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Giacomo Pezzano D1git4l-m3nte. Antropologia filosofica e umanità digitale [Franco Angeli, Milano 2024]

Adottando e aderendo, fino in fondo, alle prospettive teorico-filosofiche e i traccianti critico-problematici dell’ultimo lavoro di Giacomo Pezzano, probabilmente, sarebbe opportuno realizzare una recensione attraverso un montaggio video digitale, ad esempio, utilizzando Final Cut Pro, oppure, una composizione musicale digitale tramite Logic. Tuttavia, non essendo questa la sede opportuna per una recensione digitalvideo-musicale di un testo scritto, mi limiterò al recensire il testo come se stessi montando una sequenza di istantanee che tendano a restituire lo sforzo e il corpo a corpo tra parole/scrittura e immagini/grafia circuitato dall’opera di Pezzano nell’investigare l’ibridazione dell’umano con le tecnologie digitali.

In questo senso, D1g1t4l-m3nt3, nella sua mirabile e invidiabile composizione prismatica, invita e provoca al poter esercitare la riflessione filosofica non solo attraverso e contro il proprio tempo storico ma, soprattutto, contro sé stessa o meglio contro un corrente e contorcente anacronismo produttivo che continua a confinare la filosofia nell’esecuzione del bias testuale esaminato da Pezzano che, per riprendere le parole di Davis Baird, «affetta l’intera epistemologia occidentale [e che] avrebbe avuto inizio “almeno da Platone”, la cui dottrina avrebbe fondato il principio secondo cui la conoscenza genuina e di pertinenza dei “parolai” o “fabbri della parola” (wordsmiths) che concepiscono la verità “in termini di proposizioni o frasi”, cosi che appunto soltanto le parole possono candidarsi al ruolo di “portatore di conoscenza”» (p. 223).

In particolar modo, nell’era digitale, la suddetta questione del rapporto tra parole e immagini, che fa, come detto, da corpo a corpo, dalla prima all’ultima pagina del lavoro di Pezzano, risulta, al contempo, non a caso, esteriorizzazione del “testa a testa” (p. 150) tra mente analogica e mente digitale, ovvero, sintomo-causa di una specifica riconfigurazione cognitiva dell’umano attraverso la rivoluzione antropologica sancita dallo sviluppo delle ICT.

Tale testa a (testa-)corpo digitale-ibridativo viene adoperato da Pezzano per scavare, ricavare e metter mano, al fine di esaminare, l’inscindibile legame bio-culturale della specie umana con le proprie mnemotecniche/cerebrotecniche che, oggigiorno, pongono l’urgenza di: «cominciare a domandarsi se per pensare criticamente le tecnologie digitali sia sufficiente passare per i mezzi tipici dell’era analogica, o se non sia invece il caso di cominciare a esprimersi anche attraverso quelli più propri dell’era digitale […] lo stiamo già facendo ma non ce ne rendiamo conto, presi come siamo dalla convinzione – tendente al pregiudizio – che la conoscenza sia tale soltanto se è scritta (in senso verbale)» (p. 16). Tale movimento concentrico, di rapporto critico-problematico tra mente umana, tecnologie e capacità cognitivo-espressive antropiche, all’interno dell’opera, trova sicuramente nel paragrafo “P4r0l3 e 1mm4gin1. Problemi di grafia” (p. 203) un momentaneo punto d’arrivo (ritmico-compositivo) che si ripropaga e riavvolge, orizzontalmente, lungo l’intero arco investigativo del lavoro.

Ed è proprio all’interno del co-costitutivo e, sempre più intimo, legame che intercorre tra mente-tecnologie-capacità cognitivo-espressive dell’umano è possibile chiarire il titolo del lavoro “D1git4l-m3nt3”, attraverso le stesse parole di Pezzano: «esso intende unire “digitalmente” e “mente digitale”, mettendo così insieme due fatti antropologici fondamentali: le tecnologie digitali stanno cambiando profondamente il nostro modo di vivere e lo stanno facendo anche dal versante dei nostri abiti mentali, in particolare sfidando il primato della parola sull’immagine nei processi di produzione e diffusione della conoscenza» (p. 9).

