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Vallori Rasini – Theorien der organischen Realität und Subjectivität bei Helmuth Plessner und Viktor von Weizsäcker [Königshausen & Neumann, Würzburg 2008, pp. 177, € 29,80]


Sarà colpa o merito (molto dipende dai punti di vista) dei “neuroni specchio”, di cui ormai si parla nei bar quasi quanto della formazione della nazionale, colpa o merito dell’inarrestabile diffusione di dati puntualmente “sconvolgenti” forniti dalle moltiplicate tecniche di neuroimaging, saranno gli strascichi delle “rivoluzionarie” scoperte maturate nel cosiddetto decennio del cervello, sta di fatto che oggi di neurologi che si occupano di filosofia ce n’è a bizzeffe. Per non parlare di filosofi che si occupano, o perlomeno si preoccupano, di neurologia. Le contaminazioni sono sempre una buona cosa, le mode un po’ meno. Non sappiamo se Viktor von Weizsäcker (1886-1957) amasse o meno le mode, certo è che è stato un neurologo che si è occupato di filosofia in tempi non sospetti. E considerato lo spessore delle sue analisi, è bene che la filosofia si sia occupata di lui. Tra i primi a scoprirlo è stato Aldo Masullo, che nel suo Struttura, soggetto, prassi (1962) ne rielaborava il concetto di paticità e, al contempo, ne introduceva il nome nel dibattito filosofico nostrano. Passo senz’altro importante, quello compiuto da Masullo, nella diffusione delle tesi filosoficamente rilevanti del neurologo tedesco. Ma c’è un ma. Masullo utilizza von Weizsäcker come Heidegger utilizza Nietzsche o, mutatis mutandis, Peter Gabriel utilizza i Radiohead nel suo Scratch My Back: l’altro diventa un modo per continuare a esprimere il sé. Ecco, non foss’altro che per il merito di ricondurre le analisi di von Weizsäcker nel loro proprio terreno di coltura in modo da illustrarne con chiarezza le ramificate genealogie, ora scientifiche ora filosofiche, il lavoro di Vallori Rasini è un lavoro meritorio. Di più, considerato che la Rasini non si limita a riportare le tesi dello scienziato tedesco ma intreccia un serrato quanto dettagliato confronto tra le sue tesi e quelle di uno dei classici del pensiero antropologico-filosofico novecentesco, vale a dire Helmuth Plessner (1892-1985), si può dire che Theorien der organischen Realität und Subjektivität è un lavoro utilissimo. Concetti e problemi come quelli di realtà organica, di processo vitale, di temporalità e spazialità dal punto di vista del vivente, e quindi di tempo organico, di tempo biologico e di unità spaziotemporale, per non dire delle questioni relative alla soggettività e alla condizione umana more biologico demonstratae, sono solo alcuni dei temi sollevati e affrontati dallo studio della Rasini.

Ma perché comparare le tesi del neurologo con passione filosofica proprio con quelle del pensatore più influente dell’antropologia del secolo scorso? Le ragioni sono tante e il lettore ha l’opportunità di scoprirlo pagina dopo pagina. Forse non la fondamentale, ma a mio giudizio una delle ragioni più intriganti del confronto sta nel comune dispositivo che entrambi adoperano nel rigettare l’ingombrante dualismo cartesiano in nome del quale la natura, e la natura umana in particolare, più che una concreta realtà da conoscere è finita con l’apparire sempre più come il prodotto dei metodi utilizzati per studiarla. Senza dubbio von Weizsäcker avrebbe sottoscritto le scorate parole di Plessner secondo cui, alla luce del progressiva diffidenza maturata tra scienza e filosofia, «l’uomo esiste come l’unità in sé incomprensibile di due posizioni non riconducibili l’una all’altra». Il fatto è che von Weizsäcker per professione e Plessner per vocazione si rendono conto che la scienza del tempo comincia a mostrare dei precisi rapporti di dipendenza tra le caratteristiche psichiche, la struttura corporea e le funzioni della coscienza. «Die Vernunft – osserva giustamente la Rasini – wandelt sich von einem stabilen Bezugsystems zur Variablen, die von einem komplexen Ganzen abhängt. [La ragione da sistema stabile di riferimento, si trasforma nella variabile dipendente di un complesso insieme»] (p. 18). Tra le varie scienze, sono proprio quelle neurologiche a mostrare questa interdipendenza. L’insorgere di un disturbo cerebrale, sia nella visione di von Weizsäcker sia in quella di Plessner, non è semplicemente il sintomo di una diminuzione o magari di una soppressione di talune funzioni percettive o razionali; al contrario, dice Plessner, «es können andere Wahrnehmungswelten und Denkordnungen, andere Naturen für die betreffenden Personen auftreten, von anderer “Logik” und Sinnverfassung, als sie “unsere” Natur, die des normalen Durchschnitts, zeigt: geschlossene Welten von eigenartiger innerer Notwendigkeit» [è possibile che compaiano nuovi mondi percettivi e nuovi ordinamenti, altre nature per le persone in questione, con un’altra “logica” e con un altro significato rispetto a quello della “nostra” natura, quella della normale media; mondi compatti, con una propria necessità interiore] (p. 18). La consapevolezza di un simile rapporto conduce entrambi a un superamento della separazione di scuola tra funzioni vitali e funzioni psicologico-razionali e, al contempo, al superamento dell’assolutizzazione del concetto di natura, fin lì ancora fossilizzato sul modello proposto dalla meccanica classica.

