Senza dubbio, numerose sono in Italia le traduzioni delle Lettere provinciali e soprattutto dei Pensieri di Blaise Pascal. Nessuno però aveva sinora “osato” proporre in italiano tutte le opere di Pascal che, grazie alla scrupolosa e rigorosa cura di Maria Vita Romeo, la Bompiani ha recentemente pubblicato nella prestigiosa collana «Il pensiero occidentale» fondata da Giovanni Reale. Si tratta di un volume monumentale, dotato di un apparato critico di alto livello, frutto di anni di lavoro certosino e appassionato. D’altronde, non è da trascurare il fatto che Maria Vita Romeo sia stata l’unica allieva italiana dello scomparso Jean Mesnard, accademico di Francia e fondatore della più prestigiosa scuola di pascalisti dei nostri tempi.
Certamente è un merito grandissimo quello di mettere a disposizione degli studiosi un prezioso strumento di lavoro qual è questo volume, che raccoglie e ordina tutte le opere pascaliane (sia francesi sia latine) tradotte in italiano. Ma bisogna dire che Maria Vita Romeo, la quale da anni dirige il «Centro Studi su Pascal e il Seicento», non è nuova a questo tipo di operazioni culturali tese a far conoscere in Italia autori del calibro di Jean Mesnard (Sui Pensieri di Pascal, Morcelliana, 2011), di Philippe Sellier (Pascal e Port-Royal, Morcelliana, 2013), di Jean Laporte, (Il razionalismo di Descartes, Morcelliana, 2016) e di Ferdinand Alquié (La scoperta metafisica dell’uomo in Descartes, Rubbettino, 2019). Adesso, con questo volume che recupera l’unità della personalità e dell’opera di Pascal, è finalmente possibile per gli studiosi italiani riaccostarsi in modo più equilibrato a un illustre pensatore del Grand Siècle, moderno scienziato, fervente cristiano e profondo conoscitore dell’animo umano.
Discutere di Blaise Pascal è un’impresa difficile, data la grandezza della sua opera. Si può tentare un avvicinamento solo a partire dal dialogo personale col suo pensiero, mediante il quale ci ha mostrato la strada per una comprensione attuale del mistero del reale. Se di “grandezza” si parla, lo si fa chiaramente non tanto per la mole (pur grande) dei suoi scritti, quanto per la portata e la vastità degli ambiti che incontra. Dalle discipline scientifiche alla teologia, quindi alla filosofia, Pascal si è dimostrato un autentico cercatore, un uomo che non tentava semplicemente di produrre schemi di comprensione, ma di abitare la grandezza del creato e del suo Artefice, cogliendone il significato contraddistinto da un ampio margine di eccedenza. Così si esprime in un frammento: «Incredibile che Dio si unisca a noi. Questa considerazione nasce solo dalla visione della nostra bassezza, ma se in voi è proprio sincera, seguitela fino in fondo come me e riconoscerete che siamo così in basso da risultare incapaci di sapere, con le nostre forze, se la sua misericordia possa renderci capaci di lui» (p. 2367). La visione, dunque, suggerisce la grandezza del suo stesso oggetto, Dio, e la miseria dell’uomo che può tentare di cogliere il senso del suo esserci, non tentando una scalata, ma adoperandosi per discendere umilmente nella bassezza del proprio edificio spirituale. In questa prospettiva anche le scienze, nell’itinerario pascaliano, sono un tentativo di cogliere la realtà che si mostra nei fenomeni temporali in modo attento e metodologicamente ordinato, ma aperto all’unità dell’uomo con sé stesso e con Dio. Se possiamo dire qualcosa riguardo all’autore mistico, possiamo farlo solo a partire dal grande scienziato che fu, e viceversa; lo testimoniano le opere. Pascal si occupò di Teologia senza smettere di essere un fisico, fu matematico senza smettere di essere un filosofo. Tra gli Scritti sul Triangolo aritmetico del 1653-54 e gli Scritti sulla Grazia del 1655-56 passò pochissimo tempo. Ciò può essere assunto, come per altri testi, ad esempio della particolare continuità che i diversi saperi costituivano per l’unico uomo Pascal. La ricerca della curatrice e la raccolta delle Opere Complete tendono a sottolineare proprio quest’unità.
Le trattazioni scientifiche di Pascal costituivano all’epoca una rivoluzione; si pensi, ad esempio, agli Scritti sul vuoto: mentre i più pensavano che la natura fuggiva il vuoto con orrore (horror vacui), l’autore si dedicò a una serie di esperimenti rigorosi, come quello sulla siringa, i cui aspetti elementari oggi fanno parte del senso comune e i cui risultati testimoniavano il contrario rispetto all’opinione diffusa di allora: «In seguito, riflettendo dentro di me sulle conseguenze di questi esperimenti, fui rafforzato nell’idea in cui ero sempre stato: che il vuoto non era una cosa impossibile nella natura […]. Ciò che mi portava necessariamente a quest’idea era lo scarso fondamento che trovavo nella massima così accettata» (p. 615). Le peu de fondement è ciò che lo scienziato non può in alcun modo accettare; la massima assunta dogmaticamente non può essere un punto d’arrivo, quanto l’intervallo al cui estremo è possibile operare un cambio di rotta. Per farlo, c’è bisogno di un’accurata analisi dei dati e di un certo rigore nella catalogazione delle relazioni tra gli stessi. Pascal si servì di esperimenti precisi, la cui ripetibilità costituiva una base solida, e della chiarezza espositiva di tali processi nei testi che scriveva. Oggi quegli esperimenti, conclusioni comprese, sono superati, ma rimangono un imprescindibile tassello nella composizione del quadro articolato e complesso del reale scientificamente indagabile. Un esempio di ciò sono gli Scritti sulla cicloide: essi rappresentano una pietra miliare nello sviluppo del calcolo integrale. È vero che Pascal non giunge alla formulazione dell’algoritmo che permetterà agli studiosi successivi di verificare con precisione la superficie sottesa dalle curve in intervalli dati, ma il suo studio, di natura prevalentemente geometrica, su questa particolare curva costituisce il fondamento per la formalizzazione matematica della stessa. Se della cicloide ordinaria oggi possiamo dire che soddisfa una particolare equazione differenziale (nei punti ove possibile differenziare), ciò è pensabile anche grazie al contributo di questo genio così eclettico nello spaziare agevolmente tra discipline diverse.