Da questo passaggio, si spera che l’incipit di recensione risulti meno ambiguo e sconclusionato nel tentativo di recuperare, in qualche modo, una delle sfide teorico-pratiche più delicate dell’opera di Pezzano nell’investigare la natura culturale (p. 113) dell’umanità digitale che, oggigiorno, eredita e continua a tessere l’ancestrale contrassegno bio-culturale antropico in un costitutivo e, al contempo, rivoluzionario ri-cablaggio cognitivo tramite gli schermi: “Persi negli schermi? Uno schizzo antropologico-filosofico” (p. 149).

Schermi che, oggigiorno, non solo contrassegnano, letteralmente o, per essere puntuali, digitalmente la configurazione e riconfigurazione cognitiva degli umani iscritti nell’accesso al computer (e derivati) quale metamedium[1] ma, al contempo, riproducono, come contenuto latente, costituzionalmente opaco, della vetrina trasparente della società schermata, uno specifico in-trattenimento di segni: dati registrati, codificati e ri-configuranti la scansione ritmico-esistenziale di una nuova vita ordinaria delle relazioni umane che, verosimilmente, non possono più rispondere ad un antiquato e museologico ordine conoscitivo-espressivo a scorrimento verticale/unidirezionale.

Tale scorrimento verticale/unidirezionale, ereditato dalla millenaria configurazione socio-politica e cognitivo-produttiva del bias testuale sopracitato, oggigiorno, se ben analizzato, risulta anacronistico nelle proprie rivendicazioni di poter ancora comprendere l’andamento di un mondo-società dell’informazione che, seppur apparentemente scrollato nelle news feed dei social media che, in qualche modo sembrerebbero riconfermare un pacifico e accudente scorrimento verticale-gravitazionale, trasmettono, difatti, una sempre più inafferrabile   (almeno attraverso gli strumenti antiquati del testo scritto) predisposizione del pensiero digitale alla lettura a zig-zag che, non a caso, rientra tra i consigli d’approccio al testo proposti dallo stesso Pezzano alla sua opera (p.21).

Quest’ultima modalità di lettura, è opportuno segnalarlo, essendo rimando di una specifica riconfigurazione cognitiva della mente umana nell’ibridazione con le ICT, permette di denunciare il bias testuale in quanto inattuabile e anacronistica forma mentis dell’umano analogico che, oggigiorno, seguendo le analisi di Pezzano – in particolar modo in “La parola all’immagine (forse). Media e pensiero” (p. 271) – non è poi così saldo nel proprio imperialismo rappresentazionale (p. 196) o, meglio, nel conflitto d’interessi epistemologico che ha garantito l’accesso del mondo a scorrimento verticale.

Insistendo, quindi, sul rapporto tra parole e immagini, inseguendo una composizione di recensione che possa richiamare il montaggio digitale nel riprendere figure sonore-uditive e rappresentativo-mentali, impresse tramite differenti supporti di memoria e interfacce umane e non, è possibile interpretare il lavoro di Pezzano come il tentativo di rinvenire (compito quanto mai arduo!) la prosecuzione della tessitura del filo rosso antropico (da ultimare, e mai ultimato[2]) nel rintocco antropologico originario tra mano, occhi, mente e artefatti tecnologici che, per dare un senso di reversibilità pluridirezionale alle righe precedenti, risulta, non a caso, catalizzato nel fenomeno dello scrolling. Ciò per dire che le capacità cognitivo-espressive della specie Sapiens, da che mondo è mondo, non sono mai state un dono salvifico di una qualche entità metafisica né una skill innata casualmente ritrovatasi nel cranio di una scimmia diversamente normale dai suoi parenti vicini e lontani ma, una conquista faticosissima nell’equilibrio biologico di una specie che si è contraddistinta, e si continua a contraddistinguere, non solo per la manipolazione del mondo esterno a partire da un inossidabile e inscindibile legame triadico tra anthropostechne-logos ma, soprattutto, per una ricaduta cognitivo-esistenziale sulle forme sociali, e quindi sui membri umani di quelle collettività umane che, di volta in volta, nel darsi forma storicamente, riverberano e risultano cassa di risonanza dello sviluppo del circuito triadico originario che permette un’inedita ri-mobilitazione (delle collettività) in direzione del mondo esterno.

