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Industria 4.0

Autore


Massimo Temporelli

curatore del Museo Nazionale della scienza e della tecnologia di Milano

è stato curatore del Museo Nazionale della scienza e della tecnologia di Milano. Dal 2010 è consulente per progetti editoriali e culturali per la diffusione della cultura scientifica e tecnologica (in TV e radio). Nel 2012 ha fondato Thefablab, un laboratorio di ricerca e sviluppo sulla manifattura 4.0

Indice


1.La rivoluzione torna indietro

2. Una rivoluzione anomala

3. Da complicato a complesso

4. Tecnologia 4.0

 

 

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S&F_n. 22_2019

Abstract


Industry 4.0


The present work enables us to take the first steps in the world of the 4th Industrial Revolution, a world where robots, artificial intelligence and digital manufacturing technologies will change forever the way we design, produce and buy products and services. The first characteristics of this revolution is globalization: for the first time in history, an industrial transformation is taking place simultaneously on a global scale. The second key-factor is the word  ecosystem: unlike the first three industrial revolutions (steam engine, electricity and computers) over the past few years, no technologies nor machines were invented anew, but we understood how to keep together different technological platforms by using the same language (bit). If the revolution in place will complete the transformations announced, in twenty years we will look at today’s society the same way we nowadays look at the 19th Century society.

  1. La rivoluzione torna indietro

Se si osserva abbastanza da lontano la storia delle prime tre rivoluzioni industriali si può notare un fenomeno che mi piace chiamare “West Shift”, ovvero uno spostamento verso ovest degli epicentri che hanno dato origine ai terremoti tecnologici e culturali che poi abbiamo chiamato rivoluzioni industriali.

Provo a mostrarvi questo spostamento: la prima rivoluzione industriale è scaturita alla fine del Settecento in Inghilterra. La seconda rivoluzione industriale si è infiammata sulla sponda nord atlantica degli Stati Uniti d’America alla fine dell’Ottocento. Infine, la terza rivoluzione industriale ha avuto origine a metà degli anni Settanta dello scorso secolo sulla West Coast statunitense, in una piccola area nota ai più come Silicon Valley.

Insomma, partendo dall’Europa e spostandosi verso ovest, ogni volta, di qualche migliaia di chilometri, esattamente ogni cent’anni si sono verificate le condizioni culturali, sociali e tecnologiche per far avvenire una rivoluzione.

Osservando questo inesorabile e chiaro movimento nessuno avrebbe predetto che la Quarta rivoluzione industriale avesse potuto avere origine nuovamente in Europa e invece proprio nel centro del vecchio continente, subito dopo una delle crisi più pesanti che abbia colpito il mondo occidentale, si sono presentate le condizioni per parlare di rivoluzione industriale, la Quarta rivoluzione industriale, nota ai più come Industry 4.0. Anzi possiamo dire che questa rivoluzione è la più bella e solida risposta al crollo dei paradigmi sociali e industriali che hanno caratterizzato il Novecento e che hanno iniziato a vacillare all’inizio del XXI secolo.

L’origine del termine e del concetto di Industry 4.0 si deve a Henning Kagermann, Wolf-Dieter Lukas e Wolfgang Wahlster, tre consulenti del governo tedesco attivi nel mondo economico, tecnologico e industriale. Nell’aprile del 2011, i tre professionisti presentarono un documento per il futuro della manifattura in Germania durante la Fiera di Hannover.

Il titolo originale del loro documento era Industrie 4.0: Mit dem Internet der Dinge auf dem Weg zur 4. industriellen Revolution[1], e tradotto in italiano suona più o meno così: “Industria 4.0: Internet delle cose sulla strada della Quarta rivoluzione industriale”.
Qui di seguito riportiamo parte della traduzione di questo documento, non solo per il suo valore storico ma soprattutto perché la chiarezza di questo lungimirante scritto permette di capire i capisaldi di questa Quarta rivoluzione industriale, fondata su di un mix perfetto di atomi e bit, di mondo virtuale e mondo reale:

