S&F_scienzaefilosofia.it

D’Arcy Wentworth Thompson – Crescita e forma – a cura di J. T. Bonner [Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 360, € 22]


«Senza paragone, il miglior lavoro letterario in tutti gli annali scientifici della lingua inglese: l’esempio più perfetto di quella difficile disciplina che consiste nel tradurre con la massima precisione i concetti in parole». Così Peter Medawar si esprimeva intorno al lavoro del naturalista scozzese D’Arcy Wentworth Thompson On Growth and Form, tradotto in italiano con il titolo Crescita e forma. Testo capitale nella storia del pensiero scientifico europeo e occidentale, sebbene poco letto e commentato, Crescita e forma rappresenta il tentativo di condurre una coerente indagine di carattere fisicalista sulla forma nonché le dinamiche di accrescimento degli organismi viventi. La dichiarazione d’intenti del volume è presente fin dalle note introduttive, nelle quali l’autore scrive «il mio unico proposito è di mettere in rapporto con le definizioni matematiche e le leggi fisiche alcuni dei più semplici fenomeni esteriori dell’accrescimento organico, della struttura e della forma, considerando come ipotesi che il complesso dell’organismo sia un insieme meccanico e naturale» (p. 13). Debitore dell’assunto kantiano, più volte richiamato, secondo cui il «criterio che distingue una vera scienza sta nelle sue relazioni con la matematica» (p. 3), Thompson produce una mole considerevole di argomentazioni a sostegno dell’ipotesi che gli organismi viventi non debbano essere spiegati a partire da principi di causalità differenti (la teoria dell’evoluzione per selezione naturale) da quelli che la fisica con il supporto della matematica offre: «per capire come un corpo si accresca e lavori, la fisica è a mio modesto avviso l’unica maestra e guida, come per qualsiasi altra cosa terrena su questa terra» (p. 12). Thompson disegna, pertanto, lo schema generale di una rintracciabilità di fondo di analogie e punti di convergenza tra i fenomeni del mondo inorganico e quelli del mondo organico (p. 10). Il concetto di forza, quindi, che un gran peso esibisce entro le maglie del sistema esplicativo newtoniano, può, e anzi deve, secondo Thompson, eccedere il mero ambito della interpretazione della «natura dei moti della sostanza vivente», e comprendere anche «la conformazione dell’organismo stesso, la cui stabilità e il cui equilibrio trovano spiegazione nelle mutue relazioni tra forze o, appunto, nei loro equilibri» (p. 16). Il progetto teoretico e scientifico, a un tempo, di Thompson si dipana lungo il percorso dei dieci capitoli del volume e può essere sintetizzato nei due punti seguenti: rifiuto della teoria dell’evoluzione naturale e del relativo quadro esplicativo filogenetico; delineazione di una coerente prospettiva interpretativa del fenomeno della vita organica, che faccia perno solo sulle cause fisico-chimiche. Il primo fenomeno che Thompson prende in considerazione è quello della grandezza delle forme viventi: «è in termini di grandezza e di direzione che noi dobbiamo riferire ogni nostra concezione di forma. Il concetto di crescita va collegato al tempo» (p. 21). Così, parlare della grandezza o dell’accrescimento di grandezza e di peso di un organismo comportano l’introduzione di termini esplicativi propri della fisica, come il principio di similitudine descritto da Lesage e successivamente da Galileo (p. 26 sgg.). Metodo analogo ritroviamo nelle pagine dedicate al bilancio termico, alla natura e alle dinamiche del volo (p. 43), alla deambulazione (p. 37), al rapporto tra la grandezza e la capacità di saltare (p. 35). Particolarmente interessante è il paragrafo in cui si analizzano i vari fattori che influenzano la grandezza, come la gravità (p. 42). Nel terzo capitolo, quello dedicato alla forma delle cellule si parla di tensione superficiale e di superfici di rivoluzione