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Eugenio Mazzarella – Contro Metaverso. Salvare la presenza [Mimesis, Milano-Udine 2022]

La “rivoluzione” firmata Mark Zuckerberg continua con il Metaverso, ossia con un mondo digitale che gli utenti possono abitare attraverso l’uso di strumenti specifici, ad esempio dei visori. Tale prodotto è caratterizzato sia dall’uso della tecnologia della realtà aumentata che dalla realtà virtuale. Si garantisce, in questo modo, un’esperienza sensorialmente completa: indossato il proprio visore, l’utente “percepisce” il proprio corpo – si appercepisce – nello spazio virtuale e può così interagire con esso.

Rispetto ai precedenti “prodotti” di Zuckerberg – i social network come Instagram e Facebook – il Metaverso si distingue proprio per il coinvolgimento onnicomprensivo dell’utente, invitato ad abitare presso un mondo completamente digitalizzato. Non si tratta solo di connettersi a ulteriori utenti, ma di abitare con essi, di condividere un orizzonte di vita vissuta, stavolta digitale.

Il senso riflessivo del recente testo di Eugenio Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza, chiaro sin dal titolo riguardo la posizione critica che l’autore argomenterà, consiste in un’analisi della contemporaneità e della digitalizzazione, rispetto alla quale il Metaverso non è altro che il culmine di una trasformazione già in atto.

Nonostante la nota e autorevole predilezione di Eugenio Mazzarella per una riflessione di tipo teoretico, il testo in questione presenta un aspetto di intrinseca agilità, un tono diretto che avvicina l’autore tanto all’attività giornalistica che a quella filosofica. In tal senso, Contro metaverso può essere considerato un pamphlet che ha l’intento di scuotere il pensiero rispetto alla “quarta rivoluzione”, elaborando una sorta di critica della ragion digitale.

Il testo prende avvio dalla considerazione di una categoria ormai canonica per gli studi sul tema, quella di onlife. Il termine coniato da Luciano Floridi, con cui Mazzarella si confronta ripetutamente nel testo, qualifica la contaminazione reciproca dell’orizzonte online e offline, generando uno sfumarsi che supera ogni separazione. L’autore si esprime criticamente rispetto all’orizzonte dell’onlife non già perché neghi tale descrizione della realtà, quanto piuttosto per portare alla luce aspetti di cui il pensiero dovrebbe occuparsi: «dall’interno di questa realtà mista “vissuta” quel che verrà meno è proprio la percezione della differenza tra realtà (psico)fisica e realtà virtuale, proprio perché mentre la prima crederà di espandersi, di aprire “colonie” della sua esperienza nella realtà virtuale, quest’ultima a sua volta colonizzerà con un senso di presenza indotto artificialmente il vero senso di presenza della realtà psicofisica. […] Entreremo in una nuova realtà, una realtà ibrida che dall’interno avrà scarse o nulle capacità anche di sapersi come ibrida» (p. 136). L’autore mette in luce l’impossibilità per l’utente di distinguere una vita vissuta qui e una altrove, in una situazione che considera equivalenti i due orizzonti. Mazzarella segnala l’accettazione senza resistenza di tale trasformazione, monca di una riflessione adeguata che possa tenere, custodendole, le differenze che al contrario sussistono tra online e offline.

Senza dubbio tale posizione teorica implica una certa considerazione differente dell’utente online e dell’uomo offline. Ciò si evince chiaramente a partire dalle considerazioni rispetto all’avatar, l’alter-ego digitale con cui l’utente dovrebbe vivere nel Metaverso. L’autore mostra tutte le sue perplessità, rispetto a «questo traslare la propria esperienza nel digitale tramite avatar, ritenendola ancora la “propria” esperienza”» (p.20). La questione che si pone concerne il modo in cui l’uomo può abitare tale orizzonte di interazione: si tratta di un uomo privato del proprio corpo, che ricuce la propria identità, ora virtuale, in termini di avatar. Il modo in cui l’individuo viene concepito secondo la narrazione floridiana – quest’ultima costituisce la posizione teorica di riferimento per comprendere le trasformazioni del Metaverso – chiama in causa la sua capacità di calcolo, come se «per riguadagnarla la nostra centralità, per essere all’altezza dell’infosfera, del suo potere di calcolo, per abitarla e non esserne semplicemente abitati, […] c’è bisogno di avatarsi, disincarnarsi […] nel nuovo mondo del virtuale» (p. 40). La questione su cui l’autore invita a riflettere è se tale traslazione conservi l’uomo in quanto tale: l’avatar che interagisce nel mondo virtuale è quello stesso uomo che sta nei pressi del mondo in carne e ossa? Secondo Mazzarella, si tratta di un salto evolutivo il cui ideale regolativo sembra essere la “smaterializzazione” sempre più spinta nel virtuale della vita reale. Ciò che si smaterializza è la carne di quell’uomo che, insieme allo spirito, si costituisce: non si tratta di una liberazione dalla materia, per il puro spirito, ma di una liberazione dal peso della carne. La promessa dell’onlife di «portare a termine una volta per tutte l’antica guerra dello spirito contro la materia biologica» (p.28) è una promessa mancata: la proposta interpretativa di Mazzarella sottolinea, invece, un passaggio da materia a materia, piuttosto che una trascendenza dello spirito, una vittoria dello spirito, dalla e sulla materia. La trascendenza avviene, ma nella «materia senza patema dei chip» (p.28).

