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Artificialia. Possibili nuovi orizzonti della scienza giuridica

Autore


Nicola Lettieri

Università degli Studi di Napoli Federico II

Dottore di ricerca in Telematica e società dell’informazione, svolge attività di ricerca presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo Federico II di Napoli

Indice


  1. Verum et artificiale convertuntur
  2. Agent-based social simulations: le scienze sociali dell’artificiale
  3. Artificiale e scienza giuridica
  4. Fattualità e socialità: un recupero per la scienza del diritto
  5. Conclusioni

 

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S&F_n. 04_2010


  1. Verum et artificiale convertuntur

Artificio umano e conoscenza: la storia dell’indagine scientifica è intimamente connessa all’utilizzo di artefatti umani. Se, 400 anni or sono, il telescopio ottico ha giocato un ruolo determinante nel consentire una più profonda ed empiricamente fondata comprensione dell’universo, oggi gli strumenti creati dall’uomo svolgono una funzione ancor più decisiva provocando la nascita di discipline che senza di essi non potrebbero esistere.

Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione sta tuttavia operando un ulteriore, profondo cambiamento, trasformando gli artefatti umani da mezzo in oggetto d’indagine. In un numero crescente di ambiti scientifici, in particolare in quelli che studiano la natura e il mondo fisico, gli esperimenti di laboratorio, le interazioni con la realtà sono con frequenza crescente accompagnate, quando non del tutto sostituite, dalla manipolazione di artefatti computazionali che simulano il fenomeno indagato: la conoscenza del reale è mediata e sostanziata dallo studio di un artefatto che lo rappresenta.

Attraverso un processo lento ma costante, le simulazioni stanno trasformando il volto della ricerca scientifica; ne offre conferma il numero di studiosi che, con motivazioni e accenti diversi, sostengono si possa parlare di esistenza di un’epistemologia della simulazione[1], di una “scienza dell’artificiale”[2] in grado di dischiudere nuovi orizzonti alla conoscenza umana.

La Vita Artificiale, con il suo estensivo uso di strumenti simulativi e robotici, incarna probabilmente al massimo grado lo spirito di questo nuovo paradigma scientifico. Per rendersene conto, è sufficiente confrontarsi con la radicalità del pensiero da Cristopher Langton, uno dei padri di questa nuova area di ricerca:

Artificial Life will teach us much about biology, much that we could not have learned by studying the natural products of biology alone[3].

 

Al di là di quelli che possono essere considerati ambiti scientifici di frontiera, l’artificiale alimenta settori di ricerca ben più tradizionali che indagano i fenomeni più diversi: dalla gerarchia delle comunità biologiche, alle dinamiche evolutive o ecologiche, dalle organizzazioni sociali all’evoluzione culturale ed economica.

A distanza di tre secoli, il principio d’identità tra vero e fatto enunciato da Vico sembra trovare una nuova declinazione. Alla categoria del factum, di ciò che gli esseri umani creano e per ciò stesso sono in grado di conoscere, sono riconducibili non più solo le astrazioni matematiche evocate nel De Antiquissima[4] o gli eventi della storia della Scienza nova, ma anche le realtà artificiali generate dalle simulazioni.

Il paper si soffermerà a considerare le possibili intersezioni tra questa nuova espressione del factum vichiano e la scienza giuridica. Pur appartenendo all’area degli studi sociali, la scienza del diritto è quella che meno si è misurata con la prospettiva delle scienze dell’artificiale. Eppure, è opinione di chi scrive, che l’epistemologia della simulazione possa saldarsi con esigenze di fondo della scienza giuridica, esigenze che appaiono ancor più evidenti in una fase di crisi della regolazione giuridica della società. Sul punto si proverà ad abbozzare un percorso argomentativo fatto di poche suggestioni volte essenzialmente a porre un problema in vista di approfondimenti ulteriori.

