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Il concetto di causalità in Psicologia

Autore


Lucia Donsì

Università degli Studi di Napoli Federico II

insegna Psicologia dello Sviluppo e Psicologia dell’educazione all’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


1. La trasformazione dell’idea di conoscenza durante il ‘900
2. Dai modelli deterministici unicausali …
3. … ai modelli probabilistici multicausali
4. La ridefinizione di alcuni concetti “classici”
5. Nodi teorici attuali
6. Causalità: relazione misurabile o illusione?

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S&F_n. 11_2014

Abstract



This paper aims to place an interdisciplinary exchange with different disciplinary spheres regarding Psychology, according to a strong will of exchange of view, although well-aware of epistemological and communicational risks. So, starting from the studies of statistics, economy, philosophy, the paper develops the transformation of the idea of Knowledge during the 19th Century to reach the contemporary debate of Psychology in its complexity, particularly in the Developmental Psychology.


Il testo che segue è tratto da una relazione presentata dall’Autrice durante l’incontro interdisciplinare “Causalità: relazione misurabile o illusione?”, organizzato il 21 Ottobre 2011 presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, nell’ambito della Giornata Italiana della Statistica.


  1. La trasformazione dell’idea di conoscenza durante il ‘900

Per affrontare il tema relativo al concetto di causalità nell’ambito delle discipline psicologiche, ci si deve senza alcun dubbio rifare alla trasformazione che l’idea di conoscenza ha subìto durante il secolo scorso.

Come afferma Ceruti: «La storia del pensiero scientifico e filosofico contemporaneo, già dalla fine del XIX secolo, è la storia della progressiva scoperta dell’intrinseco carattere di paradossalità della nozione di “onniscienza”»[1].

Alle origini della tradizione scientifica moderna, improntata in modo radicale da René Descartes, vi è un’ipotesi sulla natura della conoscenza umana che vede lo sviluppo del sapere come tentativo di sempre maggiore avvicinamento a una conoscenza completa, l’infinitezza della conoscenza divina, che diventa l’ideale normativo verso cui tendere: tale tensione genera nella storia del pensiero dell’età moderna la continua ricerca di criteri di demarcazione tra natura e storia, tra scienza e metafisica, tra razionale e irrazionale, tra normale e patologico. Dall’Illuminismo in avanti, fino ai primi anni del XX secolo, scienza e filosofia si focalizzano sulla ricerca di leggi – necessarie, invarianti, atemporali – che fondino con base sicura la conoscenza umana, sia nello studio dell’universo fisico che in quello della storia dell’umanità.

La scienza contemporanea pone invece al centro la relatività, sia affermando l’inattingibilità di una conoscenza “perfetta”, sia mettendo in discussione l’idea stessa che la scienza progredisca avvicinandosi a un luogo ideale di spiegazione. Ha inizio un ripensamento dei problemi stessi oggetto della scienza: nasce un’attenzione al contingente, all’irripetibile, al singolare, che innesca una riflessione sulla limitatezza della previsione e mette in crisi la stessa idea di progresso, sostituita dal riconoscimento di una molteplicità di direzioni, tempi e meccanismi dei percorsi evolutivi e storici. In questa sfida della complessità, la scienza contemporanea diviene scienza del generale e del particolare, dell’ordine e del disordine, del necessario e del contingente, del ripetibile e dell’irripetibile[2]. Tale radicale trasformazione cancella i criteri di demarcazione che gli ideali dell’onniscienza e della completezza conoscitiva avevano introdotto tra reale e non reale, tra razionale e irrazionale, tra scienza e mito: nel ‘900 emerge con forza il carattere storico dei principi del sapere, che lega l’uomo, la natura, la scienza stessa alla loro storia.