Mazzarella rivendica, piuttosto, l’appartenenza umana a un orizzonte bio-etico, che fa da fondamento a quello noetico: «abitiamo il bio-etico, il nostro radicamento organico-vitale, come dimensione di emergenza del noetico; radicamento da cui questo non può mai spogliarsi» (p.32).

Il sottotitolo del testo ne chiarisce il paradigma interpretativo: salvare la presenza. L’autore segnala, infatti, una crisi della presenza nei termini di un «esser presso», nella vicinanza del mondo e degli altri che lo abitano. Ciò costituisce la cifra del cambiamento epocale in corso o, come scrive, «dello shock antropologico in cui siamo immersi» (pp. 11-12). Rispetto alla crisi della presenza nei pressi degli altri, la possibilità di interagire con individui che non sono in presenza non è tanto un arricchimento di relazione quanto più uno pseudonimo di essa: essere in contatto vuol dire già essere in relazione? Se da un lato si possa ritenere che il campo delle relazioni si sia ampliato in virtù di una forma virtualizzata di esse, d’altro canto Mazzarella argomenta l’insopprimibile specificità della presenza in carne e ossa: «Ma la parola di una carezza può essere data solo in presenza. Nel vivo contatto di una mano. E chi ha dato almeno una volta un bacio, sa come l’anima esce da sé per incontrarne un’altra» (p. 67). Per Mazzarella, quella del Metaverso è una pseudo-presenza: essa è capace di «alterare potentemente il senso di presenza dell’esperienza ordinaria dei soggetti» attraverso «la sua capacità di implementare virtualmente il senso di presenza» (p. 128). Si comprende, dunque, la rivendicazione dell’autore di non eludere le differenze tra gli orizzonti online e offline, perché sia tutelata la specificità di quell’offline già sempre vissuto.

Il testo si occupa, infine, delle implicazioni politiche nell’attuale configurazione del mondo digitale. Mazzarella problematizza lo scenario in cui la regolamentazione dell’algoritmo è gestita internamente allo stesso, «un’algoretica impiantabile nelle macchine operanti capace di dare una vera “intelligenza” alla loro stupidità» (p. 115). L’autore critica la possibilità di demandare alla macchina, oltre alle funzioni umane che già svolge, anche quella «moralizzatrice» (p. 117), che identifichi le norme dell’attività algoritmica. Nel testo emerge la rivendicazione affinché il ruolo politico e sociale per la gestione della macchina rimanga umano: è necessario «tenersi saldi a una responsabilità umana non alienabile di cui non bisogna farsi espropriare» (p. 121). L’uomo che deve rimanere è colui che stabilisce i princìpi organizzativi dello spazio in cui abita. D’altronde, ulteriore problematica politica che si connette all’algoretica concerne la decisione di chi debba installare nella macchina «i “valori” da implementare nell’operatività del “fare” macchinico-digitale» (p.122), questione che mette in rilievo la contestuale influenza che l’utente, abitante del digitale, vive rispetto alle proprie scelte, che non sono soltanto di tipo commerciale, ma riguardano anche la costruzione del sé. Dunque, il nodo politico segnalato da Mazzarella riguarda le direttive che guidano tale ri-ontologizzazione del mondo, da ricondurre non soltanto al linguaggio computazionale della macchina, ma anche agli individui che gestiscono la scrittura degli algoritmi, strutturando l’orizzonte virtuale. L’invito per l’uomo è di continuare a occupare un ruolo politico che attivamente si occupi dello spazio che abita.

La riflessione di Eugenio Mazzarella è, senza dubbio, un invito alla cautela. Si richiama lungo tutto il testo il ruolo critico del pensiero, che è insieme problema e possibilità. Se ciò che manca nel dibattito è una posizione che tematizzi e metta in questione la trasformazione onlife, d’altro canto è proprio il recupero di una posizione critica a costituire la possibilità, per questo tempo, di tutelare la differenza di online e offline. Ciò spiega il motivo per cui non è appropriato considerare tale contributo – semplicisticamente – tecnofobico. L’intento dell’autore è, piuttosto, quello di sollecitare ad «apprendere il proprio tempo con il pensiero», considerandolo nei suoi aspetti più legati alle trasformazioni che il virtuale rischia di produrre sul reale.

 Alessia Gifuni

S&F_n. 30_2023

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