 

  1. Agent-based social simulations: la scienza sociale dell’artificiale

Il punto di partenza della nostra analisi è costituito da una disamina di quello che i paradigmi dell’artificiale stanno producendo nel campo delle scienze sociali, contesto particolarmente vicino alla scienza giuridica, nel quale i modelli e le simulazioni sono alla base di una rivoluzione del modo di intendere l’impresa scientifica.

Le scienze sociali si sono avvicinate all’idea di un uso conoscitivo delle simulazioni circa venti anni or sono, sotto l’influenza di un insieme di tradizioni di ricerca che comprende gli studi su sistemi complessi adattivi, la cibernetica, l’intelligenza artificiale, le scienze cognitive che ha condotto verso una nuova modalità di utilizzo degli strumenti computazionali[5].

Sino agli anni Novanta, l’impiego del computer era destinato essenzialmente a fornire soluzioni analitiche di complessi sistemi di equazioni o per stimare modelli statistici. A partire dal 1990, si inizia a far strada l’idea di indagare i fenomeni sociali riproducendoli in silico, all’interno cioè di società artificiali simulate al computer[6].

La prospettiva di una conoscenza mediata dall’artificiale in ambito sociale è efficacemente sintetizzata dal sociologo computazionale Joshua Epstein «if you didn’t grow it, you didn’t explain it»: se non sei in grado di riprodurre in silico il fenomeno in una simulazione non puoi dire di averlo spiegato[7], che si spinge a identificare la spiegazione scientifica di un fenomeno con la sua riproduzione in un artefatto simulativo.

Da un punto di vista tecnico, l’approccio è guidato da un momento di svolta nella storia dell’intelligenza artificiale. L’ascesa delle tecniche di Intelligenza Artificiale Distribuita[8], ha permesso al ricercatore di modellare scenari via via più complessi popolati da agenti artificiali in grado di riprodurre comportamenti eterogenei: gli agenti possono interagire in modi complessi scambiandosi informazioni, reagendo all’ambiente, imparando, adattandosi e modificando le proprie regole di comportamento. Gli studiosi possono dotare gli agenti di proprietà cognitive e comportamentali tipiche degli agenti umani, mentre l’ambiente (spazio geografico, regole istituzionali, strutture sociali) può essere programmato per imitare il mondo sociale in maniera più o meno fedele.

Lo scienziato sociale può così analizzare i micro meccanismi e i processi locali che sono responsabili di fenomeni di livello macro (dinamiche sociali e istituzionali, processi culturali ed economici) oggetto della sua indagine. La natura profonda dei modelli sociali può essere in questo modo descritta, osservata, replicata, criticata e compresa[9].

Le conseguenze sul piano epistemologico della diffusione delle società artificiali e dei modelli ad agenti nelle scienze sociali sono significative: l’affermazione della primazia dei modelli nelle descrizione e nella teorizzazione sui fenomeni sociali in contrasto con l’uso di descrizioni narrative e non formalizzate che dominano il mondo delle scienze della società[10]. Le teorie, tradotte in modelli, studiate sotto forma di simulazioni e confrontate con i dati empirici. Attraverso questo processo, che riproduce da vicino quello delle scienze della natura, le simulazioni possono contribuire non solo a spiegare la realtà, ma anche a predire, più in generale a pesare in modo diverso[11].

Grazie alla formalizzazione e al rigore imposti dalla creazione di modelli computazionali, la ricerca sociale tende ad assumere i caratteri di oggettività, falsificabilità e cumulatività, patrimonio delle scienze della natura. Le simulazioni sociali hanno rafforzato uno stile di ricerca guidato dai problemi e non limitato dalle divisioni disciplinari favorendo il superamento dei tradizionali confini tra le scienze sociali, approccio funzionale a trattare problemi complessi che coinvolgono dimensioni diverse dei sistemi sociali (cultura, economia, società, interazioni individuali). Il modello computazionale diventa il luogo nel quale la realtà, sezionata dalle discipline, può ricomporsi grazie all’incorporazione nel modello di teorie, dati, aspetti di uno stesso fenomeno studiati da discipline diverse.

