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Vanna Gessa Kurotschka, Rosario Diana, Marco Boninu (a cura di) – Memoria. Fra neurobiologia, identità, etica [Mimesis, Milano 2011, pp. 235, € 16]

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco.

J.L.Borges

 

Il tema della memoria, tornato prepotentemente “di moda” negli ultimi anni, necessita, senza dubbio, di un approccio non banale e, giocoforza, multidisciplinare. Un approccio, cioè, in grado di problematizzare e valorizzare un argomento delicato e complesso, così da sottrarlo alla morsa mortale della ciancia giornalistica. Da questo punto di vista, i saggi presenti in Memoria fra neurobiologia, identità, etica hanno il pregio indiscutibile di dare risalto a importanti questioni, percorrendo sentieri, che, come cercherò di dimostrare, sono solo in apparenza differenti. Nella prima parte, infatti, vengono presentati gli interventi di vari scienziati, che si concentrano, in particolar modo, sugli aspetti neurobiologici, fisici e psicologici del ricordare e del dimenticare.  È possibile rintracciare, a tale proposito, elementi di grande valore sia nei contributi di Alberto Olivierio e Riccardo Manzotti, dedicati rispettivamente all’affidabilità dei ricordi e al rapporto che intercorre tra memoria e percezione, sia in quello di Micaela Morelli, che prende in esame le modalità in cui gli stessi ricordi si formano a livello cerebrale. Secondo la studiosa, un ruolo importante nei processi di formazione e consolidamento della memoria è ricoperto dal sonno, perché proprio nel sonno gli eventi più significativi della giornata appena trascorsa vengono conservati a scapito degli eventi meno significativi: durante il sonno non REM, per la precisione, si crea un flusso di informazioni dall’ippocampo alla neocorteccia, che favorisce la conservazione e il consolidamento di quanto viene acquisito durante la veglia, mentre nella fase REM vera e propria si formerebbero nuove associazioni tra tracce mnemoniche già realizzatesi e conservate durante la veglia. Si ha, in altre parole, una selezione dei ricordi, selezione che aiuta il corretto funzionamento del cervello e che fa sì che i neuroni non vengano caricati di informazioni ridondanti.

Nella seconda parte del testo, che potrebbe essere divisa ulteriormente in due o più sezioni, la memoria viene scandagliata dal punto di vista etico-politico e psicologico. Vi sono, da un lato, saggi – quali quelli di Stefania Achella, Giuseppe D’Anna, Rosario Diana – che si rivolgono all’analisi della funzione svolta dal rammemorare nei processi di costruzione dell’identità; dall’altro, i contributi di Fiorella Battaglia, Anna Donise, Sabine Marienberg, che analizzano il ricordo dal punto di vista antropologico e linguistico, offrendo anche una disamina attenta delle patologie della memoria. In quest’ottica, va, senza dubbio, segnalato l’intervento di Simona Argentieri, che tocca, in maniera originale, una problematica molto suggestiva. Lavorando sul concetto di “transgenerazionale”, la psicoanalista cerca di mostrare come spesso eventi traumatici si trasmettano involontariamente da una generazione all’altra: «la peculiarità del transgenerazionale», scrive la Argentieri, «è connessa a riscontri clinici penosi, legati a storie familiari cariche d’angoscia, come quelle relative alla persecuzione razziale ed alla morte. Così il secondo tempo della risignificazione retroattiva del trauma, che non si è potuto inscrivere come ricordo, avverrebbe talvolta non nella mente del protagonista, ma nella dimensione intrapsichica di un suo postero, ignaro depositario del penoso lascito» (p. 76). Inoltre, dopo aver presentato un’ampia casistica a sostegno della propria tesi, conclude il ragionamento, asserendo, con Walter Benjamin, che a ogni uomo deve appartenere sia il dovere di ricordare sia il diritto di dimenticare, perché, solo attivando questa particolare dialettica, ogni individuo può evitare di assumere comportamenti patologici, che hanno delle ricadute significative sulla vita affettiva e sulle relazioni interpersonali in generale. Ragion per cui occorre che ognuno di noi sia pronto e disposto ad elaborare, ri-costruire la propria storia, senza voler a tutti i costi penetrare quegli eventi, che, per varie ragioni, tendono a sfuggirci, rintanandosi in luoghi irraggiungibili. E, al tempo stesso, come mette in evidenza anche Rosario Diana, «se nel leggere un’autobiografia, o più semplicemente, nell’ascoltare un amico o il nostro partner che tira le somme della propria vita fino ad oggi, non dimenticheremo che nella serenità o nel tormento, con cui si modula nel nostro interlocutore il rapporto con la sua memoria, si annida un “residuo” intrasoggettivo a noi inaccessibile, avremo rinunciato – e a ragione – all’idea che tutto si possa comunicare, con la lingua o con altri linguaggi; ma soprattutto – e cosa più importante – avremo rinunciato a ricondurre e ridurre l’altro alla conoscenza che ne abbiamo, restituendolo così a se stesso, ad una lontananza da noi che ce lo rende ancora più vicino» (p. 132).  Vi è, insomma, sia nei nostri racconti che in quelli altrui, un qualcosa di misterioso, un’incognita destinata a restare tale; di fronte a essa, l’uomo deve arrestarsi, onde evitare di arrecare danno a se stesso o agli altri. La messa in risalto di questo limite è, a mio avviso, il vero filo rosso che unisce i vari tasselli del testo, riuscendo a combinare mirabilmente tra loro una prima parte, come si è detto, “scientifica” e una seconda parte più squisitamente filosofica, in cui i vari autori si confrontano con pensatori quali Vico, Husserl, Ricoeur, e che si chiude con l’esame “politologico” della memoria condotto da Marco Boninu. Questi, difatti, passa al vaglio, in maniera sintetica e al tempo stesso efficace, i tre possibili rapporti, che si possono instaurare tra la memoria e la democrazia, intese entrambi in maniera molto generica, secondo un’accezione, come egli stesso afferma, di senso comune: sottolinea, pertanto, che la memoria può avere sia una funzione positiva e stabilizzante all’interno un regime democratico, qualora riesca a creare le condizioni per un incontro pacifico tra i vari gruppi sociali e politici, sia una funzione negativa, qualora sia fonte di scontro tra fazioni che si richiamano ad esperienze passate tra loro differenti e in conflitto. Si tratta, come è facilmente intuibile, di un tema ampiamente dibattuto, destinato a essere ancora per molto fonte di controversie, almeno fino a quando il fiume del tempo, che noi tutti siamo, continuerà vorticosamente a fluire. 

Ciro Incoronato

05_2011

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