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NIENTE DI PERSONALE? TENSIONE E MEDIAZIONE DELLA PERSONALIZZAZIONE IN MEDICINA

Autore


Lorella Meola

Università degli Studi di Salerno

dottore di ricerca in filosofia. Svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Salerno

Indice


  1. Medicina personalizzata: una definizione a partire dai big data
  2.  Tensione e mediazione tecnologica
  3. Implicazioni etiche della mediazione dei dati

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S&F_n. 24_2020

Abstract


Nothing personal? Tension and mediation of Personalization in Medicine

Personalized medicine aims to develop tailored treatments for individual patients, linking biological knowledge with personal responsibility towards health. The aim of this paper is to analyze the tension and the mediation between these polar opposites. Taking into account the mediation theory by philosophy of technology, we are going to prove the paradox of personalized medicine, turning into a statistical knowledge and a de-personalized practice. It appears to be a new social strategy to foster personal initiative, in order to have a healthy conduct, supported by analysis of objective data, on a personal and general basis.


  1. Medicina personalizzata: una definizione a partire dai big data

La medicina personalizzata[1] propone di individualizzare diagnosi, trattamento e prevenzione della malattia, a partire dalla presa in considerazione dell’unicità e specificità della persona del paziente, ovvero unicità e specificità delle condizioni di salute e malattia, sulla base del profilo biologico – e in particolare genetico – di ciascun individuo[2].

Muovendo lungo questa direzione, la medicina compie il passaggio da un sapere e una prassi a taglia unica, vale a dire da pratiche rivolte all’intera popolazione in nome della salute pubblica[3], alla promessa di individuare «il trattamento giusto, nel momento giusto, per la persona giusta, tenendo in considerazione la storia di salute individuale, l’informazione genetica, l’ambiente e gli stili di vita»[4].

Il rivolgimento dalla collettività alla persona è reso possibile da raccolta, memorizzazione e analisi di una massiccia quantità di dati, big data[5], che assimilano tutte le informazioni, con implicazioni più o meno dirette per la salute, relative a ciascun individuo[6]. I dati, raccolti in forma voluminosa e rapida su larga scala, fotografano le singole esistenze nelle loro complessità e totalità, isolano elementi eterogenei tra loro e ne propongono connessioni statistiche. Queste ultime sono formulate attraverso algoritmi e richiedono il coinvolgimento della bioinformatica e della biostatistica, nonché l’impiego di tecnologie ad alta velocità. In particolare, si fa ampio ricorso alle discipline -omiche[7], in riferimento alla possibilità di disporre di una grande massa di dati relativi ai diversi livelli di complessità biologica e di interazione con la realtà in cui si è immessi, così da costruire nessi causali, esplicativi e operativi tra genotipo e fenotipo.

È riconosciuto che il fenotipo non si esaurisce nei geni, ma è influenzato da fattori epigenetici[8] ed esposomici[9]. Dunque, la personalizzazione richiede di completare la conoscenza genomica, prolungando lo sguardo medico sia verso lo stile di vita del singolo, ovvero disposizioni, comportamenti e abitudini che caratterizzano la vita nella sua complessità, il modo in cui questa è organizzata e la sua qualità[10], sia verso le condizioni ambientali, come inquinamento, situazione socio-economica, gestione politica, che interagiscono con il patrimonio genetico e producono effetti peculiari per ciascuno sulle condizioni di malattia e salute[11].

L’occorrenza di dati massicci, molteplici, eterogenei, tali da ricostruire il profilo olistico del paziente ben oltre la dimensione genetica, richiede il ricorso a un insieme di pratiche, tecnologie e conoscenze vasto e diversificato, tanto che la Federal Food and Drug Administration ha esteso la definizione di medicina personalizzata e ha rubricato sotto tale voce non solo tecniche di sequenziamento del genoma umano, terapie farmacologiche, test genetici, ma anche tecnologie di medical imaging, mobile-health, ovvero piattaforme online di condivisione delle informazioni sanitarie, applicazioni scaricabili su smarthphone, tablet, sensori indossabili o impiantabili nel corpo[12]. Secondo l’ente governativo statunitense, occorre far rientrare nel perimetro della medicina personalizzata anche tutte quelle tecnologie che consentono di raccogliere ed elaborare dati. Si tratta di ricorrere ai big data, per afferrare ogni aspetto della vita e fornire, sulla base dell’elaborazione dei dati raccolti, indicazioni precise ai pazienti rispetto alla condotta da adottare, nella convinzione della centralità che lo stile di vita individuale corretto assume nella gestione e promozione della salute[13].

