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Alessandro Sarti, Giovanna Citti, David Piotrowski – Differential Heterogenesis. Mutant Forms, Sensitive Bodies [Springer, Berlin 2022]

Matematica e filosofia possono essere articolate in due modi. Il primo, piuttosto rozzo, istituisce regimi di filosofia della matematica, una filiazione che risponda essenzialmente a un problema: come pensa il matematico? Il secondo, assai più elegante, non si preoccupa affatto di combinare i due campi, quanto piuttosto di concepire più stili del pensiero. In questo modo, mathesis e metafisica si configurano come codici attuali, come stili, come formalizzazioni del pensiero, ma il problema al quale rispondono non appartiene alle loro componenti. È così che si può andare al di là di qualsiasi dogmatismo metodologico e levigare un solo grande problema: come si pensa? Il recente Differential Heterogenesis. Mutant Forms, Sensitive Bodies (d’ora in avanti, DH), cardine teorico dell’intera collana Lecture Notes in Morphogenesis diretta da Alessandro Sarti per i tipi di Springer, si propone come logica e metodo di questo problema, e sviluppa in maniera originale una tradizione intellettuale notevole.

Se rovesciare il platonismo significava farla finita con una certa metafisica essenzialista, pensare che DH fondi l’anti-essenzialismo ponendo la fisica dopo la metafisica – simondoniana e deleuzoguattariana – significherà precisamente rovesciare anche l’aristotelismo, per il quale la metafisica restava una nobile radicalizzazione della fisica. DH opera allora due rovesciamenti allo stesso tempo, quello classico dell’essenzialismo e quello moderno del rapporto tra fisica e metafisica, ognuno dei quali si preoccupa di proporre un cantiere di ricerca ampio e urgente. Come si alimenta la lotta all’essenzialismo, pur senza cadere nelle derive rinascimentali, trascinando dalla propria parte una fisica-matematica ben poco miope? La risposta è chiara: la filosofia deve diventare cosmogonia, e la cosmologia deve diventare ecologia. Si tratta di una sostituzione che in fin dei conti potrebbe connotare anche gli studi di Maturana e Varela nelle scienze cognitive, studi per i quali l’individuo non è più collocato in una Umwelt ideale ed essenziale ma contribuisce a costituirla. Con un po’ di cattivo gusto si potrebbe dire che la sostituzione proposta equivarrebbe a chiedere a Platone di afferrare le Idee o ad Aristotele di modificare la velocità causale del Motore Immoto, come se si potesse davvero smentire Bergson e cambiare i fenomeni astronomici anche solo prevedendoli [H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, p. 124]. Eppure il progetto di DH, al di là di macabre ironie, è senza dubbio ben più ampio, se non altro per l’estensione metafisica dei nodi trattati. La questione genetica della forma (morfogenesi) e quella genetica della genesi (eterogenesi) intercetta non solo il problema della mente e delle scienze cognitive, non solo la linguistica o le filosofie della tecnica, e nemmeno solo le filosofie della natura o i postumanismi; si tratta invece di