Nella nuova decade nuovi modelli di business saranno resi possibili grazie al ricorso ai Sistemi Cyber Fisici (Cyber-Physical System, CPS).In questo contesto la Germania potrebbe ricoprire un ruolo di primo violino. Proporsi come sito produttivo in una regione di alti salari è una delle questioni chiave nel quadro della competizione globale. A differenza di altri Paesi industrializzati, negli ultimi dieci anni, la Germania è riuscita a mantenere stabile il numero degli occupati nel comparto produttivo. La Germania è riuscita a gestire l’impatto economico della crisi finanziaria meglio di molti altri Paesi grazie alle dimensioni e agli elementi innovativi della sua industria manifatturiera. Lo sviluppo e l’integrazione di nuove tecnologie hanno contribuito significativamente a questo risultato. Il mantenimento degli impianti produttivi è indispensabile in preparazione della Quarta rivoluzione industriale.

-La Prima rivoluzione industriale ha comportato l’introduzione di impianti di produzione meccanica alla fine del XVIII secolo.

-La Seconda rivoluzione industriale, agli inizi del Novecento è stata caratterizzata dalla produzione di massa di beni di consumo, grazie all’ausilio dell’energia elettrica (fordismo, taylorismo).

-La Terza rivoluzione industriale ha incrementato la tendenza all’automazione dei processi produttivi ricorrendo all’elettronica e alle tecnologie informatiche.

La Germania ha già guadagnato una posizione di leadership nell’ambito dei sistemi embedded più sofisticati (software-intensive), particolarmente negli ambiti dell’industria automobilistica e dell’ingegneria meccanica. Ora è tempo di affrontare il passo successivo introducendo l’Internet delle cose nell’ambiente industriale, cosicché la Germania possa essere il produttore leader di questo mercato nel 2020.Il miglioramento degli impianti produttivi, dei sistemi industriali, per finire con i prodotti di uso quotidiano mediante introduzione di memorie integrate, capacità di comunicazione, sensori wireless, attuatori integrati e software intelligenti, consente di stabilire un ponte fra il mondo virtuale (cyberspazio) e la realtà tangibile, permettendo una fine sincronizzazione fra i modelli digitali dei dispositivi e la realtà fisica. Lo sviluppo di questi sistemi cyberfisici ha già fornito lo spunto per numerosi progetti di ricerca basati sul concetto di memoria di prodotto, con lo scopo finale di studiare il modo di impiegare la tecnologia per la creazione di prodotti e soluzioni innovative. In questo processo di trasformazione lo sviluppo di sistemi di monitoraggio più intelligenti e processi decisionali autonomi va a sommarsi agli elementi di automazione già largamente presenti nell’industria (in conseguenza della Terza rivoluzione industriale), consentendo alle aziende di controllare l’intera catena di valore praticamente in real-time, intervenendo ai fini di ottimizzarla. Un completo cambio del paradigma industriale, che per la prima volta prevede che il prodotto assuma un ruolo attivo: non più soggetto a un controllo centralizzato, ma piuttosto un semilavorato in grado di comunicare, capace di suggerire le manipolazioni cui dovrebbe essere sottoposto nelle diverse fasi di lavorazione. Ne risulta un prodotto capace di controllare il processo di fabbricazione di se stesso, monitorando i parametri ambientali rilevanti per mezzo di sensori integrati e di intraprendere degli interventi correttivi appropriati in presenza di disturbi. Il prodotto diventa un attore e un osservatore nel contempo. La creazione di una rete verticale di sistemi integrati costituisce la premessa per la creazione non solo di modelli di business completamente nuovi, ma anche per l’ottimizzazione della logistica e dei processi produttivi per non parlare dello sviluppo di nuove applicazioni/servizi commerciali. L’autonomia locale delle memorie di prodotto attive, integrate nel manufatto, permette una riduzione dei tempi di risposta in presenza di malfunzionamenti e un impiego ottimale delle risorse in ogni fase del processo produttivo. Il prodotto stesso potrebbe ottenere accesso immediato ai dettagli di più alto livello che lo riguardano, fornendo un contributo decisivo al riguardo dei provvedimenti da prendere – evitando la perdita di informazione che si verifica talvolta nei sistemi centralizzati a causa della necessità di consolidare l’informazione. Ciò consentirebbe, per esempio, di soddisfare meglio non solo i requisiti economici, ma anche i requisiti ecologici di produzione verde per una città neutra in termini di CO2, efficiente e pulita dal punto di vista dell’energia. Il potenziale commerciale della Quarta rivoluzione industriale, comunque, non risiede solo nel processo di ottimizzazione delle aziende, ma anche nella possibilità di sviluppare nuovi servizi per un largo spettro di applicazioni. Pertanto l’Internet delle cose è complementare alla cosiddetta Internet dei Servizi (IoS), poiché i prodotti intelligenti offrono essi stessi dei servizi intelligenti. Questa nuova generazione di prodotti potrà scambiare autonomamente informazioni, intraprendere iniziative e controllarsi vicendevolmente per mezzo di Internet attraverso modalità di comunicazione Machine to Machine (M2M). L’interoperabilità dei servizi sarà attuata attraverso il ricorso a tecnologie semantiche, basate sul concetto di Cyber-Physical System (CPS), a garanzia di un controllo aperto dei dispositivi. Per accedere alle memorie di prodotto attive saranno necessarie delle nuove modalità di interazione multiple, in modo da consentire agli utenti di accedere in modo rapido ed efficiente alle funzionalità rese disponibili per mezzo dell’Internet delle cose. La Terza rivoluzione industriale fu caratterizzata dall’introduzione di diversi nuovi materiali, dall’impiego di robot, e dal ricorso a sistemi di controllo centralizzati, e sarà rimpiazzata nel prossimo decennio da reti di Internet delle cose basate sul ricorso ai sistemi cyberfisici[2].