 

2. Tensione e mediazione tecnologica

Il programma di personalizzazione medica fonda la sua efficacia sulla centralità accordata ai big data e sulla partecipazione attiva e responsabile dell’individuo nella gestione della salute[14].

Da un lato, personalizzare vuol dire disporre di tutti i dati necessari per ricostruire i profili personali: produrre un riferimento oggettivo dello stato di salute, vale a dire informazioni sulle condizioni attuali, ovvero sulle potenzialità e i rischi iscritti nella biologia di ciascuno[15]. Al presente, tale oggettività è garantita dall’analisi statistica, che fornisce risposte precise ma standardizzate a gruppi di individui organizzati secondo affinità biologiche. D’altro lato, personalizzare vuol dire responsabilizzare la persona rispetto alla propria salute, chiedendole di partecipare in maniera attiva sia alla produzione e condivisione di dati, sia alla definizione di uno stile di vita salutare, che si nutra delle indicazioni fornite dai dati elaborati[16].

Questa polisemia della personalizzazione[17] lascerebbe pensare che la salute dipenda dalle scelte compiute da ciascun individuo, le quali sono informate dai dati, che, a loro volta, dovrebbero assumere forza normativa, in quanto forniscono tracce precise per le decisioni che le persone sono chiamate a prendere per una vita in salute.

Tuttavia, la relazione tra dati oggettivi e responsabilità personale sembra rilevare una tensione interna ai concetti di persona e personalizzazione e vede confrontarsi la persona molecolare, l’individuo nella sua dimensione biologica[18], e la persona nella narrazione della propria esistenza, con i suoi valori e le sue preferenze[19]. Letta in una più ampia prospettiva, tale duplicità della persona e della personalizzazione dimostra il dislivello tra medicina tecno-scientifica, fondata su una concezione obiettiva e quantificabile di salute e malattia, garantita dai big data, dalle tecniche che li producono e dalle informazioni che essi sottendono e veicolano, e una medicina centrata sulla persona, che tiene conto delle concezioni personali che ciascuno matura rispetto alla forma da imprimere alla propria esistenza[20].

Questa tensione si rivela innanzitutto in quanto le conoscenze e gli strumenti tecno-scientifici intervengono nella vita di ciascuno non già in maniera neutrale[21]: sappiamo che non si tratta di semplici mezzi utilizzati dal soggetto per scopi determinati, ma di una modalità di relazionarsi al mondo – che ha trovato svariate interpretazioni nella storia del pensiero –, che produce effetti specifici. Si potrebbe qui sostenere che essi determinano una relazione di mediazione[22] tra soggetto e mondo, la quale interviene in maniera significativa non solo sulla percezione e sulla conoscenza[23], ma anche sui valori che guidano l’azione[24]. Le tecnologie hanno iscritto un programma ermeneutico e pratico nella loro stessa materialità. Esse orientano l’attenzione del soggetto in una certa direzione, ovvero forniscono le lenti che amplificano alcuni aspetti mentre ne riducono altri, e così intervengono sulla conoscibilità della realtà, producendo nuovi oggetti di conoscenza; al contempo influiscono sia sugli agenti sia sullo spazio di azione e si pongono in dialogo con il sistema dei valori, con le norme di comportamento e le abitudini diffuse, producendo nuovi fatti pratici. Nel mediare tra uomo e mondo, i dispositivi in uso, gli algoritmi analitici, i dati e le loro infrastrutture influiscono sul tessuto etico esistente[25], ovvero veicolano valori e comportamenti, finendo per modificare la vita delle persone.

Nello specifico, le tecnologie, ovvero i dati e il complesso di elementi che li sostiene, mediano il rapporto tra, da una parte, l’esperienza soggettiva di salute – e malattia – e, d’altra parte, il corpo – e lo stile di vita nella sua complessità – come luogo di indagine ermeneutica, per elaborare una concezione della salute e della malattia certa. Sembra fendersi l’immediata rispondenza tra corpo, salute e persona, mentre emerge lo iato tra aspetti soggettivamente esperiti e fattori oggettivamente misurati[26]. La salute è concepita come non immediatamente accessibile alla persona; perché lo diventi, ogni corpo e ogni esistenza devono diventare sito di analisi interpretativa, oggetti espliciti di attenzione, osservabili da una prospettiva diversa da quella soggettiva e dunque misurabili e conoscibili in maniera obiettiva. In secondo luogo, occorre che questa conoscenza rigorosa ritorni alla persona, per fondare una nuova consapevolezza del proprio stato di salute e malattia, che trovi declinazione in uno stile di vita informato da evidenza biomedica.

