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Louis-Ferdinand Céline – Il dottor Semmelweis Postfazione di Guido Ceronetti, tr. it. a cura di O. Fatica e E. Czerkl [Adelphi, Milano 2009, 15a edizione, pp. 134, € 9,50]


Figura controversa del Novecento, genio del male capace di suscitare ferventi consensi e critiche feroci, l’autore del Voyage fu prima di tutto un medico. Anche nel capolavoro del ’32 molte sono le pagine dedicate alla sua professione nei diseredati sobborghi parigini: medico dileggiato, attaccato, misconosciuto da quella virulenta populace enragée avvezza da sempre a trasformare i propri benefattori in capri espiatori.La tesi di laurea su Ignác Fülöp Semmelweis, una prova letteraria che prelude al grande Céline, ne esibisce già tutte le stigmate: poco interessata ad analizzare l’eziologia del male, il decorso della terapia o la trasmissione dei batteri, il suo oggetto è la vita di un uomo: il quasi medico Ferdinand racconta la tragica epopea del medico-martire Semmelweis, che intorno alla metà dell’Ottocento, in pieno ottimismo positivista, individuò la causa della febbre puerperale, malattia che decimava le partorienti ricoverate negli ospedali.Le grandi scoperte sono spesso frutto del caso, non avanzano in pompa magna e non sempre scaturiscono dall’utilizzo di sofisticati strumenti: risiedono nell’intuizione geniale di un istante. Per questo talvolta restano inascoltate: appaiono banali, troppo semplici per essere prese sul serio dalla boria altisonante ostentata da una certa scienza positivista.«Indubbiamente era scritto che sarebbe stato infelice tra gli uomini, indubbiamente per gli esseri di questa levatura ogni sentimento semplicemente umano diviene una debolezza» (p. 28). «Impetuoso, enormemente sensibile ai futili scherzi che facevano gli altri studenti sul suo marcato accento ungherese, crede di essere perseguitato, si spinge fino quasi all’ossessione» (p. 32). Questo libro è la storia di un medico generoso e il racconto di un’epoca, un racconto che ci dice molto sulla medicina nel secolo delle magnifiche sorti e progressive. Ma Semmelweis è anche alter ego di Céline, e Céline raccontando Semmelweis svela le sue nevrosi, le sue manie di persecuzione, la sua sete insaziata e distorta di verità e giustizia.Quarto figlio di un facoltoso droghiere, Ignác Semmelweis nacque a Budapest, sul Danubio, in un «paese melodioso » (p. 23). Lasciò Budapest per Vienna, dove intendeva conseguire gli studi di diritto, ma «il diritto non lo trattenne a lungo. Un giorno senza avvertire il padre della sua decisione, seguì un corso all’ospedale, poi un’autopsia in un sotterraneo, quando la scienza interroga un cadavere col coltello» (p. 28). Nel 1846 divenne assistente nel padiglione Primo di ostetricia a Vienna, spettatore impotente della morte inspiegabile di giovani donne del popolo, costrette per povertà di mezzi a recarsi in ospedale per partorire. Sapevano già le puerpere – perché una tragica prassi ne aveva consolidato la certezza – di andare incontro alla morte laddove la vita chiedeva di nascere. Della febbre puerperale la medicina dell’epoca aveva elaborato un’originalissima serie di spiegazioni improbabili: dall’inalazione di gas velenosi presenti nell’aria, che avrebbe provocato il blocco del flusso uterino e la conseguente putrefazione interna, all’eccessivo ingrossamento dell’utero causato dalla gravidanza, che avrebbe compresso e inibito l’intestino, facendo ristagnare le feci al suo interno e provocandone l’imputridimento. Quando «le audacie del progresso sono fragili», «il talento [ha] modo di rivelarsi spiegando la morte con il “pus ben legato”, con il “pus di buona natura”, con il “pus lodevole”. Sul fondo: fatalismo gonfiato di parole, sonorità dell’impotenza» (p. 39).La parola Verità ricorre spesso in questo breve testo che si presenta come un’epopea dal tono “agiografico”, come suggerisce Ceronetti nella sua postfazione al libro. Verità al di là delle