A distanza di quasi due decenni dai contributi seminali di Gilbert e Doran, Carley e Prietula, Gilbert e Conte, Epstein e Axtell, Hegselmann, Müller e Troitzsch, Axelrod[12] e molti altri ancora, le scienze sociali generative rappresentano oggi un’area di ricerca riconosciuta intorno alla quale ruotano associazioni e comunità scientifiche, conferenze e pubblicazioni. Il paradigma delle società artificiali trova applicazione in ambiti che vanno dall’economia all’analisi sociologica, dall’antropologia alle scienze comportamentali e cognitive sino ad arrivare alle scienze politiche e all’elaborazione di nuovi metodi per il policy making[13].

 

  1. Artificiale e scienza del diritto

È possibile ravvisare, nella prospettiva di ricerca del giurista, ragioni di interesse nei confronti delle scienze sociali artificiali? Molto dipende dalla concezione che si ha della scienza del diritto e della sua missione. La scelta in favore di un metodo di indagine non può essere operata in astratto ma richiede un’attenta valutazione degli obiettivi conoscitivi perseguiti. L’argomento merita approfondimento.

Pur non essendo mancati in passato lavori in qualche modo ricollegabili al tema – dalle pionieristiche ipotesi sull’uso giuridico delle simulazioni dello statunitense Drobak[14], al più recente lavoro di Aikenhead e Widdison sulle applicazioni giuridiche dell’Intelligenza Artificiale Distribuita[15] – la riflessione sul punto è stata debole, sporadica e priva di un reale impatto.

Probabilmente, al di là di fattori contingenti, legati alla dimensione tecnica del metodo simulativo, la causa di ciò risiede nella scarsa attenzione riservata alle intersezioni tra le potenzialità del metodo simulativo e gli obiettivi di fondo della scienza giuridica o almeno, di un modo di intendere quest’ultima.

La possibilità di istituire un nesso tra società artificiali e scienza giuridica, a parere di chi scrive, è condizionata dall’attenzione che lo scienziato del diritto ritiene di dover riservare ai fatti concreti e alle dinamiche sociali che la norma di diritto è chiamata a ordinare e che le simulazioni sociali mostrano con sempre maggior credibilità di riuscire a illuminare.

Per quanto estremamente schematica, qualche indicazione sul punto potrà essere utile a comprendere i termini della questione.

 

  1. Fattualità e socialità del diritto: un recupero per la scienza giuridica

Quello del rapporto tra diritto e fatti, tra scienza giuridica e società è un tema più controverso di quanto i non giuristi siano probabilmente disposti a immaginare e un’ampia parte della cultura giuridica respinge in radice l’indagine della dimensione sociale del diritto.

La storia del pensiero giuridico moderno è stata per lungo tempo segnata, e in gran parte lo è tuttora, da una visione formalistico-legalistica del fenomeno giuridico e da una conseguente identificazione della scienza del diritto con la mera conoscenza del diritto positivo[16].

Secondo tale orientamento, al quale possono essere ascritte correnti di filosofia del diritto che vanno dal giusnaturalismo religioso o di stampo illuminista al positivismo giuridico, tutto ciò che il giurista può e deve conoscere è costituito dalla legge, sia essa quella immutabile del diritto naturale, sia essa quella scritta e voluta dal legislatore. L’attività dello scienziato del diritto, in tale visione, si esaurisce nello studio e nell’elaborazione dei concetti contenuti nelle disposizioni di legge e che il giurista «rivela ed ordina, ma non crea»[17].

L’esempio forse più significativo di questa focalizzazione sul dato normativo è rappresentato da Hans Kelsen, per lungo tempo riferimento teorico fondamentale di gran parte della cultura giuridica italiana ed estera: «come scienza, la dottrina pura del diritto si ritiene obbligata soltanto a comprendere il diritto positivo nella sua essenza e d’intenderlo mediante un’analisi della sua struttura»[18]. La dimensione storica, sociale, culturale del fenomeno giuridico diventano, in questa prospettiva, fonte di una “contaminazione empirica” da evitare rigorosamente.