legittimare ognuna di queste problematiche in funzione di un principio teorico, che in verità non è affatto una reificazione del principium ma una sottrazione della teoria a tutto ciò che non è operazione. L’operazione, allora, si moltiplica e si sostanzia in infiniti segni, o in infiniti significati che esigono dei segni: nient’altro che la singolarizzazione del virtuale. Valga sin da qui l’eredità simondoniana della individuazione prioritaria a qualsiasi teorema precostituito e individuante. L’operazione, nel suo moltiplicarsi, costituisce il piano pre-individuale o, con Deleuze, virtuale, mentre l’attuale sarà l’integrazione di elementi estesi su un piano oramai realizzato e pur sempre diveniente. Tra l’altro, ed è il caso di ricordarlo, cosa intuisce Agamben se non proprio questo gioco teoretico quando pone il reale come irrealizzabile? [G. Agamben, L’irrealizzabile. Per una politica dell’ontologia, Einaudi, Torino 2022]. Virtuale e attuale sono in una continua costituzione, e il problema della conoscenza e della liberazione del pensiero dalla filodossia e dagli altri dogmi sta nella formidabile intuizione deleuziana di empirismo trascendentale. Sono questi i presupposti filosofici di DH, e ciò non significa che il presunto progresso stia nel portare avanti, chissà dove, queste problematiche. Entra in gioco puntualmente il rovesciamento dell’aristotelismo. R. Thom e J. Petitot, matematici di genio, provando una insormontabile asfissia nei confronti dell’automatismo che avrebbe caratterizzato il passaggio da virtuale ad attuale – dimenticando la specificità filosofica perlomeno deleuziana per la quale, in fin dei conti, virtuale e attuale erano dei modi per spolverare la nozione classica di divenire, già in principio lontana da dualismi procedurali – cercano un modo assai sacrificato per uscire proprio dall’automatismo dell’attualizzazione. Scacco matto a Spinoza, direbbe forse un hegeliano, ma il punto è che finalmente la morfodinamica era riuscita a svincolare gli elementi sul punto di attualizzarsi da attrattori attuali determinati. L’univocità dell’attualizzazione, insomma, era stata raggirata. Dal fronte filosofico, di nuovo, rispondono idealmente proprio Deleuze e Guattari, che pensano finalmente l’eterogenesi come genesi della genesi, per svincolare non più gli attuali ma il virtuale stesso da qualsiasi residuo essenzialista, da qualsiasi omogenesi. Si tratta di dare vita al piano intensivo, pensare le forme sensibili, estetiche, e non più gli elementi integrabili nel loro momento natale. Ora, al di là di questa fin troppo schematica e scarna panoramica, che non può non tener conto delle agili geometrie sub-riemanniane alle quali Mille Piani di Deleuze e Guattari si ispira, il problema dell’eterogenesi differenziale è proprio quello per cui la fisica matematica debba rispondere, e l’ha fatto con successo già da diversi anni, al grido metafisico deleuzoguattariano. Aristotelismo pienamente rovesciato, dunque, perché è la fisica a essere una radicalizzazione della metafisica, una discesa macabra dall’incorporeo al corporeo.