Nell’ambito di questa trasformazione, la legge scientifica diviene espressione non più di una necessità ma di un vincolo, che non permette una previsione esatta ma indica solo una possibilità. Questa ridefinizione del concetto di legge si lega a un processo – che sarà centrale nello sviluppo della psicologia del ‘900 – che è il riconoscimento del ruolo dell’osservatore nelle proprie descrizioni, della dipendenza teorica e operativa di alcune categorie della scienza (prevedibilità, necessità, caso) dall’osservatore stesso, in sintesi, della circolarità costruttiva tra osservatore e sistema osservato che, pur pervadendo in ambito psicologico sia il costruttivismo piagetiano che l’opera di Freud, hanno origine nell’ambito delle scienze fisiche e biologiche. La consapevolezza che nella costruzione di un sistema di conoscenza è fondamentale il ruolo dell’osservatore, che la conoscenza è resa possibile dalla diversità dei punti di vista degli osservatori e che i loro spostamenti modificano il sistema conoscitivo mette in crisi in maniera definitiva il concetto di obiettività.

  1. Dai modelli deterministici unicausali …

La trasformazione dei modelli scientifici avvenuta nel secolo scorso ha una forte ricaduta nell’ambito delle scienze psicologiche, portando a modelli nuovi di spiegazione del comportamento e dello sviluppo umani.

Non dobbiamo dimenticare che alla fine dell’ Ottocento la psicologia, scienza nuova dominata da un’esigenza di scientificità e rigore nello studio dell’uomo, aveva fatto propri i modelli positivistici dominanti nelle scienze epistemologicamente forti, soprattutto nella fisica: modelli di tipo unicausale e deterministico, che spiegavano i fenomeni in base all’identificazione di un’unica causa che in modo lineare e relativamente certo li influenzava in modo unidirezionale. Tale modello, che appare semplificante, ma che ancor oggi trova spazio nella divulgazione, in ambito psicologico ha portato inizialmente a spiegazioni fondate su due elementi fondamentali: l’ambiente e i fattori biologici. Ad esempio, soprattutto nelle prime prese di posizione, attenuate da riformulazioni successive, il comportamentismo ha creato con lo schema stimolo-risposta una relazione “necessaria” tra stimolo ambientale e comportamento, non mitigata da altre influenze né da una rielaborazione individuale. D’altronde un orientamento teorico del tutto opposto al comportamentismo come la psicoanalisi, ponendo al centro dell’azione umana la pulsione, energia psichica di derivazione istintuale, stabilisce ugualmente in modo deterministico un rapporto lineare con il comportamento dell’individuo[3].

  1. … ai modelli probabilistici multicausali

L’abbandono nel corso del XX secolo dei modelli di spiegazione deterministici e unicausali determina un cambiamento nel rapporto tra variabili indipendenti e variabili dipendenti dovuto a una visione sistemica che sposta l’attenzione su modificazioni e reciproche interazioni di numerose variabili lungo il tempo. La modifica delle interazioni tra variabili nel tempo mobilizza un modello che considerava il sistema in un momento dato; ci troviamo infatti di fronte a una dinamizzazione dei modelli scientifici che infrange la netta distinzione tra variabili indipendenti e dipendenti, in cui ciascuna di esse è causa ed effetto insieme: tenendo conto di una molteplicità di variabili che si influenzano reciprocamente, l’esatta predizione dell’effetto di tale interazione nel tempo è impossibile. Sono i concetti che più recentemente hanno portato alla teorizzazione dei sistemi complessi e dei sistemi caotici, per arrivare alla teoria della catastrofe. Pur senza affrontare approfonditamente una concettualizzazione che ci allontanerebbe dal nostro discorso principale, la cosa che qui particolarmente ci interessa è che la scienza prende atto sia dell’impossibilità di concettualizzare una causa unica dei fenomeni studiati, come di effettuare una previsione di esiti certi, in effetti possibile solo in termini di probabilità.

L’impossibilità di previsioni deterministiche e dell’identificazione di un’unica causa affermatasi nell’ambito delle scienze fisiche e biologiche ha come effetto la messa in discussione di modelli troppo semplificanti anche nelle scienze psicologiche, a favore di una costruzione di modelli complessi dello sviluppo.

Il primo tema da affrontare a questo proposito è che la suaccennata reintegrazione del ruolo dell’osservatore nelle proprie descrizioni è un tema originario e forte nell’ambito delle scienze umane: esiste in esse una circolarità di base nello studio dell’uomo, perché l’oggetto di analisi è un soggetto, come colui che lo studia.