Solo a partire dalla fine del XIX secolo, lo sguardo verso le relazioni tra fenomeno giuridico e i processi sociali che li generano, pongono le basi di un approccio empirico allo studio del diritto. A questa esigenza aveva dato voce per la prima volta, nel 1884, il giurista tedesco Rudolph Von Jhering il quale nel suo Scherz und Ernst in der Jurisprudenz, condanna apertamente

l’inaccettabile tendenza a staccarsi dal mondo pratico della vita reale per salire verso un mondo irreale, verso il cielo dei concetti giuridici[19].

 

Le posizioni maturate intorno alla critica di Jhering sono state molteplici. A partire dalla fine del XIX secolo, si assiste, in Italia come all’estero, a una diffusa reazione al concettualismo di una scienza giuridica di tipo dogmatico[20], che aprirà un nuovo orizzonte di ricerca teorizzando una scienza del diritto orientata allo «studio dei concreti effetti sociali degli istituti e delle dottrine giuridiche»[21].

Particolarmente suggestivo in questa prospettiva, il messaggio offerto da Santi Romano, cultore di diritto pubblico che, rimanendo ben saldo nella sua veste di studioso di diritto positivo, ha affrontato questioni di teoria generale di grande interesse. «Prima di essere norma», sostiene Santi Romano, «il diritto è organizzazione, struttura, posizione della stessa società»; e ancora: «il processo di obiettivizzazione che dà luogo al fenomeno giuridico non si inizia con l’emanazione di una regole ma in un momento anteriore; le norme non ne sono che una manifestazione, una delle varie manifestazioni»[22].

Santi Romano opera un rovesciamento di prospettiva nella scienza del diritto, richiamando l’attenzione sulla dimensione sociale, reale e concreta del fenomeno e, quindi, della scienza giuridica. La realtà che il diritto deve ordinare e lo scienziato del diritto deve conoscere, non è un’architettura astratta di volontà potestative arbitrarie, astratte e scisse dal contesto che le ha generate, ma è un complesso vivente di esigenze, idealità, interessi presenti nella società, fenomeni che il sistema giuridico deve comprendere a fondo se vuole produrre un effettivo ordinarsi della società e non produrre una norma rigida che prova solo a piegare a sé i fatti.

Purtroppo, nonostante un grande successo sul piano scientifico, il messaggio di Santi Romano è rimasto sostanzialmente disatteso. Come più e più volte sottolinea Paolo Grossi, storico del diritto autore di una corposa riflessione critica sugli orizzonti della scienza del diritto, la cultura giuridica è ancora vittima di una chiusura alla dimensione sociale del fenomeno giuridico che svilisce il ruolo del giurista di fatto a una conseguente incapacità di gestire la complessità di un reale in continua evoluzione[23].

In uno scritto al quale ci sembra opportuna fare riferimento, Paolo Grossi richiama con forza la necessità per il giurista di recuperare consapevolezza dell’intima socialità del diritto: «il referente necessario del diritto è soltanto la società, la società complessa, articolatissima con la possibilità che ciascuna delle sue articolazioni produca diritto»[24].

 

  1. Conclusioni

Per quanto estremamente semplificante, lo scenario descritto permette di formulare una prima ipotesi in ordine alla collocazione dei modelli simulativi e delle società artificiali nel quadro della scienza giuridica.

La storia del pensiero giuridico mostra come la ricerca del giurista possa tradursi nell’interpretare le norme giuridiche come parte di una complessa dinamica che nasce nella società e torna a operare su di essa. Le prescrizioni del legislatore, le scelte della pubblica amministrazione o le decisioni dei giudici possono dunque essere studiate non solo come il comandi astratti, ma come il prodotto di dell’interazione di quest’ultimo con le inclinazioni degli individui, gli orientamenti culturali, le condizioni economiche i concreti bisogni sociali.