mistificazioni, verità oltre gli inganni e i meschini giochi di potere che gli uomini ingaggiano. Il martire, il santo Semmelweis procede arrancando al di là dei pregiudizi e degli ostacoli che lo circondano «rimuove errori e menzogne che ricoprono la verità».E la banale verità scoperta da Semmelweis fu che nel padiglione accanto al suo, dove pure si praticava l’ostetricia, il numero dei decessi era inferiore. Nel primo operavano solo allieve levatrici, in quello di Semmelweis anche studenti alle prese con autopsie. Le mani che un istante prima avevano “praticato” con la morte trasmettevano l’infezione nei corpi che ospitavano la vita. Ignác decise allora di disporre dei lavabi alle porte della clinica, ordinando agli studenti il lavacro purificatore prima di toccare le puerpere. Ma la sua scoperta non suscitò gli entusiasmi che avrebbe dovuto incontrare, nonostante il numero dei decessi sembrasse immediatamente diminuire. Il medico martire fu cacciato via. Semmelweiss il perseguitato, il deriso, l’incompreso morirà povero e pazzo in manicomio, morirà inascoltato.Perché? Per la sua arroganza, la sua mancanza di tatto, per l’irriverenza nei confronti dei superiori? Niente affatto. Potremmo dire che Semmelweis fu la vittima predestinata di quel progresso scientifico che egli stesso contribuì a edificare e che sembrava, in ambito medico, fare passi da gigante durante il XIX secolo. Il medico ungherese fu assistente di Joseph Skoda e Karl von Rokitansky, fondatori della Scuola moderna di medicina di Vienna. Nel 1841 Skoda diede vita al primo dipartimento di dermatologia, mentre Rokitansky, considerato il Linneo dell’anatomia patologica, contribuì a diffondere il metodo di descrizione delle patologie. Nasce la medicina quantitativa, l’utilizzo della cartella clinica e della statistica medica. In questo periodo di magnifica fioritura gli ospedali cessano di essere lazzaretti, mortiferi luoghi di rassegnata accoglienza di vite allo stremo, per trasformarsi in salubri spazi di cura, di osservazione e di trasmissione del sapere. Semmelweis commise peccato mortale quando sostenne che non il sapere, bensì la malattia, si trasmetteva fra le mura dell’ospedale; l’epoca del progresso e i suoi sacerdoti non gliel’avrebbero perdonato: se, come afferma il Foucault della Nascita della clinica, già a partire dalla rivoluzione francese i medici divengono gli asceti della salute fisica e morale di una nazione, i propagatori del benessere, i «preti del corpo», destinati a debellare le miserie fisiche dei popoli; se la medicina appare insignita del compito «d’instaurare nella vita degli uomini le figure positive della salute, della virtù, della felicità», chi mai avrebbe accettato di vedere proprio nel medico, nell’eroe del XIX secolo, l’untore, il propagatore su larga scala di una morte preceduta da atroci sofferenze? Nell’ispirata postfazione al testo, Ceronetti insiste: la semplice misura profilattica del lavaggio delle mani elaborata da Semmelweis «non rispondeva a niente nello spirito scientifico del tempo» (p. 114), poiché la civiltà europea si era da tempo «ripulita degli interdetti arcaici sull’impurità dei morti» (p. 118), e mantenere mura di cinta fra i due regni appariva come un retaggio medievale; la medicina illumina l’orizzonte oscuro della superstizione e afferma a gran voce che «i morti non possono farci del male, il coltello è dei vivi» (p. 118). E il coltello di quei vivi ferì a morte il generoso medico ungherese.

«Questa è la tristissima storia di I. F. Semmelweis, nato a Budapest nel 1818 e morto a Vienna nel 1865. Fu un grandissimo cuore e un grande genio medico […] la sua opera è eterna. Tuttavia nella sua epoca venne assolutamente misconosciuta […] sembra che la sua scoperta superasse le forze del suo genio» (p. 102). Così chiude Céline, fragile istrione del martirio e tendenzioso amante dei destini perseguitati.

 

Fabiana Gambardella

06_2009

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