È su questo comune terreno che i due pensatori elaborano le loro originali teorie dell’organico, ambedue consapevoli che uno sguardo sull’organico, sul vivente come tale, si configura come una via d’accesso obbligata a qualsiasi ulteriore speculazione sull’uomo. Ma cos’è l’organico? Cos’è il vivente? «Immer ist das Lebendige – afferma Weizsäcker ­­– ein veränderliches Gleichbleibendes» e aggiunge: «wie der Mensch». [Il vivente è sempre qualcosa di permanente che muta. Come l’uomo] (p. 106). A tal proposito nota opportunamente l’autrice: «Der Mensch also, aber nicht nur er. Die Ausformulierung seiner Theorie führt seine Erwägungen immer näher an das eigentliche Lebenswen heran – an eine Seinsgattung, die sich in ewiger Transformation befindet, ohne dabei die Identität zu sich zu verlieren. Der Mensch ist lediglich eine besondere Art von Lebewesen (wobei feststeth, dass der Mensch, der sich besser als andere gewissen Experimenten unterwirft, herausgenommen warden kann und zwar mit größerer Einfacheit und Gewissheit. Der Mensch bleibt deswegen ein “bevorzugter” Bezugspunkt, der die Erforschung des Sinns der Biologie und der Eigenschaft seines Objekts vereinfacht)» [L’uomo, dunque, ma non solo. Nel formulare la propria teoria, le sue considerazioni si volgono sempre più al vivente in quanto tale, un genere di essere che perennemente si trasforma senza perdere l’identità con sé. E l’uomo non costituisce che una particolare specie di vivente (benché sia chiaro che dall’essere umano, che si presta meglio di altri a certe forme di sperimentazione, si può attingere più direttamente e con maggiore facilità e certezza. L’uomo rimane pertanto un riferimento “privilegiato” che semplifica la ricerca del senso della biologia e del carattere del suo oggetto)] (pp. 106-107).

Insomma, proprio come accade a Bergson ne L’evoluzione creatrice, qui l’uomo appare come un “privilegiato” oggetto di studio non per statuto ontologico ma per comodità sperimentale: l’uomo è il vivente più prossimo a se stesso.