Paolo Grossi offre sul punto una riflessione quanto mai appropriata che ci sentiamo di fare nostra: l’odierno giurista deve superare il «complesso mentale del prigioniero di un legislatore monopolista mortificato nel carcere dell’esegesi». Oggi, senza disprezzare la funzione dell’esegesi e della sistematizzazione c’è necessità di un

intellettuale provvedutissimo che non si appaghi di mettersi alla ricerca di norme confezionate dall’altro e pigramente si metta all’ombra del loro riparo; c’è bisogno che quello stesso provveduto intellettuale si senta coinvolto del processo produttivo del diritto […] perché è a lui che compete leggere i segni dei tempi, seguire il movimento ed il mutamento rapidissimi, constatare i vuoti che l’evoluzione ha generato, enunciare quei principii regolatori di cui c’è necessità[25].

 

In questo scenario, le potenzialità mostrate dai modelli ad agenti nell’illuminare le dinamiche micro–macro e macro–micro; le ricerche condotte in ordine alle relazioni che legano i processi cognitivi individuali e le dinamiche sociali, non da ultimo quelle legate all’esibizione di comportamenti normativamente orientati[26] sembrano mostrare profili di assoluto interesse per il giurista[27].

L’affermazione, fatta con tutte le cautele del caso senza cedere a facili entusiasmi, ha bisogno ovviamente di essere circostanziata e supportata da riscontri sperimentali e già si possono immaginare numerosi temi di indagine: le cause dell’emersione di una determinata tipologia di regolamentazione giuridica in un determinato contesto storico-sociale; l’impatto di uno specifico intervento normativo rispetto a un dato fenomeno sociale; il confronto tra scelte di politica e tecnica normativa differenti rispetto al conseguimento di uno stesso obiettivo.

Il percorso non è di certo agevole, specie se si mira al conseguimento di risultati da proiettare sulla realtà concreta. Al di là delle difficoltà connesse all’uso degli strumenti di sviluppo delle simulazioni, l’ostacolo maggiore è rappresentato dal possibile disorientamento del giurista, specie quello di formazione giuridica positivista, rispetto a un approccio alla realtà e a un linguaggio (quello computazionale e operazionale delle simulazioni) che ancora (?) non gli appartiene.

È tuttavia tempo dunque che le cose cambino anche nel mondo del diritto. È del tutto evidente che per svolgere il ruolo evocato da Grossi, il giurista ha bisogno di strumenti culturali e scientifici che vanno al di là delle tecniche computazionali. Ma occorre interrogarsi.

 


[1] Cfr. J. L. Casti, Would-Be Worlds: How Simulation is Changing the Frontiers of Science, John Wiley and Sons, New York 1997; D. Parisi, Simulazioni. La realtà rifatta nel computer, Il Mulino, Bologna 2001; Id., Le sette nane. Una critica delle scienze dell'uomo e una proposta per un loro futuro migliore, Liguori, Napoli 2008; T. Grüne-Yanoff, P. Weirich, The Philosophy and Epistemology of Simulation: A Review, in «Simulation and Gaming», 41 , 1, 2010.

[2] H. Simon, The Sciences of the Artificial, MIT Press, Cambridge 19963.

[3] C. Langton, Artificial life: an overview, MIT Press, Cambridge 20005.

[4] G. Vico, De antiquissima Italorum sapientia (1710), in Opere filosofiche, a cura di P. Cristofolini, Firenze, Sansoni 1971.

[5] Cfr. P. W. Anderson, K. Arrow, D. Pines d. (eds.), The Economy as an Evolving Complex System I, Addison Wesley, Reading 1988; M. M. Waldrop, Complexity: The Emerging Science at the Edge of Order and Chaos, Simon & Schuster, New York 1992; R. K. Belew, M. Mitchell (eds.), Adaptive Individuals in Evolving Populations, Addison Wesley, Reading 1996; B. W. Arthur, S. N. Durlauf, D. Lane (eds.), The Economy as an Evolving Complex System II, Addison Wesley, Reading 1997.

[6] Cfr. J. M. Epstein, R. Axtell, Growing Artificial Societies: Social Science from the Bottom Up, MIT Press, Cambridge 1996; J. M. Epstein, Generative Social Science: Studies in Agent-Based Computational Modeling, Princeton University Press 2006; J. H. Miller, S. E. Page, Complex Adaptive System. An Introduction to Computational Models of Social Life, Princeton University Press 2007.