Nel mediare tra prospettiva soggettiva e dimensione oggettiva, i dati assumono forza normativa, che altera il fenomeno tracciato e agisce sulla persona secondo coordinate obiettive. Essi, infatti, amplificano certi aspetti, oggettivandoli, e dunque convertendoli in ciò che deve diventare soggettivamente rilevante, mentre ridimensionano quegli elementi che potrebbero risultare importanti dal punto di vista in prima persona, ma non trovano evidenza oggettiva. La figura del pre-sintomatico è emblematica del problema tracciato: il largo ricorso alla medicina preventiva fa sì che l’attenzione della persona venga dirottata verso la possibilità che insorga una certa patologia e il suo stile di vita sia impostato al fine di ottimizzare le chance di vita, secondo un parametro oggettivamente rilevato, ma che, di fatto, non si presenta – e potrebbe non manifestarsi mai – nell’esperienza di vita personale. Tale strategia fondata sull’obiettività finisce per modificare in maniera rilevante la vita personale, migliorando le prospettive di vita, oppure generando ansia rispetto a un problema che magari non si paleserà mai. In ogni caso, finirà per modificare il modo di vivere.

È evidente come, nel processo di mediazione, i dati introducono elementi nuovi, che implicano effetti peculiari sulla forma che ciascuno andrà a imprimere alla propria vita.

 

3. Implicazioni etiche della mediazione dei dati

I dati si pretendono una realtà non costruita, perché sembrano fotografare la vita per come essa è, in modo non selettivo ed esaustivo. Di fatto essi acquistano significato nella misura in cui sono soggetti a un processo di lavorazione e riordinamento, che segue logiche classificatorie e procedurali proprie. Attraverso quest’ultimo procedimento, le informazioni vengono purificate dal contesto nel quale nascono, private del loro contenuto originario ed elaborate mediante l’identificazione di correlazioni del tutto convenzionali, dunque dotate di significato specifico, che le rende massimamente sfruttabili in contesti determinati[27].

Ciò comporta che la persona viene completamente scomposta: il corpo è smembrato in entità molecolari, la condotta segmentata in micro-azioni, cui corrispondono profili isolati e molteplici, risultanti da un processo di disgregazione e aggregazione di dati continuo[28]. La verità che i dati pretendono di dire non ha più come riferimento la persona nella sua unicità e complessità, ma si rivolge a profili specifici, in cui viene moltiplicata (e dispersa) ogni singola persona. Tale verità, che non presuppone ipotesi e non chiede di essere verificata, si dà come immediatamente operativa nella realtà. Essa, infatti, si fonda sull’analisi della possibilità, funzionale all’anticipazione dei comportamenti, attraverso sollecitazioni e consigli che preludono scelte e azioni e vanificano il processo decisionale della persona[29].

Se la conoscenza che la persona ha di sé e la condotta che quest’ultima adotta sono ridotte alla percezione del corpo oggettivo, azioni, decisioni e scelte precedentemente affidate agli umani sono delegate a un processo di mediazione, che può orientare l’interpretazione dei dati e dare forma alle azioni che devono essere intraprese per conseguire un certo risultato. La mediazione dei dati annuncia la fine della volontà libera, ovvero svuota la persona di ogni verità e orientamento etico, per ridurre tutto a autocontrollo, misurazione costante del proprio stato di salute e della sua conseguente massimizzazione[30]. Tale svuotamento di senso si esprime nella conoscenza di sé come auto-quantificazione[31]: la personalizzazione consiste nel mettere a punto una tecnica volta all’aumento della salute, intesa come ottimizzazione delle possibilità di vita, che procede in sinergia con i valori neoliberali di performatività, adeguatezza, competitività[32] e sembra così segnare la crasi tra i fini della medicina e gli scopi di una società efficiente e produttiva.

