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Edmund Russell – Storia ed evoluzione. Un nuovo ponte fra umanesimo e scienza [Bollati Boringhieri, Torino 2020]

Almeno a partire dal libro The Two Cultures and the Scientific Revolution (1959) di Charles Percy Snow, la percezione di una dicotomia irriducibile fra “scienze dello spirito” e “scienze della natura” caratterizza la cultura contemporanea. Il settorialismo e l’iper-specialismo dell’approccio intellettuale odierno non è dovuto solo a un pregiudizio di fondo, tipico dello Zeitgeist attuale, che privilegia l’analisi della parte anziché le complesse visioni sintetiche, ma è anche il risultato inevitabile dell’enorme crescita delle conoscenze nel corso dei secoli. Ad ogni modo, se da un lato, sia a livello istituzionale sia nel senso comune, Humanities e Natural Sciences permangono su binari paralleli, dall’altro è innegabile l’opportunità di adottare interscambi disciplinari che riabilitino l’ideale rinascimentale di unità della conoscenza al fine di provare a rispondere, adottando un pensiero complesso (nel quale, etimologicamente, i diversi elementi del reale sono “tessuti insieme”), alle sfide del XXI secolo: un’urgenza tanto più impellente quanto più i problemi attuali esigono una prospettiva interdisciplinare per essere affrontati (cfr. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001).

Il saggio Storia ed evoluzione di Edmund Russell, storico dell’ambiente e della tecnologia presso la Carnegie Mellon University di Pittsburg, appare come un ottimo strumento per la comprensione di questa emergenza. Essa non è di interesse soltanto epistemologico, ma anche politico: una chiara consapevolezza dell’intreccio biunivoco fra l’evoluzione dell’uomo e quella delle specie non umane può essere altamente istruttiva circa l’impatto che Homo sapiens ha avuto e continua ad avere sull’ambiente e, di conseguenza, costituisce una conditio sine qua non per assumere scelte di pianificazione territoriale e di gestione delle risorse che non vadano a detrimento della vita (anche umana) sulla Terra. «Uno degli scopi centrali di questo libro è quello di correggere l’idea intuitiva che molti di noi hanno dell’evoluzione come qualcosa di distante che capita là fuori, da qualche parte – lontano da noi nel tempo e nello spazio, lontano da noi come specie e certamente lontano da noi come individui» (Russell, 2020, p. 21). La selezione inconscia di ceppi di batteri resistenti agli antibiotici mediante l’abuso dei saponi antibatterici (cap. 1); l’evoluzione di elefanti africani privi di zanne e di merluzzi e salmoni di dimensioni minori rispetto ai loro antenati per effetto della pressione venatoria e della pesca intensiva (cap. 3); gli effetti indesiderati dei piani statunitensi di eradicazione delle coltivazioni di coca in Bolivia (cap. 4): sono solo alcuni dei casi proposti dall’autore quali esempi di come la storia evoluzionistica possa spiegare fenomeni afferenti alle scienze politiche, alla storia sociale, alla storia economica, alla storia della cultura, alla storia della tecnologia e alla storia dell’ambiente in modo molto più completo di quanto queste singole discipline possano fare indipendentemente l’una dall’altra.

“Storia evoluzionistica” è definita come «il campo (o il programma di ricerca) che si occupa dei modi in cui le popolazioni di esseri umani e di altre specie non umane hanno influenzato o determinato l’evoluzione dei caratteri reciproci nel corso del tempo, e del significato di questi cambiamenti per tutte le popolazioni coinvolte» (p. 20). In tal senso, il termine “evoluzione” è assunto in senso massimamente generale, quale «un cambiamento dei caratteri all’interno di una popolazione di organismi nel corso delle generazioni» (p. 24). In contrasto a un’opinione diffusa che riduce il significato di “evoluzione” al solo fenomeno della speciazione, l’autore delinea una sintetica ma esaustiva spiegazione dei concetti fondamentali della teoria (cap. 2), tale da spiegare perché è possibile parlare di evoluzione anche se il processo avviene nel corso di poche ore piuttosto che nell’ordine di grandezza di milioni di anni (come nel caso della microevoluzione dei batteri) e anche in assenza di selezione naturale: nella domesticazione sono coinvolti, infatti, i processi di selezione metodica (in cui l’uomo vaglia, nell’ambito delle specie addomesticate, le variazioni individuali che preferisce) e di selezione inconscia (in cui il desiderio di possedere gli esemplari migliori non si accompagna a una selezione consapevole di nuove varietà). In particolare, ai fini della trattazione, Russell giustifica la scelta di queste due espressioni in luogo della più comune “selezione artificiale” in quanto quest’ultimo termine presenta delle ambiguità (pp. 32 sgg.).

