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Arnold Gehlen – L’uomo delle origini e la tarda cultura. Tesi e risultati filosofici – a cura di Vallori Rasini, traduzione di Elisa Tetamo [Mimesis, Milano 2016, pp. 315, € 25]


Pubblicato nel 1956, L’uomo delle origini e la tarda cultura costituisce un’importante raccolta di tesi e risultati filosofici di ricerche compiute sulle forme socioculturali dell’umanità arcaica, finalizzata alla comprensione del ruolo delle istituzioni e delle regole comunitarie vigenti nella società contemporanea. Per l’analisi dell’apparato istituzionale e comunitario, Gehlen elabora uno schema concettuale desunto dall’antropologia culturale e dall’etnologia, nutrito di storia dei miti e delle religioni delle culture antiche. Proprio la sfera della cultura umana è oggetto delle numerose e approfondite ricerche condotte dall’autore, poiché essa costituisce la sintesi delle molteplici espressioni del Geist, il quale consiste, come sostenuto da Scheler ne La posizione dell’uomo del cosmo, nella capacità umana di oggettivare ogni singola esperienza psichica e ciascuna funzione vitale, ossia di considerare il complesso dei vissuti psicofisici come oggetti distinti dal proprio Io. Radice di autocoscienza e libertà dalle pulsioni organiche, lo spirito rende possibile la capacità di agire, ossia di intervenire consapevolmente sul mondo e adattarlo alle proprie esigenze; questa facoltà, come sostenuto dall’autore nel capolavoro del 1940 L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, rappresenta il discrimine fondamentale tra l’essere umano e l’animale, l’essenza specifica della natura umana.A causa della propria carenza di specializzazione organico-istintuale, che comporta una sovrabbondanza pulsionale difficile da gestire, l’essere umano è costretto dalla sua stessa costituzione fisiologica a crearsi una “seconda natura”, ossia la sfera della cultura, che gli consente di edificare strutture simboliche ed esoneranti in assenza delle quali non gli sarebbe possibile l’azione. La cultura comprende il complesso delle realizzazioni ideali che l’uomo ha prodotto per orientarsi in un mondo dove la sopravvivenza è una quotidiana conquista: la tecnica, le istituzioni, la religione, il diritto, l’arte, la morale sono le condizioni indispensabili con cui l’uomo può perpetuare il suo esistere nella stabilità.«L’intera costituzione dell’uomo abbraccia ambiti per natura instabili, plastici e variabili. Gli istinti despecializzati, le azioni che mutano con l’apprendimento e il linguaggio (compreso il pensiero che in esso si svolge) sono esempi di questo tipo di sfere di un possibile regno in formazione pressoché irrappresentabile, all’interno del quale si possono circoscrivere unità stabilizzate. […] La questione si può porre anche così: come può un essere svincolato dall’istinto e tuttavia attraversato da un eccesso di pulsioni, libero dalla servitù dell’ambiente e aperto al mondo, stabilizzarsi?»(p. 58).L’uomo delle origini e la tarda cultura evidenzia immediatamente l’orientamento conservatore del filosofo: secondo Gehlen, infatti, la costituzione della società prevede, sin dai primordi, la fissazione di forme inibitorie stabili dal carattere sempre restrittivo, come la divisione del lavoro, la famiglia, il diritto, ecc. Queste forme di organizzazione sociale, consolidandosi nel corso dei secoli attraverso l’abitudine e la prassi, si sono depositate sulla struttura della nostra coscienza e hanno orientato le nostre pulsioni e i nostri bisogni. Le forme inibitorie e restrittive della società, però, sono sempre a rischio di disgregazione a causa del disordine pulsionale cui l’essere umano è soggetto (essendo egli l’unico essere vivente privo di adattamento organico a un determinato ambiente), perciò per durare nel tempo esse necessitano di contenimenti esterni che sono dati dalle istituzioni. In assenza di istituzioni stabili e durature l’uomo regredisce rapidamente allo stato di natura, rischiando di degenerare sotto la pressione delle proprie pulsioni: «civiltà indisturbate degenerano sempre a partire dall’interno. […] il piacere e il di più di vita sono diventati diritti che si pretendono; […] la forza morale e spirituale non vale più a porre un limite al superfluo e al già