Come un unico cuore pulsante mette in funzione la vita delle diverse parti del corpo, così l’unità dell’uomo e del reale in rapporto a Dio erano per l’autore saldate in modo compaginale e indissolubile. Se l’uomo che pensa è uno e non è diviso, non si può pensare di sconvolgere tale equilibrio con gli schemi asfittici di una conoscenza che procede per compartimenti stagni.
Questa impostazione della “questione uomo” è chiaramente mutuata da sant’Agostino, dal suo itinerario di ricerca della verità che abita nella persona. Partendo da ciò, anche il tempo della storia continua a ricapitolarsi attorno al nucleo vitale della Grazia, che tange la miseria dell’umanità, identificandosi con essa, pur rimanendo distinta. Per Pascal la fede nel Cristo rappresenta l’essenziale, un “Punto Omega” (prendendo in prestito un’espressione di Teilhard de Chardin) a partire dal quale è possibile cogliere la stessa concretezza del cosmo. La visione della salvezza messianica, presente nelle opere di Pascal, è legata fortemente alla confessione religiosa (da qui, ad esempio, i frammenti correlati all’apologia del cristianesimo), ma assume carattere universale nel senso che interpella l’uomo contemporaneo e lo introduce alla domanda sul senso dell’esserci, quindi sull’eventuale direzione morale da seguire. La domanda, dalla filosofia greca ai nostri giorni, è il cominciamento del filosofare; e da essa non si può prescindere in qualsiasi tipo di ricerca. Egli dunque sembra offrire, nella prospettiva dell’opposizione anelito (domanda) – risposta (Grazia), la possibilità di trovare la tranquillità e il riposo dello Spirito, senza estinguere il suo fuoco che genera stupore a partire dalla caratteristica che le è propria, la libertà: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3, 8). Già Romano Guardini, nel suo celebre testo su Pascal, aveva evidenziato e tratto dalle sue opere quest’aspetto duale e dinamico del concreto vivente, che non si risolve semplicemente in un superamento, ma mantiene intatta la tensione e la significatività del tempo del credente che abita la storia. Quest’ingresso della Rivelazione nella storia non è strettamente determinabile logicamente; forse anche per questo le letture di Pascal, in passato, sono state quanto mai controverse e spesso incomplete. Si è cercato, infatti, di inserirlo nel solco di una tendenza, ma senza successo. Fu un uomo religioso e, allo stesso tempo, un genio delle scienze empiriche; un buon cristiano e un filosofo lungimirante. In quale ambito potremmo collocarlo? Come ogni grande personaggio della ricerca, appartiene a tutti e non si identifica pienamente con nessuno. Ma se vogliamo accostarci a lui, dicevamo in apertura, bisogna accettare l’irriducibilità del suo pensiero e porsi in atteggiamento di dialogo. Questo poi si realizza nello scambio di elementi tra epoche diverse – la sua e la nostra – tra le quali è possibile scorgere una certa continuità, pur senza eliminarne le differenze. L’esperienza dell’autore si rivolge oggi all’uomo contemporaneo, a partire dalla risoluzione della questione temporale nella venuta del Cristo. Con l’aiuto del pensiero filosofico e il percorso tracciato dall’esperienza credente, risulta accessibile l’esperienza di questo compimento del tempo. Nel Memoriale, infatti, Pascal racconta l’irruzione dell’evento messianico nelle trame del presente, del suo presente. La persona del Figlio di Dio diventa spartiacque che separa, in termini di scelte, la volontà umana dalla volontà divina. Quest’ultima determina il tempo dell’uomo e lo compie non nel senso dell’annullamento, ma della scoperta del mistero universale sotteso al susseguirsi degli istanti. A partire da ciò è possibile ritornare all’unico evento salvifico, pur partendo da tempi diversi. In tal senso il tempo cristiano non è primariamente lineare, ma costituito da un insieme di punti rivolti, per così dire, all’indietro, all’unico evento della salvezza. Solo se ci si allontana o ci si scorda di “mettere a fuoco”, è possibile intravedere una semplice linea orientata. Basandoci su alcune intuizioni teologiche contemporanee, diremmo che la speranza cristiana si fonda non soltanto su Dio (verso il quale tendere), ma include anche un ricordo (memoriale) della sua fedeltà nella storia. Un memoriale non è un semplice ricordo, ma, come ci rende avvertiti l’uso cultuale del termine ebraico (זִכָּרוֹן), esso determina un punto di convergenza tra passato e presente. Forse anche per questo Pascal teneva il ricordo di quell’istante cucito alla giacca.
La sua filosofia era di ampio respiro perché fondamentalmente libera, non chiusa su sé stessa, non autoreferenziale. La sua celebre espressione sul ridere della filosofia può essere letta in tal senso e, senza negarne in alcun modo l’importanza, restituisce l’ottima disciplina della ragione all’umiltà della ricerca autentica. Questo e molto altro si trova nell’opera completa che Maria Vita Romeo ha consegnato alla ricerca italiana ed europea, come strumento base per chiunque voglia accostarsi a Pascal e porsi in dialogo col suo pensiero.
Francesco Pio Leonardi
07_2021