L’uomo non ha interferito con l’evoluzione delle altre specie soltanto in modo diretto, modificandole tramite i processi di selezione metodica e selezione inconscia: ha anche condizionato l’evoluzione delle popolazioni selvatiche in modo accidentale, tramite il cambiamento ambientale (cap. 5). L’esempio classico è quello del lepidottero Biston betularia, in cui la diffusione relativamente maggiore del fenotipo scuro su quello chiaro nel periodo compreso fra il XIX e la prima metà del XX secolo fu un effetto collaterale dell’impiego massiccio del carbone nelle zone dove tale combustibile fossile rappresentava una risorsa a buon mercato per sostenere i ritmi incalzanti della Rivoluzione industriale (Inghilterra, Midwest degli Stati Uniti, Germania). Eppure, «B. betularia non è che la punta dell’iceberg di un intero faldone di documenti relativi all’evoluzione accidentale destinato a rimanere per sempre nascosto ai nostri occhi» in quanto, a fronte di una preziosa quantità di informazioni raccolta per generazioni dai naturalisti del passato su questa specie, resta il fatto che «gli esseri umani non sono soliti conservare alcun tipo di documentazione sulla stragrande maggioranza di specie non umane che abitano sul pianeta» (p. 85). Ciò è particolarmente vero per gli invertebrati, per i quali spesso è già molto se riusciamo a identificare con certezza le specie note, a fronte di molte altre non descritte: figuriamoci conoscere per ognuna le dinamiche ecologiche e microevolutive! «Non abbiamo abbastanza biologi evoluzionisti per tenere traccia di tutti i modi in cui le popolazioni di specie non umane si sono adattate (o si sono estinte) come risultato delle nostre azioni. Sappiamo però che cambiare gli ambienti a livello globale interessa potenzialmente ogni singola specie presente sul pianeta» (p. 87).

Probabilmente il punto di maggiore interesse per lo storico di professione, fra quelli affrontati nel volume di Russell, è l’importanza dell’evoluzione antropogenica (in cui l’essere umano stesso è agente evolutivo, in maniera ora metodica ora inconsapevole) per la Rivoluzione neolitica e, di conseguenza, per l’intera storia umana successiva (cap. 6). «La rivoluzione agricola ha rappresentato una rivoluzione evoluzionistica perché è dipesa dai processi di domesticazione, la quale ha alterato i tratti e i geni delle popolazioni di vari organismi nel corso di molte generazioni. Potremmo dire che la maggior parte di quella che viene considerata Storia con la “S” maiuscola non sia nient’altro che un prodotto secondario dell’evoluzione antropogenica» (p. 93).

Occorre precisare (cap. 7) che financo nell’ambito dell’evoluzione intenzionale, per cui «gli esseri umani hanno impiegato una varietà di tecniche per modificare intenzionalmente i tratti delle popolazioni di altri organismi e continuano a farlo per inventarne di nuovi» (p. 114) – tecniche fra cui l’abbattimento selettivo, la selezione metodica, l’ibridazione, il trasferimento, l’acclimatamento, l’ingegneria genetica, l’inincrocio, la clonazione, la sterilizzazione e l’estinzione – tale sforzo di incanalare l’evoluzione non si traduce in un controllo totale: «Tranne alcune eccezioni particolarmente recenti, gli organismi non umani hanno generato da sé i cambiamenti che gli esseri umani hanno poi sfruttato in modo intenzionale. Le azioni umane hanno certamente prodotto conseguenze involontarie e non previste. Ma il principio fondamentale resta lo stesso: a prescindere dal fatto che gli esseri umani abbiano pensato in questi termini precisi, gran parte della storia dell’umanità è stata uno sforzo titanico volto a controllare l’evoluzione» (p. 133).

La relazione fra l’evoluzione umana e quella delle altre specie viventi non avviene in senso univoco: «le popolazioni di esseri umani e quelle di altre specie si sono coevolute. In altri termini, le popolazioni umane hanno provocato cambiamenti nei caratteri di altre popolazioni di organismi, questi cambiamenti a loro volta hanno modificato i caratteri delle popolazioni umane, e così via» (pp. 134-135). La coevoluzione comporta altresì complessi intrecci di evoluzione genetica ed evoluzione culturale, come nel caso dell’evoluzione della pelle chiara e della tolleranza al lattosio (cap. 8).

Un ottimo esempio di come «la storia evoluzionistica possa aiutarci a riconsiderare il modo in cui siamo soliti pensare a quei momenti storici talmente studiati da sembrarci ovvi» (p. 159) è la Rivoluzione industriale, in particolare la storia dell’industria del cotone. Contro un’interpretazione mainstream che vede in essa un processo avviato dall’Inghilterra e reso possibile innanzitutto dalle innovazioni tecnologiche inglesi, l’autore addita piuttosto, quali elementi chiave: la selezione delle varietà di cotone del Nuovo Mondo (più adatte alla filatura rispetto a quelle del Vecchio Mondo) da parte dei nativi americani; la successiva evoluzione antropogenica delle varietà di cotone nel Vecchio e nel Nuovo Mondo (con la complessa vicenda di concorrenza fra il cotone indiano e quello americano); il ruolo cruciale della tratta degli schiavi verso gli Stati Uniti meridionali come garanzia per le fabbriche inglesi di sfruttare il cotone del Nuovo Mondo (cap. 9).