E su questo punto il passaggio deve essere quanto mai chiaro: l’essere umano astratto ideale non è mai esistito se non nelle cantilene ideologiche cariche di conflitti d’interessi di una specifica narrazione antropica che mira a sostituire il contingente, e lo stato vigente, con il necessario. I singoli esseri umani, invece, in quanto parte di un movimento collettivo e relazionale esistono (eccome!) in quanto mediatori e artefici di un movimento che li trattiene e rilancia, continuamente, al di fuori delle proprie progettualità, in vista di un risultato molto più complesso da prevedere ma che, in ogni caso, risulterà produrre e riprodurre, in un imperscrutabile divenire di forme, il circuito fondativo di cui anthropos è mediatore bipartito tra techne e logos, strumento e verbo, agire e rappresentazione, parola e immagine: «stante che noi esseri umani ci diamo forma attraverso strumentazioni e macchine di varia natura, fino a che punto l’intreccio di analisi empiriche, concettuali e tecniche che può essere di volta in volta sviluppato può riuscire a prevedere gli esiti delle interazioni tra individui e apparecchi, immunizzando da ogni possibile disvalore?» (p. 347).

Non a caso, la struttura di D1g1tal-m3nt3 risulta costituita dall’incastro tra la prima sezione sull’antropologia filosifica (anthropos), la seconda convergente sulla techne decisiva nella struttura relazionale degli esseri umani digitali (schermi) e, infine, il problema del logos riconfigurato nell’importanza dell’immagine e della multimedialità per l’umanità digitale: «alla luce della convinzione che le immagini esprimono esse stesse un ethos, cioe una capacita di configurare e articolare significati, dunque persino un logos, cioe hanno una logica e possono rivendicare una loro ragion d’essere» (p. 225).

Posto tale quadro antropologico-esistenziale, è possibile ritagliare una porta d’accesso all’opera di Pezzano girando una delle maniglie suggerite nell’introduzione: «si tratterà di vedere come i mezzi digitali possono affettare i nostri modi di pensare in termini tanto pratici e tanto teorici, ovvero rispetto sia a come ci stiamo via via abituando a pensare sia a come pensiamo il nostro pensiero, facendo emergere la stretta connessione tra queste due dimensioni» (p. 14).

Volendo quindi proporre una mappatura bidimensionale e orientativa del lavoro di Pezzano che, come detto, comunque risulta irresistibilmente avvincente nel tentativo (vincente) di decostruire una delle reti di sicurezza (bias testuale) della filosofia occidentale, è possibile condensare o, meglio, approssimare la strutta tripartitica dell’opera riproponendo la lettura del sopramenzionato circuito triadico anthropos-techne-logos come segue:

– Parte 1. Pensare l’umano: in cui Pezzano discute la specificità dell’approccio della (in)disciplina dell’antropologia filosofica (p.25) ricavando concetti chiave da autori di riferimento come Scheler (p. 81), Plessner (p. 86), Gehlen (p. 93), Anders (p. 97), Sloterdijk (p. 105).

– Parte 2. Umani digitali, problemi analogici: dove i concetti chiave dell’antropologia filosofica vengono utilizzati per tentare di comprendere la contemporanea conformazione tecno-culturale dell’umanità digitale dispersa negli schermi. 