Tale tema, che sarà centrale nello sviluppo della psicologia del ‘900, si declina principalmente come riconoscimento del ruolo attivo della mente umana: l’individuo non è in balia né delle influenze ambientali, né della maturazione biologica, ma attivamente riorganizza le proprie relazioni con l’ambiente e con l’organismo[4]. I fattori di autoregolazione e di equilibrazione che guidano lo sviluppo cognitivo nella teoria piagetiana[5], la posizione costruttivista di Werner[6], l’origine sociale della mente umana sottolineata da Vygotskij[7] non sono altro che la presa d’atto dello scambio continuo e reciproco tra individuo e ambiente che lo circonda e sottolineano con forza il ruolo strutturante della mente umana. Ancora, la costruzione sociale del significato di cui parla Bruner[8], che dona senso alla realtà e al mondo essenzialmente attraverso la mediazione del linguaggio, nega la possibilità che la conoscenza possa essere un’elaborazione di informazioni, ma la vede come un dono di senso e di valore culturalmente mediati.

Altrettanto interesse hanno in questo discorso i modelli che si rifanno a una prospettiva interazionista e sistemica. Il concetto di campo di Lewin[9], totalità di fattori coesistenti e interagenti in un dato momento, elimina qualsiasi dicotomia tra individuo e ambiente, considerando il comportamento umano come una funzione delle caratteristiche di entrambi e studiandone la relazione. Tali concettualizzazioni vengono riprese dalle teorie ecologiche dello sviluppo con Bronfenbrenner che, soprattutto in anni recenti[10], propone un modello che vede l’origine dei processi di sviluppo nella relazione reciproca tra persona e ambiente.

Di fatto, la prospettiva sistemica che queste concezioni adottano, che implica la consapevolezza di dover considerare individuo e contesto in reciproca interazione in modo unitario, pervade in modo diffuso, anche se non totalizzante, la psicologia contemporanea.

Questa variazione di prospettiva è di fatto attualmente la sola che consente di farsi carico, in psicologia al pari che in altre scienze, della complessità del comportamento e dello sviluppo umano; in essa va sottolineata sia l’integrazione di variabili individuali e ambientali dinamizzata dallo scorrere del tempo, che diventa reciproca e non lineare, sia il ruolo strutturante dell’azione individuale, attraverso meccanismi relazionali e cognitivi.

  1. La ridefinizione di alcuni concetti “classici”

Tutto ciò porta il nostro discorso a una ridefinizione di alcuni concetti “classici” della psicologia, di cui esamineremo per primo il concetto di sviluppo: rispetto a una concezione precedente che limitava cambiamento e evoluzione a un periodo maturativo iniziale dello sviluppo umano, di cui gli studiosi parlavano come “età evolutiva”, si assume oggi come oggetto della psicologia dello sviluppo l’intera vita umana, parlandone nella prospettiva del “ciclo di vita” (life span)[11], nella consapevolezza ormai acquisita che tutta l’esistenza umana è pervasa da un mutamento incessante. Ritorna qui il tema del ruolo della dimensione tempo: lo sviluppo avviene nel tempo, che in un flusso continuo unisce passato, presente e futuro. Rispetto alla valorizzazione del passato e dell’influenza determinante delle prime esperienze infantili sull’individuo che le teorie classiche avevano sottolineato, vediamo come l’asse venga spostato sul presente, sulla situazione attuale, che può modificare l’evoluzione della persona, e sul futuro, che è nella mente dell’individuo come aspettativa e anticipazione.

Il concetto di ambiente, tanto spesso contrapposto a quello di individuo (ad esempio, nel comportamentismo), si trasforma in “ambiente percepito” dall’individuo, in quanto la mente umana, dotata di straordinarie potenzialità di rielaborazione, assume un ruolo strutturante dell’ambiente.