La vita personale sarebbe così immessa in un meccanismo eteronomo, che produce neutralizzazione e uniformità delle condotte[33], mentre mina l’autonomia umana[34]. La crisi della volontà autonoma emergerebbe nella misura in cui la persona cerca se stessa e la propria realizzazione (la buona salute) affidandosi ai dati e dunque rinunciando a sviluppare un percorso di vita autentico. Il paradosso sta nel fatto che più la medicina si avvicina alla specificità della persona, più si serve di dati statistici, impersonali. La persona intanto può essere conosciuta, in quanto può essere interpretata secondo un linguaggio – quello numerico - valido per tutti. In altri termini, intanto la persona può essere conosciuta, in quanto può essere messa in relazione a gruppi di persone organizzati su base statistica.

Questo potrebbe voler dire, inoltre, che la ricerca della specificità e unicità della persona potrebbe rivelarsi una modalità di conseguire l’uniformità sociale, garantita dall’aggregazione di profili in cui è stata smembrata ciascuna persona e riorganizzata l’intera società, attraverso l’eliminazione di ogni differenza e l’affermazione di elementi di continuità. Non solo le informazioni sono categorizzate secondo paradigmi comuni alla collettività, ma le risposte personali che i dati sollecitano risultano omologate: la responsabilità verso uno stile di vita salutare non è che la conformità a indicazioni oggettive, rivolte a ciascuno secondo le proprie condizioni, ma orientate verso un fine comune, che è la salute dell’intera società e dunque l’incremento della forza produttiva di quest’ultima.

Pertanto, la personalizzazione medica sembra elevarsi a strategia di gestione della salute pubblica e, più in generale, a tecnica di controllo della società. Non si tratta di apprezzare l’unicità di ciascun paziente, ma di valutare l’idea per la quale la salute generale della popolazione può essere migliorata se gli individui assumono maggiore disponibilità a condividere informazioni e responsabilità rispetto alla propria salute. Potremmo affermare che, sotto la bandiera dell’oggettività, la mediazione dei dati rafforza la medicina quale pratica sociale, che gestisce la vita e la salute della massa attraverso la conquista della persona, delle sue informazioni e dei suoi sforzi per mantenere e promuovere la salute. L’analisi della mediazione dei dati rivelerebbe come la ricerca della massima oggettività allontani la persona da se stessa, consegnandola a meccanismi eteronomi di gestione della vita; il mantenimento e la promozione della salute sembrerebbero essere veicoli di incremento dell’efficacia e della produttività della società, mentre la medicina emergerebbe quale strumento di controllo e di gestione della vita collettiva attraverso azioni mirate, incisive, precise ed efficaci, perché fondate sulla comprensione oggettiva dei meccanismi corporei e vitali di ciascuno e di tutti.


[1] X. Guchet, La médecine personnalisée. Un essai philosophique, Le Belles Lettres, Paris 2016.

[2] National Academy of Science, Toward Precision Medicine: Building a Knowledge Network for Biomedical Research and a New Taxonomy of Disease, NAS, Washington 2011.

[3] N. Rose, Personalized Medicine: Promises, Problems and Perils of a New Paradigm of Healthcare, in «Procedia, Social and Behavioral Sciences», 7, 2013, pp. 341-352.

[4] https://obamawhitehouse.archives.gov/precision-medicine (accesso 09/02/2020).

[5] B. Prainsack, Personalized Medicine: Empowered Patients in the 21st Century?, New York University Press, New York 2017.

[6] E. Vayena, U. Gasser, Strictly biomedical Sketching the Ethics of the Big Data Ecosystem in Biomedicine, in B.D. Mittelstadt, L. Floridi (a cura di), The Ethics of Biomedica Data, Springer, Switzerland 2016, pp. 17-38.

[7] European Commission, Commission staff working document: use of “-omics” technonologies in the development of personalized medicine, Brussels 2013, https://ec.europa.eu/research/health/pdf/2013-10_personalised_medicine_en.pdf (accesso 06.12.2020).

[8] M. Meloni, G. Testa, Scrutinizing the epigenetic revolution, in «BioSocietes», 4, 9, 2014, pp. 431-456.

[9] X. Guchet, De la médicine personnalisée à l’exposomique. Environnement et santé à l’ère des big data, in «Multitudes», 2, 75, 2019, pp. 72-80.

[10] R. Chadwick, A. O’Connor, Epigenetics and Personalized Medicine: Prospects and Ethical Issues, in «Per Med», 5, 10, 2013, pp. 463-471.