 

Nel documento dei tre consulenti tedeschi si parla di sistemi cyber fisici e di machine to machine, sottintendendo che tutto questo avvenga in un ambiente industriale (la fabbrica) in cui le macchine utensili fisiche ma digitali (cioè a controllo numerico) come torni, frese, stampanti 3D, ma anche robot e sistemi di automazione e logistica digitalizzati, dialogano tra loro e con i dispositivi puramente digitali (pc, smartphone, tablet) in mano agli operatori, ma dialogano anche con le merci prodotte dalle stesse macchine utensili.

In questo senso si parla di prodotto attivo, un prodotto che sarà attivo in fabbrica, così come sugli scaffali del sistema di retail ma anche tra le mani dell’utente finale. Questi prodotti oggi vengono chiamati smart object e trasportano la Quarta rivoluzione industriale anche negli uffici e nelle case cioè al di fuori delle fabbriche, trasformando, come sempre, la rivoluzione industriale in una vera e propria rivoluzioni sociale e culturale. Lo abbiamo già detto precedentemente ma è giusto ribadirlo con forza proprio qui: questa rivoluzione industriale, come tutte le precedenti, cambierà non solo la vita nelle fabbriche ma anche le nostre abitudini sociali fuori dalle industrie e gli smart object saranno il simbolo più evidente di questi cambiamenti.

“Alle idee buone credono in tanti”, e così negli anni successivi alla proposta tedesca molti paesi industrializzati hanno aderito allo stesso programma industriale proposto dai consulenti tedeschi per il loro Paese.

Gli Stati Uniti d’America hanno proposto il Manufacturing USA[3], proponendo un network di istituti e di laboratori di eccellenza, atti alla diffusione della tecnologia e delle competenze 4.0. Fondamentalmente questi centri sono costituiti da grandi gruppi privati dell’ICT (Information and Communications Technology) e dalle università. Il piano è promosso dal Governo e finanziato tramite partnership pubblico-private. L’impegno pubblico è stato inferiore al miliardo di dollari.

La Francia ha proposto il suo Industrie du Futur[4], un piano di reindustrializzazione e di investimento in tecnologie Industry 4.0 guidato centralmente dal Governo, con un impegno economico pubblico superiore ai dieci miliardi di euro.

Anche l’Italia è entrata velocemente nella Quarta rivoluzione industriale, almeno sul piano delle strategie economiche del governo. Il 21 settembre 2016, al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, il governo Renzi, supportato dal ministro dello Sviluppo economico (MISE), Carlo Calenda, ha lanciato un piano simile alle altre grandi nazioni europee. Il piano, valido per il periodo compreso tra il 2017 e il 2020, è stato denominato Industria 4.0[5] e prevede investimenti da parte del governo per oltre 15 miliardi di euro. Ancora oggi molti di questi piani strategici per i diversi Paesi sono in vigore, fondamentalmente defiscalizzando gli investimenti delle aziende in tecnologie 4.0 e la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni di prodotti e servizi 4.0.

