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Stephen Jay Gould – Elisabeth S. Vrba, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione – tr. it. a cura di T. Pievani [Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 130, € 9]


A cosa potrà mai servire il cinque per cento di un’ala? E il cinque per cento di un occhio?È evidente che nei suoi stadi incipienti nessun organo ha mai potuto svolgere la funzione che oggi, a cose fatte, gli si può riconoscere. L’abbozzo di un’ala non serve a volare, così come l’abbozzo di un occhio non potrà mai donare la vista all’organismo che ne è portatore. E allora? E allora ne va della correttezza della teoria dell’evoluzione, o perlomeno della sua “laicità”. Mi spiego meglio: di fronte a organi tanto complessi, come spiegare la loro origine? Delle due l’una, o sono stati favoriti dalla selezione naturale sulla base della loro utilità futura, o si sono sviluppati all’improvviso, magari spinti da una qualche misteriosa “forza interna”. È evidente come in tutte e due i casi si metta in serio imbarazzo l’ipotesi genuinamente e maledettamente darwiniana secondo cui in natura non esiste alcun progetto da realizzare. Spiegare eventi attuali in base a bisogni futuri oppure immaginare la repentina genesi di una struttura complessa non vuol dire altro, infatti, che reintrodurre nemmeno tanto surrettiziamente le cause finali nell’evoluzione. E se c’è una cosa che il darwinismo ha definitivamente cancellato dal modo di pensare la natura è proprio questa sorta di processo alle intenzioni presuntivamente insite nei processi naturali.

E quindi siamo punto e a capo: a cosa potrà mai servire il cinque per cento di un’ala se non possiamo pensare – a meno di non tradire la laicità dell’ipotesi darwiniana – alla futura intenzione della selezione naturale di realizzare proprio un’ala? O, ancora, se non possiamo pensare alla sua nascita improvvisa? Messo alle strette da critiche siffatte Darwin, come è noto, nel capitolo dedicato alle «Difficoltà della teoria», affronta di petto anche questa questione e nelle ultime edizioni de L’Origine delle specie arriva a suggerire la possibilità che alcune variazioni possano essere considerate come dei «pre-adattamenti», cioè come degli adattamenti fino a un certo punto utili all’organismo per uno scopo in parte o in tutto diverso da quello attuale. Come a dire che l’ala all’inizio non serviva a volare (in altri termini che l’ala all’inizio non era un’ala). Darwin, cioè, avanza l’ipotesi fin lì inedita di distinguere l’utilità attuale di un organo dalla sua genesi storica. Ma il concetto di «pre-adattamento» non è certo immune da equivoci finalistici, lasciando in qualche modo credere che vi sia comunque una sorta di pre-visione circa il futuro scopo della variazione iniziale. Così, all’ombra di un concetto ambiguo, l’intuizione iniziale rimane inesplorata, e i manuali di biologia e di genetica di buona parte del Novecento arriveranno a sancire l’equivalenza tra adattamento e utilità attuale di una struttura o, addirittura, la coincidenza di ogni carattere con una qualche utilità, e ciò per il semplice fatto di esistere.

Con due articoli di epistemologia prima ancora che di paleobiologia (Exaptation: un termine che mancava nella scienza della forma e L’espansione gerarchica del successo differenziale e della selezione: due processi non equivalenti, entrambi pubblicati nel 1982 sulla rivista «Paleobiology»), Stephen J. Gould ed Elisabeth S. Vrba riprendono, correggono e aggiornano l’originaria intuizione darwiniana e, contro l’astratto adattazionismo e selezionismo adottato da molti darwinisti più realisti del re, ribadiscono la necessità di storicizzare ogni fenomeno biologico: «come evoluzionisti siamo chiamati, quasi per definizione, a tenere in considerazione i processi storici come parte essenziale della nostra materia» (p. 20). Bisogna liberarsi, spiegano i due paleontologi, dall’assillo logico di scorgere per ogni struttura una funzione e aprirsi alla possibilità storica che una stessa struttura abbia svolto in passato, così come potrà svolgere in futuro, anche funzioni diverse da quella attuale e, inoltre, che una medesima funzione possa essere stata svolta, così come potrà essere svolta, da strutture diverse. Rivalutando aspetti meno frequentati del lascito darwiniano, Gould e Vrba spiegano allora che la selezione naturale non segue alcuna linearità ma che agisce in contesti di «ridondanza» e di «cooptabilità». Messe così le cose, la questione della definizione dei caratteri non selezionati per l’uso attuale esce dal dimenticatoio del pensiero biologico e ritorna nell’agenda darwiniana. Con il termine «ex-aptation» viene infatti indicato ogni carattere «evolutosi per altri usi e in seguito “cooptato” per il suo ingaggio attuale» (p. 15). Le piume, per tornare al nostro esempio, non nascono per il volo ma per garantire un buon isolamento termico all’organismo “ospite” e poi, dopo vari riutilizzi, tra cui quello di facilitare la cattura degli insetti, diventano essenziali per il volo. È chiaro dunque che le piume non sono ad-attamenti per il volo, anche se senza alcun dubbio servono a volare! Ma allora come definirle? Dipende dai punti di vista: sono «adattamenti» («aptations») per la termoregolazione e, successivamente, ex-aptations per il volo. Grazie a una innovazione terminologica si scopre che non tutti i caratteri selezionati hanno sempre svolto l’attuale funzione, sono cioè degli aptations, ma che molti sono degli ex-aptation, cioè strutture “riciclate” a nuove funzioni. O, addirittura, si scopre che molti caratteri cooptati, in precedenza non svolgevano alcuna funzione, erano cioè dei non-aptation. Bizantinismi? Nient’affatto: «le tassonomie non sono neutrali, come appendiabiti arbitrari per un insieme di concetti invarianti. Esse riflettono (o addirittura creano) diverse teorie della struttura del mondo» (p. 8); e, avvertono i due paleontologi-filosofi, «i concetti senza nome non possono essere adeguatamente incorporati nel pensiero» (p. 41). Si tratta cioè di apprezzare la bizzarria della contingenza storica e di lasciar perdere i belli ma impossibili logicismi delle ipotesi sull’«ottimalità adattiva» (p. 94). Come osserva Telmo Pievani nell’utile saggio posto a conclusione del testo, Gould e Vrba tratteggiano una «biologia delle potenzialità e non della necessità» (p. 117). Alla luce della loro rivisitazione di alcuni aspetti del neo-darwinismo, «l’evoluzione non appare più come il regno di un’ottimalità adattiva imposta da una selezione naturale intesa come un meticoloso ingegnere che plasma gli organismi a proprio piacimento, bensì come il risultato polimorfico di adattamenti secondari e sub-ottimali, di riusi ingegnosi e di bricolage imprevedibili». Insomma, l’evoluzione non è un «problem soving» ambientale (p. 117).

Anche il darwinismo evolve, e la lettura di questi testi ne è una splendida prova. 

Cristian Fuschetto

S&F_n. 1_2009

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