detto» (p. 114). La teoria gehleniana delle istituzioni è interessante anche perché offre una disamina delle svolte culturali della storia dell’umanità, che hanno generato nella coscienza vere e proprie modificazioni strutturali. La prima si è verificata nel Neolitico, ultimo periodo dell’età della pietra, con il passaggio dall’attività nomade della caccia a quella stanziale agricola; successivamente, l’avvento delle religioni monoteiste, affermando l’esistenza di un dio unico e invisibile posto nell’aldilà, ha condotto alla neutralizzazione del culto degli elementi naturali; infine, la rivoluzione industriale dell’Ottocento ha superato definitivamente i vincoli di ordine energetico-tecnologico che gravavano sulle attività produttive. Le rivoluzioni culturali determinano la formazione di nuove immagini del mondo (non necessariamente in rapporto lineare tra loro): la prima è la visione metafisica della entente secrète (segreta consonanza) tra tutti gli esseri, in base alla quale tra i fenomeni umani e gli eventi naturali esiste un “nesso simpatetico”, ossia un apriori conscio e inconscio che unisce l’uomo alla natura in un rapporto di attrazione-repulsione su cui si fondano i rituali mimetici, raffigurativi, magici e sciamanici delle società arcaiche e che si instaura automaticamente dinnanzi a rapporti centrali per l’esistenza umana: «uomo e donna, madre e figlio, fame e nutrizione, luna e notte, parola e risposta» (p. 168).Al mondo premagico si oppone la visione meccanicistica della natura, la cui formazione risale all’epoca illuministica greca e fa da presupposto al monoteismo in quanto religione di un dio invisibile posto in una dimensione ultramondana. La concezione rappresentativa del mondo creato da una volontà istitutrice dell’ordine cosmico e dei riti è collegata all’idea del “fare”, alla generazione materiale delle cose; infine, l’immagine di un dio che si manifesta nel logos o verbum, ossia nel comando di una volontà che si esprime attraverso la parola, è un’idea che «fu concepita in relazione all’avvento della grande sovranità, in una vera e propria svolta di portata storica mondiale attestata in Egitto» (p. 178). L’elemento originale della filosofia delle istituzioni di Gehlen consiste nella separazione di motivazione e scopo dell’azione, in vista del porsi di un’istituzione. L’origine dell’istituzione consiste in un’associazione di interessi comuni con uno scopo definito, ma, una volta assicurato il soddisfacimento del bisogno, l’istituzione si autonomizza assumendo un valore proprio e indipendente dallo scopo per cui è nata, al punto da potersi indirizzare anche verso nuove funzioni, spinta da nuove motivazioni. Acquisendo valore autonomo e indipendente dallo scopo per cui era originariamente sorta, l’istituzione si comporta come un apriori logico, una struttura formale vuota disponibile ad accogliere nuovi contenuti, ma ciò è possibile soltanto in quanto essa costituisce la garanzia di un soddisfacimento di sfondo dei bisogni primari, da cui l’uomo si esonera progressivamente disimpegnando le proprie energie e impiegandole sotto la spinta di nuove motivazioni, che a loro volta generano nuove prassi e abitudini.All’origine dell’istituzione vi è sempre il bisogno fondamentale di socialità, che si realizza nella forma dello scambio reciproco. La reciprocità dell’azione di scambio crea uno spazio di condivisione superiore alla mera funzione economica: nelle culture arcaiche il rapporto tra dare e ricevere era di natura simbolica, si caricava della personalità del donatore, assumendo la forma di una relazione dove le soggettività si riconoscono vicendevolmente in una dimensione paritaria. La reciprocità istituzionalizzata soddisfa il bisogno di una coesione sociale che diventa terreno fecondo per la crescita della personalità individuale, con i relativi diritti e doveri: «Il bisogno di un vincolo sociale, di regola avvertito consapevolmente solo quando venga a mancare, viene soddisfatto primariamente in ogni campo dalla reciprocità e dalla durata di un agire stabilito. Perciò vi è l’esigenza interiore di un’invarianza del comportamento, ossia di canali di espressione in cui questo bisogno possa insieme darsi ed essere soddisfatto proprio in quanto ha a disposizione forme di azione stabilmente