Se dei “gradi dell’organico”, della “centricità” dell’animale e dell’“eccentrità” dell’uomo, così come della “posizionalità” in generale, siamo stati sufficientemente edotti grazie a un’ampia letteratura plessneriana (cui Vallori Rasini ha pure fornito il suo importante contributo), su alcuni concetti chiave del pensiero di von Weizsäcker dei chiarimenti si rendevano effettivamente necessari. Per esempio sui rapporti tra spazio, tempo e realtà organica. Come per Plessner, sottolinea la Rasini, anche per von Weizsäcker «Leben lässt sich nicht in rein matematisch-quantitativer Weise wie ein einfaches Segment messen; […] die zeitliche Eineheit der Biologie verweist also in keinster Weise auf das System der Physik und ist von ihr auch nicht ableitbar» [La vita non si lascia misurare in maniera puramente matematico-quantitativa come un semplice segmento; […] e l’unità temporale della biologia non rimanda in alcun modo al sistema della fisica e non è da essa desumibile] (p. 120). «Leben ist keine zeitliche Einteilung, sondren Rhythmus» [La vita non è scansione temporale, ma ritmo»], dice von Weizsäcker con linguaggio che farà proprio anche Bachelard. Nel dire che la vita dà ritmo, egli fa riferimento a una legge elaborata in ambito neurofisiologico, la cosiddetta «legge del tempo figurale costante» di Auerseprg e Derwort, secondo cui, entro certi limiti, il tempo complessivo necessario per ottenere una determinata prestazione figurale rimane costante indipendentemente dalla grandezza della sua figura. Si tratta di una legge che non ha alcuna corrispondenza con le leggi della fisica. Per esempio, entro margini ragionevoli, per disegnare una figura nell’aria, un cerchio o una ellissi, si impiega lo stesso tempo indipendentemente dalle dimensioni della figura tracciata. «Die organische Bewegung – dice von Weizsäcker – hebt aber schon mt einer solchen Geschwindigkeit an, das jedes mal ein ganzer Kreis in derselben Zeit entsteth» [Il movimento organico comincia già con una velocità tale che in ogni caso, nel medesimo tempo, si origina un cerchio completo] (p. 121): la velocità lineare del movimento aumenta spontaneamente con le proporzioni della figura, lasciando inalterato il tempo complessivo della esecuzione. È come se vi fosse una dipendenza reciproca tra figura e velocità di figurazione, un fenomeno totalmente sconosciuto alla fisica e alla meccanica. Così come il tempo biologico, anche lo spazio biologico presenta le sue peculiarità, per cui acquista un senso solo in relazione a una prestazione organica. «Die organische Operation gibt jedem ihr angehörigen Element die räumliche Bestimmung: “Die Leistung bestimmt zuerst ein gleichsam punktförmiges Hier, von diesem aus die räumlichen Befindlichkeiten der Dinge um es herum» [È l’operazione organica a dare la determinazione spaziale a ogni elemento che le appartiene: “la prestazione – scrive von Weizsäcker – determina anzitutto un qui in certo qual modo puntiforme e a partire da questo la collocazione spaziale delle cose intorno”] (p. 128).

Particolarmente interessante è inoltre il concetto weizsäckeriano di Gestaltkreis, con cui egli intende il modo d’essere dell’organico in generale, di una specie di oggetto che non può essere definito in maniera univoca, vale a dire che non può essere definito in modo ontologico ma solo in modo ontico, e ciò a causa della sua ambivalente natura attiva e passiva, reattiva e ricettiva. «Mit dem Begriff Gestaltkreis verstehe ich eine wesentliche Struktur des patisch begriffenen lebendigen Aktes» [con Gestaltkreis intendo una struttura essenziale dell’atto vivente afferrato in modo patico] (p. 107). Ed eccoci dunque al patico, a quel concetto tanto amato da Masullo, dai tanti masulliani (consapevoli e non), e da tutti coloro che hanno fatto – giustamente – di von Weizsäcker un importante punto di riferimento nella filosofia della medicina e forse anche nella bioetica. Alla luce della sua teoria dell’organico, spiega la Rasini, «Das Leben ist ein komplizierter Prozess, in dem der Wandel einen bedeutenden Anteil hat, aber um dessen tiefere Bedeutung zu verstehen, ist es unerlässlich den “Erlebnis” Aspekt zu betonen, die Tatsache, das immer ein “Erleiden” impliziert ist, eine “Passion”» [La vita è un complicato processo in cui ha una parte determinante il cambiamento, ma per comprenderne il significato più profondo è indispensabile sottolinearne l’aspetto “vissuto”, il fatto che vi sia sempre implicato un “subire”, una “passione”» (p. 107). Con rispetto sì, ma senza alcun timore reverenziale per Heidegger, il neurofisiologo a tal proposito osserva: «Nicht nur setzt es sich selbst und ist so aktiv: es geschieht ihm auch zu sein, und so ist es passiv. unsere Aussagen darüber truffen nicht Ontisches allein, sondern Pathisches» [non solo la vita pone sé stessa ed è in tale modo attiva, ma anche le succede di essere ed è perciò passiva. Le nostre asserzioni sulla vita incontrano dunque non solo l’ontico, ma anche il patico]» (pp. 107-108).

Cristian Fuschetto

05_2010

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