nessun altro essere vivente è dotato di capacità linguistica.

 

  1. Gesti sonori

L’uomo dunque è l’unico essere vivente dotato di capacità linguistica ma al contempo è anche l’unico essere non specializzato da un punto di vista organico.

Eppure il linguaggio è un fatto senso-motorio, movimento derivante dalla struttura organica, dalla costituzione biologica dell’essere umano. Soprattutto, il linguaggio appartiene solo all’uomo perché soltanto l’uomo possiede un apparato organico deficitario. La sua natura carente da un punto di vista istintuale, si trasforma, mediante l’attività intenzionale che il linguaggio esercita, in una natura simbolica, per cui l’uomo di fatto risulta un animale linguistico, un animale che si differenzia da tutti gli altri per la capacità linguistica che gli consente di intrattenere con il mondo una relazione speciale, unica in natura, un rapporto comunicativo in base al quale il mondo è tradotto in simboli; e grazie ai simboli l’uomo può pianificare la propria esistenza in vista del futuro, può organizzare in modo previsionale la sua esistenza, può agire esonerandosi dalla pressione del presente e dei suoi impulsi. Di più: la modulazione del suono articolato presuppone il possesso di determinate caratteristiche anatomiche relative all’apparato respiratorio, di cui soltanto l’essere umano è dotato.

Ora, la struttura che produce suoni vocali è la laringe. Essa comparve con l’evoluzione del polmone e il suo ruolo primario è quello di escludere l’ingresso nelle vie aree inferiori di qualunque cosa non sia aria. I vertebrati vocalizzano facendo passare aria attraverso le corde vocali, poste appunto nella laringe, le quali, vibrando, producono suoni. Nell’essere umano la laringe è situata molto più in profondità nella gola di quanto non lo sia nelle altre grandi scimmie. Ciò fornisce opportunità molto più ampie per quanto riguarda la modulazione del suono,

perché il tratto vocale assume la foggia di un tubo ad angolo retto che può essere contratto nel punto angolare, ossia nella parte posteriore della cavità orale[15].

 

Questa modulazione dipende in modo critico dai cosiddetti articolatori, ossia: le labbra, la lingua, il palato, i denti e la laringe stessa. Come ha sostenuto Michael Corballis, professore di scienze cognitive al Dipartimento di psicologia dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, «le variazioni dimensionali del tratto vocale, che ci permettono di produrre i diversi suoni del linguaggio, possono essere considerate gesti», ebbene il gesto caratterizza in modo peculiare l’essere umano, poiché esso è originato da un comportamento programmato in vista di uno scopo, è il risultato di un processo di selezione e scarto, invece il comportamento animale è inesorabilmente legato all’istinto e determinato dagli stimoli ambientali[16], proprio come Gehlen aveva potuto affermare che una delle radici del linguaggio consiste in un gesto sonoro, un accompagnamento vocale delle figure motorie dell’età infantile. Sulla base di una serie di evidenze scientifiche, Corballis sostiene che l’emissione di suono articolato è possibile grazie all’abbassamento del tratto laringeo che in tutti gli altri animali si trova in un punto più alto. Ma l’abbassamento della laringe implica che per respirare e inghiottire dobbiamo usare un unico passaggio, almeno nel suo tratto iniziale:

gli esseri umani a differenza degli altri mammiferi, non possono respirare e inghiottire nello stesso momento e sono particolarmente a rischio di soffocamento. Se questo era il prezzo da pagare alla parola, allora l’oralità deve aver avuto una rilevanza adattiva davvero importante nell’evoluzione umana[17].

 

Inoltre, anche da un punto di vista cerebrale, l’emissione di suono articolato prevede una precisa conformazione dell’encefalo, per emettere suoni che siano verbali dobbiamo infatti sincronizzare con precisione la produzione del suono e i movimenti degli organi articolatori come la lingua e le labbra e, per la produzione di frasi sensate e coerenti, dobbiamo disporre di strutture cerebrali che governino la percezione e la conoscenza del mondo e che determinino ciò di cui vogliamo parlare.

La modulazione del suono è diretta da una precisa area della corteccia cerebrale sinistra, proprio in prossimità dell’area che controlla i movimenti della bocca e delle mani. Prende il nome da Paul Broca, il medico francese che scoprì, negli anni ottanta del XIX secolo, come lesioni in quest’area provocassero la perdita del linguaggio articolato. Poco dopo la scoperta dell’area di Broca, il neurologo tedesco Karl Wernicke scoprì che una lesione localizzata in una piccola area posteriore del cervello, intorno al punto di giunzione tra i lobi temporali, parietali e occipitali del lobo sinistro, provoca la perdita della capacità di comprendere la lingua parlata.

Per esattezza occorre precisare che l’articolazione del linguaggio non dipende soltanto dall’interconnessione tra l’area di Broca e l’area di Wernicke, ma ciò che qui è importante sottolineare è che queste aree cerebrali si trovano in prossimità di altre che governano il movimento degli arti e della bocca, a testimonianza del carattere senso-motorio del linguaggio:

un’area nel lobo parietale sinistro del cervello umano, vicina all’area di Wernicke e forse anche in parte sovrapposta, sembra riservata all’immagazzinamento di programmi destinati a eseguire azioni complesse, comprese quelle manuali»[18]. Siamo molto vicini all’impostazione gehleniana della teoria del linguaggio, la quale si fonda sul presupposto che «una comprensione più profonda degli inizi del linguaggio è possibile solo se si considera il linguaggio esattamente nel contesto delle prestazioni di cui stiamo trattando, e dunque, in poche parole, all’interno del sistema occhio-mano[19].

 

Se il linguaggio è il prodotto di una struttura organica unica in natura e se non può essere originato da nessun’altra struttura anatomica esistente al mondo, allora esso può essere considerato come l’unica specializzazione conseguita dall’essere umano, l’essere carente e inerme, costretto al dominio sulla natura per la sopravvivenza.

L’essere che, per poter agire in questo mondo, per pianificare la propria esistenza in vista del futuro, necessita dell’abilità linguistica, uno strumento simbolico-esonerante che, azzerando i punti di contatto tra l’uomo e il mondo, ossia disimpegnandolo in massima misura dalla pressione del presente, costituisce una condizione fondamentale per la sua esistenza.

 


[1] A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, tr. it. Milano 1983, p. 163.

[2] Ibid.

[3] Ibid., p. 278.

[4] A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, cit., p. 295.

[5] U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, p. 220.

[6] W. Von Humboldt, Saggio sulle lingue del nuovo continente, in Scritti sul linguaggio, a cura di A. Carrano, Guida editori, 1989, p. 107.

[7] Id., Sulla differenza della struttura linguistica dell'uomo e sulla sua influenza sullo sviluppo spirituale del genere umano, a cura di G. Marcovaldi, Firenze 1934, p. 60.

[8] A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, cit., p. 296.

[9] Ibid.

[10] Ibid., p. 298.

[11] Ibid., p. 293.

[12] Ibid., p. 211.

[13] Ibid., p. 236.

[14] Ibid., p. 237.

[15] M. Corballis, Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio, tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2008 , p. 190.

[16] Anche U. Galimberti avvalora questo concetto: «il gesto non è il prodotto di strutture anatomiche preesistenti, ma la scelta tra le varie vie predisposte da queste strutture in vista di un adeguamento al mondo», cfr. Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, cit., p. 98.

[17] M. Corballis, Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio, cit., p. 194.

[18] Ibid., p. 205.

[19] A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, cit., p. 229.

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