di Plateau. In particolare, qui, Thompson comincia a tratteggiare un intero campionario di analogie tra organismi viventi e oggetti di natura matematico-geometrica. Le superfici di Plateau, superfici con curvatura media uguale a zero in ogni punto, possono essere rintracciate in alghe unicellulari quali il Protococcus o l’Halisphera oppure nei Foraminiferi uniloculari (p. 96). Considerazioni simili vengono sviluppate nel capitolo sulla Forma dei tessuti (p. 105 sgg.). Nel paragrafo sulla celletta delle api, in particolare, troviamo un esempio estremamente interessante di spiegazione che vuole rimanere entro i meri principi della fisica, della matematica e della geometria (p. 126 sgg.) senza nulla concedere a stampelle causali di ordine proto-psicologico (etologia) oppure a riferimenti più o meno diretti all’azione dei geni sulla formazione del Tòpos caratteriale (sociobiologia). I capitoli più densi, dal punto di vista concettuale, e più interessanti sono il quinto, il sesto e il settimo, dedicati alla delucidazione dei meccanismi che presiedono alla conformazione del materiale inorganico entro gli organismi viventi (scheletri, zanne, denti, corna), l’ottavo sull’azione delle forze meccaniche come molla propulsiva per la strutturazione delle forme viventi e il nono sulla teoria delle trasformazioni (su questo passaggio cfr. P. Medawar, Memorie di un ravanello pensante. Un’autobiografia, tr. it. di D. Pistoia, Armando Editore, Roma 1993, p. 70 sgg.). In questi capitoli la teoria dell’evoluzione per selezione naturale è messa sotto attacco dalle argomentazioni di Thompson. Egli afferma che generalmente non sia necessario invocare la selezione naturale come causa prossima della formazione di determinati organismi viventi (cfr. S. J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, a cura di T. Pievani, Codice Edizioni, Torino 2003,p. 1492). Egli sostiene, infatti, che «le forze fisiche modellino le forme viventi senza che vi sia alcuna selezione di forme favorite a partire da uno spettro di varianti» (Thompson). Eppure è proprio in questi ultimi capitoli che si rilevano al fondo i punti di forza e le debolezze strutturali dell’incedere argomentativo di Thompson. Il naturalista scozzese si sforza di mettere capo ad un impianto logico-concettuale di stampo riduzionista: egli vuole riportare l’insieme delle spiegazioni relative ai fenomeni viventi sotto l’ombrello della causazione fisico-chimica. Da questo procedimento, però, emergono delle crepe e, nel contempo, un punto, parzialmente in ombra, nel resto dell’esposizione thompsoniana: il riduzionismo esplicitato lungo l’intero arco del lavoro è, forse, di natura più metodologica che ontologica. Thompson, ad esempio, parlando delle ossa sottolinea come, pur mantenendo una predilezione per l’esplicazione fisico-matematica, si debba, probabilmente, ammettere anche un principio eziologico di natura differente, pena l’impossibilità di ottenere una reale chiarificazione intorno alla natura delle formazioni ossee. Crescita e forma può essere così visto come un tentativo, solo in parte riuscito, di fisicizzare il biologico, un biologico che mantiene alfine intatta la sua peculiarità di fenomeno irriducibile. Il testo scritto da Thompson nel 1917 conserva tuttavia la sua originalità e si impone al lettore come un esempio e uno sforzo di gettare una testa di ponte (dal punto di vista teorico, ma anche per certi versi pragmatico) sulla difficile e complessa dimensione dei rapporti tra organico e inorganico, materia vivente e non vivente, dimensione che tiene banco nei dibattiti accessi da plurivoche correnti della contemporaneità tra le quali vogliamo ricordare quella dell’Hybrid design, o quella dell’estetica dell’inorganico (trattata da eccellenti testi come il volume di Mario Perniola, Il sex appeal dell’inorganico).

Luca Lo Sapio

S&F_n. 6_2011

Print Friendly, PDF & Email