Anche la classica dualità tra i concetti di genetica e ambiente si libera di una rigidità che li ha visti antitetici in una lunga tradizione di studi di matrice ottocentesca e sempre più chiaramente viene annullata in una visione che li vede interagire in un sistema integrato e dinamico. Se i fattori genetici indicano le potenzialità dell’individuo, solo le caratteristiche ambientali in cui si sviluppano ne determineranno l’effettivo esplicarsi. Sicuramente le condizioni biologiche pongono un limite alle performances raggiungibili da un bambino nelle varie età, come per lo sviluppo del linguaggio verbale o delle competenze logiche, ma le sue potenzialità si realizzano in relazione alle esperienze e alle opportunità offerte dall’ambiente; lo sviluppo attuale delle neuroscienze ci ha dimostrato come l’esperienza modifichi la stessa maturazione neurofisiologica, ad esempio a livello di produzione e connessione delle sinapsi. Gli studi di psicologia dello sviluppo oggi tendono a evidenziare l’esistenza di periodi sensibili o critici in cui la ricettività all’influenza ambientale è massima e induce con maggiore probabilità cambiamento e apprendimento.

5. Nodi teorici attuali

In base a quanto detto fin qui, quali possiamo indicare come i nodi teorici attuali della psicologia dello sviluppo?

A nostro parere, in primo luogo quello della continuità e della discontinuità lungo lo sviluppo: ogni individuo, nell’affrontare i continui cambiamenti fisici e psicologici che intervengono nella propria esistenza, tende a preservare un filo ininterrotto con il proprio passato: affettività e intelligenza cooperano per rielaborare la discontinuità e tutelare un senso di identità.

Sul piano teorico, per spiegare continuità e discontinuità nel corso dello sviluppo, la psicologia tradizionale è ricorsa al concetto di stadio o fase. La teoria piagetiana parla di una sequenza invariante di stadi tra loro discontinui che si succedono durante lo sviluppo dell’individuo e spiegano le trasformazioni delle strutture mentali in termini qualitativi, su base maturativa. In effetti anche Freud utilizza un modello analogo per spiegare lo sviluppo psicosessuale. Caratteristica degli stadi e delle fasi è la concezione unitaria delle competenze cognitive o sociali che vengono acquisite, che limita la variabilità interindividuale per soggetti che si trovino nella stessa fase di maturazione e di fatto azzera la variabilità intraindividuale tra le diverse funzioni psicologiche. La concezione stadiale è stata messa in discussione già da Vygotskij[12] con la particolare sensibilità della sua prospettiva teorica al ruolo dei fattori sociali e storico-culturali, ed è ormai considerata pienamente superata nella psicologia contemporanea[13]. Non esiste una sequenza “necessaria” di sviluppo, su base biologica, che renda omogenee competenze cognitive o sociali di bambini della stessa età: esperienze sociali e scolastiche, modalità culturali di relazione segnano la specificità di ciascun individuo.

Acquisita stabilmente la concezione di variabilità tra individui diversi e all’interno dello stesso individuo, ma condividendo una sequenzialità di progressi lungo lo sviluppo condivisi dagli esseri umani, domina oggi tra gli studiosi l’idea dello sviluppo come una successione che segue una certa progressione dovuta a processi maturativi, che si realizzano però solo in relazione alle possibilità offerte dall’ambiente e alla esperienza e rielaborazione individuale. Al concetto di stadio viene dunque sostituito quello di percorso di sviluppo, che riguarda sia l’ambito cognitivo che quello affettivo e sociale: si tratta di percorsi possibili, individualizzati e differenziati, risultato della complessa interazione, lungo il tempo, dell’individuo col suo ambiente[14].

Pur riconoscendone la forte individualizzazione, questa concettualizzazione mira a cogliere nello sviluppo delle regolarità, definibili e conoscibili, nell’ambito di una teorizzazione sistemica e interazionistica.

In essa, come su accennato, viene in primo piano il ruolo del presente e delle opportunità che offre allo sviluppo, sottolineando l’influenza di alcune esperienze, volute o casuali (abbandonare la scuola, trovare un lavoro, avere un figlio) che, in interazione con la personalità dell’individuo, possono modificare la traiettoria di sviluppo per come si era fin allora definita (“turning point”).

Nell’ambito di questa rinnovata concezione evolutiva, come possiamo oggi definire lo sviluppo?