ereditarie, innate e invarianti. Questo tipo di garanzia è offerto in genere solo dalle istituzioni, che hanno rovesciato il proprio ruolo assumendo l’autonomia di ciò che è autentico in sé, e ora determinano a loro volta in modo univoco il comportamento umano con la divisione dei diritti e dei doveri» (p. 66).Le istituzioni rendono così possibile l’equilibrio, mai definitivo, tra l’uomo e il mondo, che si presenta come un campo di infinite sorprese in cui è necessario orientarsi, disciplinando le proprie pulsioni in vista di un agire comunitario. Agire, per l’uomo, significa compiere un movimento ascetico, ossia sospendere la pressione dell’immediato, trattenerla presso di sé, neutralizzarla e creare uno spazio di libertà dove le tensioni naturali sono risolte e contenute da prassi consolidate e stabili. L’esistenza dell’uomo è perciò vincolata a una torsione innaturale dell’elemento pulsionale, che, inibito e non soddisfatto, agisce a livello potenziale, divenendo fonte inesauribile di energia produttiva. La stabilizzazione dell’agire mediante le istituzioni è perciò un fatto artificiale e in quanto tale può sempre essere distrutto, così come possono essere cancellati i sistemi giuridici, le tradizioni e l’intero apparato culturale di una civiltà.L’abbattimento delle basi su cui viene garantita la sopravvivenza umana apre la strada all’insicurezza e alla precarietà della vita, implicando la regressione verso forme dello stato di natura attraverso un rapido processo di primitivizzazione. La posizione di Gehlen su questo punto è ferma: il rifiuto della cultura e dei suoi prodotti nasce dalla legittima insofferenza verso un eccessivo esonero dalle necessità materiali dell’esistenza e il conseguente insopportabile onere di richieste intellettuali. Se questa comprensibile repulsione si trasforma in un’incontrollabile disgregazione dei fondamenti della società civile, allora, come sostenuto dall’autore in Prospettive antropologiche, l’uomo ritorna alla sua primitività naturale e tutto diventa possibile. Tuttavia, l’orizzonte indeterminato delle possibilità offerte dal ritorno alla natura per Gehlen non costituisce affatto uno spazio dove recuperare l’autentica umanità, che le istituzioni e la cultura hanno corrotto. In antitesi rispetto al contrattualismo di Rousseau, l’antropobiologia gehleniana ribadisce con forza la necessità di un ritorno alla Cultura, intesa come l’unica natura possibile per un essere vivente la cui cifra esistenziale consiste nel paradosso di dover prendere le distanze rispetto alla bruta naturalità, al soddisfacimento immediato degli istinti e all’immediatezza del vivere, così da realizzare un modo di essere unico al mondo, proprio soltanto della specie umana, un modo di essere che si dà nella progettualità dell’agire, nella socialità istituzionalizzata e nella conduzione consapevole della propria esistenza. È questa eccezionale declinazione del bios che fa dell’essere umano un essere unico in natura, protagonista di un sentiero evolutivo mai altrimenti battuto.L’esaltazione del possibile contro il determinato, dunque, è ammissibile solo come ideale regolativo, volto alla correzione dell’eccessiva artificialità dell’esistenza, fonte di nevrosi e alienazione per l’uomo. La vera sfida della vita comunitaria, allora, consiste nella regolazione dell’irriducibile distanza dell’uomo con se stesso, con la sua sfera pulsionale e istintuale, e nella ricerca costante di un equilibrio sempre provvisorio tra cultura e natura. Per un essere incapace di vivere semplicemente nel presente e irrimediabilmente obbligato a pianificare la propria esistenza, a proiettarla nel domani, a vivere per l’avvenire, questo iato è incolmabile e necessario. La stabilizzazione dell’esistenza in forme istituzionali, per Gehlen, non è una scelta, ma una condizione indispensabile per la vita stessa: la natura umana non difesa da forme rigide rivela la sua costituzionale debolezza, il suo costante bisogno di protezione e sicurezza, tuttavia, proprio da questa originaria carenza nasce un modo di stare al modo assolutamente unico e straordinario, che all’immediatezza dell’istinto sostituisce la progettualità della coscienza.

 

Maria Teresa Speranza

S&F_n. 15_2016

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