La storia evoluzionistica consente di assumere nuove prospettive di studio anche nell’ambito della storia della tecnologia; e non solo per quanto attiene all’argomento della Rivoluzione industriale di cui sopra, ma anche per lo sviluppo da parte dell’uomo di biotecnologie (cap. 10), intendendo con ciò in senso lato non soltanto le più moderne tecniche di ingegneria genetica e clonazione, ma in generale tutti quegli «organismi che gli esseri umani hanno in qualche modo modellato affinché possano fornirci beni e servizi, a prescindere dall’era storica» (p. 201). In tal senso, la stessa nozione di “innovazione” assume una insospettabile sfumatura semantica: «Il mancato riconoscimento dell’importanza capitale della biologia da parte degli storici dell’economia indica un’asimmetria straordinaria nell’attenzione dedicata agli aspetti meccanici o biologici dell’agricoltura. […] Associamo il concetto di innovazione continua alla tecnologia, benché gli organismi siano i maestri indiscussi di questo processo. La storia evoluzionistica ci sprona a fare lo stesso con gli organismi» (pp. 211-212). Ancora una volta, adottare una prospettiva interdisciplinare aiuta a difendersi contro i rischi del riduzionismo e del determinismo: «Non appena iniziamo a pensare secondo le vie tracciate dalla coevoluzione, possiamo cominciare a vedere come organismi ed esseri umani si sono influenzati a vicenda. Questa prospettiva non implica un ritorno alla vecchia tradizione del determinismo tecnologico. Piuttosto, grazie alla sua enfasi sul cambiamento, la coevoluzione ci fornisce un modo straordinariamente flessibile per pensare ai modi in cui la natura, la tecnologia e l’umanità si sono influenzate a vicenda» (p. 214).

Sebbene la rilevanza della storia evoluzionistica rispetto alla storia dell’ambiente (cap. 11) sia una nozione decisamente intuitiva (a tal punto che è difficile decidere, ammesso che ciò abbia importanza, quale delle due sia la disciplina principale e quale un programma di ricerca all’interno dell’altra), Russell evidenzia «un particolare curioso, se non paradossale: nella storia dell’ambiente l’evoluzione ha un ruolo minimo» (p. 218). Anche in studi importanti di storia dell’ambiente, quali quelli di John McNeill e Daniel Lord Smail, secondo Russell non è stato «però indagato a fondo il rapporto fra esseri umani e specie non umane» (ibidem). Egli individua tre possibili motivi di tale fenomeno: la scarsa familiarità di molti storici con la teoria dell’evoluzione e in particolare con l’evoluzione antropogenica (dovuta anche alla rigida separazione dei curricula umanistici e scientifici); la predilezione da parte degli storici dell’ambiente di tematiche quali l’ecologia e la sanità pubblica in luogo dell’evoluzione (sebbene quest’ultima intersechi tutti gli argomenti legati alle scienze della vita); la diffidenza diffusa verso la teoria dell’evoluzione per ragioni politiche o ideologiche. A tal proposito, Russell ricorda che il determinismo biologico invalso nella sociobiologia e nella psicologia evoluzionistica, sebbene abbia costituito motivo di sospetto da parte di molti umanisti nei confronti del neodarwinismo tout court, non rappresenta l’intero spettro della biologia evoluzionistica, e anzi è stato messo in discussione da scienziati quali Gould, Lewontin, Cavalli-Sforza e altri. «Contingenza, molteplici traiettorie potenziali, l’impatto del passato sul presente – sono esattamente i temi che compaiono negli indici delle riviste accademiche di storia come argomenti contro il determinismo. I biologi evoluzionisti vedono gli organismi non come entità i cui tratti sono stati fissati una volta per sempre, e neppure come esseri dal destino segnato – queste sono piuttosto le caricature dei detrattori o di chi non conosce ciò di cui sta parlando – ma come creature meravigliosamente diverse e in cambiamento costante» (pp. 222-223). Appare chiaro a questo punto quanto l’analogia fra storia naturale e storia umana, più volte evidenziata da Gould sulla base della comune nozione di contingenza storica, possa condurre a interessanti itinerari di studio: «Sviluppare la storia evoluzionistica all’interno della storiografia dovrebbe condurre a simili vantaggi: una definizione coerente per la direzione degli studi, nuove idee per la ricerca, l’identificazione di un terreno comune con altri campi e studiosi e lo sviluppo di una letteratura specialistica coerente con questi nuovi obiettivi. Alla fine, il valore del nuovo campo si potrà giudicare sulla base delle nuove interpretazioni che verranno proposte tra storia e biologia» (pp. 224-225). Il messaggio di Russell è un invito a cogliere la sfida (non facile, ma nondimeno possibile) a restaurare l’unità della conoscenza, istituendo intrecci fra scienze umanistiche e scienze naturali al fine di una migliore comprensione della complessità del reale: «La storia ci aiuta a comprendere la complessità umana; la biologia evoluzionistica ci aiuta a capire il modo in cui le popolazioni di organismi coevolvono. Insieme, la sintesi di storia e di biologia ci permette di decodificare il mondo intorno a noi meglio di quanto questi due campi non possano fare da soli» (p. 237).

 

Giovanni Altadonna

S&F_n. 28_2022

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