Ecco il punto: «In cognitive neuroscience, heterogenesis introduce the possibility of studying the virtual conditions for the deployment of enacted and embodied cognition, where the body is the centre of the process of perception/action» (p. 59). L’eterogenesi ha immediatamente due funzioni ulteriori: la prima è quella per cui la teoria della conoscenza possa superare definitivamente i correlativismi della modernità, laddove soggetto e oggetto sono rimpiazzati dalle condizioni di costituzione di una coscienza che incarna il reale senza possederlo; c’è poi una seconda funzione, con la quale si mette in movimento questo nuovo epicentro anticorrelativistico, che non può essere distante da una corporeità vibrante che capta delle forze e vi si costituisce al proprio interno. Non che questa penetrazione sia una passività: tutto al contrario, si tratta di attivare un piano di immanenza aperto nello stesso momento in cui il corpo capta la forza/le forze. Attraverso una dettagliata disamina degli stimoli e delle «strategie» che la corteccia celebrale produce proprio nel processo eterogenetico – laddove in Mille Piani si restava su un livello eminentemente metafisico – DH articola in modo assai coinvolgente la nozione di neuroplasticità (p. 118), che in fin dei conti non è altro che il tentativo, anche questo elegantemente riuscito, di dare un nome al virtuale.

Non solo: quali sono le dirette conseguenze filosofiche? Si noti, con estrema evidenza, in che misura il piano della coscienza pura de La transcendence de l’Ego sartriana sia assai differente, nelle sue linee espressamente fenomenologiche, dalle posizioni deleuzoguattariane. Eppure, ed è questo il punto, DH porta queste differenze alle estreme e tangibili conseguenze. La coscienza, nella sua virtualità o pre-individualità, o è incarnata o non è; e non c’è connessione che tenga, nessun terzo. La trascendenza non si manifesta se non per eccedenza di percetto, e non semplicemente di senso. È, in ultima istanza, il problema dell’intuizione, un certo teorema della simultaneità: «we define insight as any sudden comprehension, realization, or problem solution that involves a reorganization of the element of a mental representation of a stimulus, situation, or event to yield a non obvious or non dominant interpretation […] At the cognitive level, what we are witnessing in the case of insight is the activation of new configurations of neural groups and the interaction of the signal on the concatenation of the circuits» (p. 124). Si tratta, dunque, di una riorganizzazione interna, la ricerca di un nuovo equilibrio, la creazione di una nuova norma. La resa di questo equilibrio, tuttavia, è sempre «a hybrid of the cognitive, perceptual, and affettive in such a way that it is difficult if not impossible to separate the various components» (p. 125). In una formula: «divenire-altro».

L’intreccio diventa ancor più interessante quando, nel sesto capitolo, si estende l’analisi ai problemi dell’espressione, e si affronta l’eterogenesi in quanto semiolinguistica. Da qui l’esigenza di una semiogenesi, se non altro per marcare la classicità del gesto filosofico eterogenetico nel momento in cui tenta di risalire a un atto originario e genetico dell’espressione. Non si confonda l’espressività, in quanto orizzonte di possibilità di una certa caratteristica ontica (o elementale), dall’espressione in sé, atto puro: «expression is an inconceivable mixture of sensibility and intelligibility, of intuitive and understanding, of immediate and mediate knowledge, and, in fine, of presence and absence» (p. 138).

L’estensione operata, chiaramente, è fatta in virtù di due snodi chiave dell’eterogenesi, «salience» e «pregnance», intesi come fuochi di qualsiasi curva che punti a una archè dell’espressione – e quindi di una certa matrice, anteriore perlomeno euristicaente se non ontologicamente, dell’atto puro; atto che viene declinato in modo evidentemente materialistico, e non potrebbe essere altrimenti. Si tratta di una materia paradossale, che conserva una propria eccedenza nonostante l’esprimibilità, istanziabile e inesauribile. Ma a questo punto l’istanziabilità sarebbe in fin dei conti una maniera quasi ornamentale, e soprattutto essenziale, di estendere il concetto di realtà, evitando di alimentare certe castrazioni gnoseologiche.

Dopo una panoramica semiotica tra gli autori più determinanti (Saussure, Hjemlslev, Husserl, Peirce, Eco, Fontanille), l’interlocutore decisivo diventa Merleau-Ponty. Per farla breve, in questo punto ci si chiede: come fa l’espressione a divenire linguaggio? Come fa il gesto locutorio a divenire discorso linguistico? Nient’altro che la resa semiotica dell’eterogenesi; ma stavolta è ben evidente che l’éteron, pur non dovendo rendere conto di un’Idea essenziale che lo omologhi riducendolo a mè on, proceda esso stesso in virtù di una certa distanza intensiva rispetto agli altri, e solo tale distanza semiotica gli permette di essere in qualche modo cosostanziale – e comunque eccedente – con la materia che (vi) si articola. È l’ontologia merleau-pontiana che permette di approdare al concetto di cosostanziale, a partire dal quale tutta la logica dei «sensitive bodies» può svilupparsi. Cosostanziale è in effetti il modo con cui si prende coscienza di essere parziali: che sia però una parzialità diversa e non oppositiva è l’ambizione, o il proposito, di DH. Non opposita sed diversa è la logica della cosostanzialità, laddove tuttavia il diverso, in quanto dato dalla differenza, non può che rifarsi al differente, che poi si scopre essere sé stesso, in tutta la fertilità del singolare. Questo accade a oltranza, fin quando si moltiplicano gli orizzonti di senso. Il che significa, in altre parole, che a ogni sensitive body debba corrispondere una singolare e nuova individuazione, e questo perché le forme sono legittime in quanto «mutanti». Non è certo un caso che questa ultima questione sia posta a partire dalla poesia e dalla forma poietica. Detto ancora meglio: si tratta di fondersi col mondo.

 

Andrea F. de Donato

S&F_n. 29_2023

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