Sia Piaget[15] sia Werner[16] avevano già inteso, sia pure in modo diverso, lo sviluppo come una capacità di adattamento all’ambiente che ne compensasse le perturbazioni in modo sempre più flessibile e insieme più stabile. Ford e Lerner[17] ne hanno più recentemente dato una definizione maggiormente in linea con le linee sistemiche, multicausali e probabilistiche delle teorie attuali, parlando di «cambiamenti relativamente duraturi, e tali da incrementare o rendere più complessa l’articolazione dei tratti strutturali e funzionali della persona, e i paradigmi delle sue interazioni con l’ambiente, mantenendo la tempo stesso un’organizzazione coerente e un’unità strutturale e funzionale della persona come un tutto inscindibile»[18]. Non esiste dunque un’unica possibile traiettoria di cambiamento, sia per i vari individui che per le componenti psicologiche del singolo, ma si può parlare di sviluppo solo in presenza di un mutamento incrementale relativamente permanente[19], cioè di una sempre maggiore capacità di affrontare il cambiamento.

6. Causalità: relazione misurabile o illusione?

A questo punto, torniamo alla domanda iniziale “Causalità: relazione misurabile o illusione?”, cioè al tema che ha originato questo incontro di competenze disciplinari diverse.

Riprendendo quanto detto inizialmente, anche in psicologia dominano oggi i modelli probabilistici che escludono una causa unica e esiti certi; la sfida che i modelli probabilistici rappresentano per le scienze umane e in particolare per la psicologia è sul come intendere il fare scienza oggi: di fronte all’acquisita impossibilità di un’analisi in termini deterministici e unilineari che predìca in modo certo l’effetto dell’interazione complessa delle variabili in gioco, si accede alla possibilità di previsioni in termini di probabilità. Ma ciò colloca ancor più in primo piano la necessità di una sempre più accurata conoscenza delle variabili in gioco e delle loro modalità reciproche di interazione. Il compito della scienza psicologica diviene quello di non limitarsi a descrivere il funzionamento psichico ma di comprendere, e sempre più approfonditamente, le dinamiche che lo mettono in moto. Tutto questo diventa una sfida anche sul piano metodologico per metodi di ricerca sempre più diversificati e complessi e analisi sempre più raffinate.

Torniamo dunque al concetto con cui questo lavoro è iniziato. Verso una nuova scienza può voler dire solo avviarsi sulla strada che oggi abbiamo tentato di percorrere: l’interdisciplinarietà.


[1] M. Ceruti, La hybris dell’onniscienza e la sfida della complessità, in La sfida della complessità, a cura di G. Bocchi e M. Ceruti, Feltrinelli, Milano 1987, p. 25.

[2] Ibid.

[3] S. Bonino, I nodi teorici attuali, in Manuale di Psicologia dello Sviluppo, a cura di A. Fonzi, Giunti, Firenze 2001.

[4] Ibid.

[5] J. Piaget, La psicologia dell’intelligenza (1947), tr. it. Giunti-Barbèra, Firenze 1952.

[6] H. Werner, Psicologia comparata dello sviluppo mentale (1940), tr. it. Giunti-Barbèra, Firenze 1970.

[7] L.S. Vygotskij, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e altri scritti (1930-1931), tr. it. Giunti-Barbèra, Firenze 1974.

[8] J. Bruner, La ricerca del significato (1990), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1992.

[9] K. Lewin, Il bambino nell’ambiente sociale (1951), tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1963.

[10] U. Bronfenbrenner, P.A. Morris, The Ecology of Developmental Processes, in W. Damon (ed. by), Handbook of child psychology, Wiley, New York 1998.

[11] P.B. Baltes, H.W. Reese, L’arco della vita come prospettiva in psicologia evolutiva, in «Età evolutiva», 23, 1986, pp.66-96.

[12] L.S. Vygotskij, Lezioni di psicologia (1960), tr. it. Editori Riuniti, Roma 1986.

[13] J. Bruner, La ricerca del significato, cit.

[14] S. Bonino, I nodi teorici attuali, cit.

[15] J. Piaget, L’equilibrazione delle strutture cognitive: problema centrale dello sviluppo (1975), tr. it. Boringhieri, Torino 1981.

[16] H. Werner, Psicologia comparata dello sviluppo mentale, cit.

[17] D.H. Ford, R.M. Lerner, Teoria dei sistemi evolutivi (1992), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 1995.

[18] Ibid., p. 69.

[19] Ibid.

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