[7] J. M. Epstein, Generative Social Science: Studies in Agent-Based Computational Modeling, cit.

[8] Cfr. C. Castelfranchi, Intelligenza artificiale distribuita, in O. Stock (a cura di), Intelligenza artificiale. Aree di ricerca, tendenze, prospettive, Franco Angeli, Milano 1994.

[9] F. Squazzoni, Simulazioni sociali. Modelli ed agenti nell’analisi sociologica, Carocci, Roma 2008.

[10] Cfr. R. N. Giere, Science without Laws, University of Chicago Press, Chicago 1999; R. Frank, The Explanatory Power of Models. Bridging the Gap between Empirical and Theoretical Research in the Social Sciences, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 2002.

[11] J. Epstein, Why model?, in «Journal of Artificial Societies and Social Simulation», 11, 4, 12, 2008, http://jasss.soc.surrey.ac.uk/11/4/12/12.pdf.

[12] Cfr. N. Gilbert, J. Doran (eds.) Simulating Societies: The Computer Simulation of Social Phenomena, UCL Press, London 1994; K. Carley, M. Prietula (eds.), Computational Organization Theory, Lawrence Erlbaum, Hillsdale 1994; N. Gilbert, R. Conte (eds.), Artificial Societies: The Computer Simulation of Social Life, UCL Press, London 1995; J. M. Epstein, R. Axtell, op. cit.; R. Hegselmann, U. Müller, K. G. Troitzsch (eds.), Modelling and Simulation in the Social Sciences from the Philosophy Point of View, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1996; R. Axelrod, The Complexity of Cooperation. Agent-Based Models of Competition and Collaboration, Princeton University Press 1997.

[13] F. Squazzoni, The Impact of Agent-Based Models in the Social Sciences After 15 Years of Incursions, in «Sociological Methodology», 2, 2, 2009, pp. 1-23.

[14] J. Drobak, Computer Simulation and Gaming: an Interdisciplinary Survey with a View Toward Legal Applications, in «Stanford Law Review», 24, 4, 1972.

[15] M. Aikenhead, R. Widdison and T. Allen T. (1999), Exploring Law Through Computer Simulation, in «International Journal of Law and Information Technology», 7, 3, 1999, p. 197.

[16] Cfr. V. Frosini, Scienza giuridica (voce), in Novissimo Digesto Italiano, Utet, Torino 1969.

[17] Cfr. E. Paresce, Dogmatica e storia del diritto nell'unita del pensiero speculativo, in «Atti della Reale Accademia Peloritana», 1939.

[18] H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto (1934), tr. it. Einaudi, Torino 2000.

[19] R. von Jhering, Scherz und Ernst in der Jurisprudenz, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1884.

[20] Cfr. M. White, Social Thought in America: The Revolt Against Formalism, Viking Press, New York 1949; K. Llewellyn, Jurisprudence. Realism in Theory and Practice, Chicago University Press, Chicago, 1962; K. Olivecrona, Il diritto come fatto, Giuffrè, Milano 1967.

[21] R. Pound, Interpretations of Legal History, Cambridge University Press, London 1923.

[22] S. Romano, L’ordinamento giuridico, Sansoni, Firenze 1946, p. 27.

[23] Cfr. P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico (1860-1950), Milano, Giuffrè, Milano 2000; Id., Società, diritto, stato. Un recupero per il diritto, Giuffrè, Milano 2006; Id., Mitologie giuridiche della modernità, Giuffrè, Milano 2007.

[24] Id., Scienza giuridica italiana. Un profilo storico (1860-1950), cit.

[25] Id., Società, diritto, stato. Un recupero per il diritto, cit.

[26] R. Conte, L' obbedienza intelligente: come e perché si rispettano le norme, Laterza, Roma-Bari 1997.

[27] J. Epstein, Why model?, cit.

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