È vero: «un certo desiderio di assenza» del corpo (p. 12) continua a permeare le società e i singoli. Un corpo percepito come peso, rischio, lordura. Il peso del tempo che avanza e della impossibilità di azioni e comportamenti che la sua struttura anatomo-fisiologica rende infattibili. Il rischio sempre incombente della malattia e del morire. La lordura rispetto ai luminosi e rarefatti orizzonti di ciò che di volta in volta è stato chiamato anima, spirito, razionalità, mente, virtuale.
Espressione paradigmatica di una perplessità verso il corpo che diventa spesso diffidenza e persino rifiuto è il cartesianesimo. Infatti, il corpo «quest’evidenza silenziosa che mi accompagna, una volta che si cerchi di afferrarla e comprenderla, rivela una sua insondabile opacità; e forse nessuno meglio di René Descartes ha saputo descrivere quanto facile sia cogliersi immediatamente come esseri pensanti e quanto difficile, invece, afferrare quest’estraneità che pure il corpo è» (p. 15). Espressione paradossale e ambigua, dato che Descartes è all’origine anche delle tradizioni che rifiutano qualunque cosa si possa ricondurre all’anima, a favore del puro meccanismo del mondo. Un meccanismo che però diventa espressione ancora una volta di una razionalità disincarnata, puramente formale, algoritmica, computazionale, virtuale. Lo diventa non solo nella tradizione della scienza galileiana ma anche e soprattutto nelle correnti transumaniste del presente.
Complessa, come si intuisce, è la vicenda del corpo nella storia. Di essa Maria Teresa Catena formula una sintesi illuminante a partire dai concetti e dalle pratiche del corpo presente e del corpo assente. Due paradigmi che nel corso del tempo si susseguono, si intrecciano, si separano, si trasformano.
Momento e forma fondamentale è il corpo pagano:
«Composto della materia eterna e informe che, in quanto tale, condivide l’incrollabile perpetuità dell’universo, nel quale giocano dèi esuberanti, il corpo è visto dai pagani come un oggetto del mondo naturale, qualcosa che occupa il suo legittimo posto nella grande catena dell’essere che lega l’uomo agli dei da una parte, alle bestie dall’altra. […]
Più che portatrice di una forza sorda, duttile e temibile, di cui sospettare continuamente, la corporeità è, nell’Antichità, espressione dello spirito ardente che attraversa la natura; è composta, scrive Cicerone, dello stesso calore che irradia dalle stelle» (p. 44).
Anche Platone, il troppo frainteso Platone, pur privilegiando in alcuni dialoghi e momenti la ψυχή non ha mail ritenuto il σῶμα un elemento di perdizione e anzi nel Timeo lo pone al centro dell’armonia individuale e cosmica. Il “dualismo” platonico è in gran parte presunto ed è invece assai più reale il dualismo cartesiano e post-cartesiano che mostra ancor oggi tutta la sua forza ermeneutica e prassica nel corpo assente delle correnti e posizioni estropiane e transumanistiche che pervadono anche alcuni sviluppi dell’Intelligenza Artificiale e del variegato arcipelago delle tecnologie virtuali. In esse opera infatti la tendenza
«a far assentare il corpo, a mettere da parte la lentezza della sua evoluzione biologica per tentare di realizzare quel che si crede essere la natura più propria dell’uomo, cioè quell’intelligenza che in tutta evidenza – come già recitava il vecchio adagio del corpo assente – trova il suo senso indipendentemente e contro la prigione di una carne che, in fondo, continua a restare il vero limite al pieno dispiegamento della sua dimensione spirituale» (p. 156).
Ritornano le tendenze, quasi le implorazioni, orfiche contro la carne, contro il corpo, a vantaggio di un «materialismo escatologico e/o platonismo tecnofilo» (p. 173) che sembra volersi sbarazzare di insegnamenti diversi tra loro ma fondamentali quali il naturalismo darwiniano, la fedeltà nietzscheana ai corpi e alla terra, la fenomenologia della chair di Merleau-Ponty, tutte espressioni del corpo immanente che siamo, che l’animalità è.
La riflessione di Darwin «fa del corpo […] una presenza imprenscindibile che, di antropos, racconta insieme, la radicale immanenza, la sua decentrata continuità con gli altri esseri e la radice materiale delle sue cosiddette facoltà superiori» (p. 81). Le manifestazioni politiche della centralità del corpo sono innumerevoli e permeano tutta la cultura umana: dai riti alle torture, dall’abbigliamento alla medicina. Anche nel presente epidemico stiamo ben osservando come il controllo delle “anime” e delle “menti” passi sempre e si compia nel controllo della corporeità umana. Lo ha ben indicato, tra gli altri, Foucault, che ha individuato un «micromotore, capace di agire sui corpi e sulla vita disciplinandoli attraverso delle dinamiche estremamente complesse e diversificate. Più nello specifico: il dispositivo disciplinare si attua grazie all’organizzazione di situazioni e luoghi, in particolare istituzioni chiuse, in cui poter esercitare su gruppi relativamente ristretti o inquadrati di individui un controllo che permette, al contempo, di avere a disposizione un sapere completo su questi stessi individui» (p. 104).
Plurale è quindi il corpo. Fatto «di significati, figure e nature» (p. 15) diverse, ricche, simboliche, materiche, storiche, psichiche, sanitarie, politiche; «un che di dinamico ed eterogeneo» (p. 61) che ha la caratteristica inoltrepassabile di rimanere sempre infisso al centro della storia e della vita. Perché la corporeità umana è la storia, il corpo è la vita. Storia e vita che nascono dal «corpo presente, disseminato in modi e figure diverse» (p. 184) e del quale questo libro ci racconta con rigorosa passione la vicenda.
Alberto Giovanni Biuso
S&F_n. 27_2022