– Parte 3. Rialfabetizzazione: attraverso cui viene investigata la trasformazione degli abiti mentali umani a partire da e in direzione dellambiguo rapporto tra tecnologie della parola e tecnologie delle immagini, sostenendo la tesi secondo cui con la rivoluzione digitale il ruolo dell’immagine risulterebbe se non preponderante, quantomeno, destabilizzante per l’imperialismo rappresentazionale (p. 196) e il monopolio della parola scritta (p. 335).

Questa mappatura orientativa, sicuramente svilente per l’ampiezza e qualità del lavoro di analisi svolte da Pezzano, pone in obbligo di sottolineare l’equilibrio e la complementarità tra l’acume delle riflessioni e l’efficacia della scelta dei titoli di alcuni paragrafi come segno di rimando di una quanto mai lucida abilità d’investigazione del proprio tempo storico, vissuto ed analizzato, appunto nel metter le mani alla cablatura dell’aggiornamento cognitivo dell’umanità digitale nella propria riconfigurazione attraverso inedite cerebrotecniche figlie del testa a testa/corpo a corpo tra intelligenza umana e intelligenza artificiale: «siamo entrati in un simile testa a testa proprio perché fronteggiamo tecnologie che esteriorizzano una serie di facoltà mentali, ossia cerebrotecniche, com’e riconosciuto sin dai tempi di Alan Turing e dei primi mega-computer» (p. 159).

In conclusione, citando alcuni dei titoli dei paragrafi[3] di cui si compone l’opera è possibile cogliere uno degli obiettivi più scivolosi e delicati a cui mira l’investigazione di Pezzano sulla ricablatura cognitivo-espressiva dell’umano nell’era delle cerebrotecniche digitali: «bisogna cominciare a prendere sul serio l’idea che la scrittura alfabetico-tipografica sia destinata a non essere più la stessa, non solo perché è stata ormai apertamente sfidata dall’iper-scrittura, video-scrittura, game-scrittura, codice-scrittura e chissà cos’altro ancora, ma altresì perché sembra vada sempre più trasformandosi essa stessa in un’operazione di wrAIting decisamente più radicale di quanto già non lo fosse agli occhi di Socrate e Platone» (p. 345), «la tradizione che ha riservato alla parola il primato cognitivo indiscusso sull’immagine, le cui radici affondano nel medesimo terreno su cui si basa il mainstream della cultura occidentale in generale, comincia oggi a venire problematizzata, pur con una serie di oscillazioni e ambiguità. Questo succede perché siamo alle prese con una competizione mediale che sembra rendere possibile praticare nuovi modi di esprimersi, comunicare e pensare, così che la scoperta di nuovi mezzi per dar forma a ciò che abbiamo in mente fa tutt’uno con quella di nuovi possibili modi di pensare. Ne segue quindi l’idea che starebbe configurandosi una nuova mente o mentalità, maggiormente incline a ragionare in termini in senso ampio visuali» (p. 271).

 

Valerio Specchio

 

[1] “Come luogo di convergenza e interazione e financo ibridazione tra tutti i media precedenti, nel quale i dati testuali, iconici e sonori possono venir trattati in un unico sostrato e secondo modalita di composizione, organizzazione, presentazione e accesso comuni, o comunque intersecabili” (p. 298).

[2] Estinzione della specie umana permettendo, si intende.

[3] Si passa da “Troppo TikTok fa male? Alle origini dell’antropologia filosofica” (p. 76) a “Il Tablet di Socrate. Abiti mentali e realismo mediale” (p. 192), passando per disamine su youtuber contemporanei in “Luis Sal e Qulo Brando. Si può stampare YouTube?” (p. 263) e analisi concettuali sul coding in “Adesso ti faccio vedere io! La rivoluzione del codice al conclusivo”, per arrivare, dulcis in fundo, al conclusivo “Il futuro sta nel wrAIting? Reimparare a leggere e scrivere” (p. 340).

 

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