[11] C.P. Wild, Complementing the Genome with an “Exposome”: The Outstanding Challenge of Environmental Measurement in Molecular Epidemiology, in «Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention», 14, 2005, pp. 1847-1850.

[12] FDA, Paving the Way for Personalized Medicine. FDA’s Role in the New Era of Medical Product Development, 2013, http://www.fda.gov/downloads/scienceresearch/specialtopics/personalizedmedicine/ucm372421.pdf (accesso 12.02.2020).

[13] F. Lucivero, B. Prainsack, The lifestylization of healthcare? “Consumergenomics” and mobile health as technologies for healthy lifestyle, in «Appl Transl Genom.», 4, 2015, pp. 44-49.

[14] Cfr. B. Prainsack, op. cit.

[15] N. Rose, La politica della vita. Biomedicina, potere e soggettività nel XXI secolo (2007), tr. it. Einaudi, Torino 2008.

[16] B. Prainsack, op. cit.; E. Juengst, M.A. Flatt, R.A. Settersten, Personalized Genomic Medicine and the Rhetoric of Empowerment, in «Hastings Center Report», 5, 42, 2012, pp. 34-40.

[17] Nuffield Council on Bioethics, Medical Profiling and online Medicine: the ethics of “personalized healthcare” in a consumer age, 2010, https://www.nuffieldbioethics.org/assets/pdfs/Medical-profiling-and-online-medicine-the-ethics-of-personalised-healthcare-in-a-consumer-age.pdf (accesso 06.12.2020).

[18] N. Rose, La politica della vita…, cit.; X. Guchet, Le patient «actionnable» de la médicine personnalisée, in «Socio-anthropologie» 29, 2014, pp. 37-51.

[19] K. Cornetta, C.G. Brown, Balancing personalized Medicine and Personalized Care, in «Academic Medicine», 88, 3, 2013, pp. 309-313.

[20] X. Guchet, Le patient «actionnable»…, cit.

[21] D. Ihde, Technology and Lifeword: From Garden to Earth, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis 1990; R. Rosenberger, A case Study in the Applied Philosophy of Imaging: The Synaptic Vesicle Debate, in «Science, technology, & Human Values», 36 (1), 2011, pp. 6-32.

[22] P.-P. Verbeek, Toward a Theory of Technological Mediation. A Program for Postphenomenological Research, in K. Berg O. Friis, R.C. Crease (a cura di), Technoscience and Postphenomenology. The Manhattan Papers, Lexington Books, London 2015, pp. 189-204.

[23] D. Ihde, op. cit.

[24] P.-P. Verbeek, What things Do: Philosophical Reflections on Technology, Agency, and Design, The Pennsylvania State University Press, University Park, Pennsylvania 2005; Id., Moralizing Technology: Understanding and Designing Morality og Things, University of Chicago Press, Chicago-London 2011.

[25] P. Brey, From Moral Agents to Moral Factors: The Structural Ethics Approach, in P. Kroes, P.-P. Verbeek (a cura di), The Moral Status of Technical Artefacts, Springer, Dordrecht 2014, pp. 125-147.

[26] B. De Boer, Experiencing objectfied health: turning the body into an object of attention, in «Medicine, Health care and Philosophy. A European Journal», 23, 2020, pp. 401-411.

[27] A. Rouvroy, T. Berns, Gouvernementalité algorithmique et perspectives d’émancipation, in «Réseaux», 177, 1, 2013, pp. 163‑196.

[28] L. Coutellec, P-L. Weil-Dubuc, Big data ou l’illusion d’une synthèse par agrégation. Une critique épistémologique, éthique et politique, in «Journal International de Bioéthique et d’Éthique des Sciences», 28, 3, 2017, pp. 63‑124.

[29] A. Rouvroy, T. Berns, op. cit.

[30] B.C. Han, Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere (2014), tr. it. Nottetempo, Roma 2016.

[31] Ibid.

[32] N. Rose, La politica della vita…, cit.

[33] A. Rouvroy, T. Berns, op. cit.; A. Rouvroy, B. Stiegler, Il regime di verità digitale. Dalla governamentalità algoritmica a un nuovo stato di diritto, in «La Deleuziana», 3, 2016, pp. 6-30.

[34] B.D. Mittelstadt et alii, The ethics of algorithms: mapping the debate, in «Big Data & Society», 3, 2, 2016.

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