 

  1. Una rivoluzione anomala

Come ho messo in evidenza  nel mio libro 4 punto 0, Fabbriche Prodotti e professionisti della Quarta rivoluzione industriale[6] ogni precedente rivoluzione industriale, oltre alle necessarie condizioni socio-economiche, è stata innescata da una o più specifiche tecnologie: la Prima rivoluzione industriale ha preso vita grazie all’invenzione e poi alla diffusione della macchina a vapore di James Watt e del telaio meccanico nell’industria tessile; la Seconda grazie al motore a combustione interna di Barsanti e Matteucci, all’elettricità di Edison e all’organizzazione del lavoro di Taylor e Ford e la Terza, infine, grazie all’invenzione del microprocessore della Intel e poi all’esplosione dell’informatica personale dovuta agli americani Steve Jobs e Bill Gates.

È dunque logico aspettarsi di poter individuare anche per questa Quarta rivoluzione industriale una o più tecnologie simbolo del processo di cambiamento, fuori e dentro le fabbriche.
Invece questa rivoluzione industriale è anomala. Infatti, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è apparso nulla di nuovo nello scenario tecnologico degli ultimi anni. Forse, al più, si sta assistendo alla maturazione di alcune vecchie tecnologie, ma niente di davvero innovativo caratterizza questa nuova rivoluzione, come fu invece nel caso del vapore e dell’elettricità o dell’informatica personale per le precedenti rivoluzioni.
A ben guardare, molte delle tecnologie che oggi vengono considerate 4.0, infatti, sono state inventate e utilizzate nel pieno della Terza rivoluzione industriale, se non addirittura alla fine della Seconda.

Facciamo un esempio per tutti: come imprenditore dell’industry 4.0 e come fondatore di uno dei primi Fablab italiani mi occupo dal 2013 di stampa 3D, conosciuta dagli addetti ai lavori come additive manufacturing, e per quanto questa tecnologia miracolosa venga spesso assimilata alla nascita della nuova manifattura e di buona parte dell’Industry 4.0, in realtà, come vedremo nel prossime pagine, è un’invenzione sperimentata, brevettata e utilizzata in molti settori industriali fin dai primi anni Ottanta del secolo scorso. Lo stesso ragionamento si può fare per molte altre tecnologie 4.0, dalla robotica ai big data, e dunque la domanda sorge spontanea: perché in molti hanno iniziato a parlare di nuova rivoluzione industriale? Qual è l’elemento di rottura con il passato? Qui proveremo ad andare alla ricerca di una risposta a questa domanda, arrivando a scoprire il vero centro nevralgico di questa nuova rivoluzione, che ancora una volta non sono le tecnologie ma piuttosto un nuovo paradigma progettuale e culturale.

Sanjay E. Sarma, il ricercatore e professore del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che insieme al collega Kevin Ashton, alla fine dello scorso millennio, è stato uno dei pionieri delle prime ricerche sulle tecnologie RFID (Radio-Frequency IDentification) e IoT (Internet of Things, Internet delle cose)[7], ci permette di trovare i primi elementi per dare una risposta alle domande formulate in precedenza.

Il ricercatore e professore del MIT in un convegno del 2016, parlando dei suoi contributi alla nascita di IoT, prova a rispondere a una apparentemente semplice domanda: che cos’è Internet of Things? La sua risposta ci aiuta a capire molto, non solo di IoT, ma anche dell’intera nuova rivoluzione industriale che qui stiamo provando a descrivere.

A un certo punto, nel suo illuminante intervento dichiara:

IoT is not a technology. It is not something you can buy. Can you buy Internet of Things?

Can You buy happiness? No. Right?

You can’t buy Internet of Things[8].

 

È davvero così: non si può comprare l’IoT, non si può comprare qualcosa che non è solo una tecnologia, non è solo un qualcosa di tangibile ma è qualcosa di più. Sanjay Sarma, nel prosieguo del suo intervento, definisce Internet of Things un «nuovo linguaggio di progetto» (a new design language), un nuovo modo di pensare.

Ecco, anche per l’Industry 4.0 (che è il contenitore più grosso al cui interno troviamo l’IoT) vale lo stesso principio: l’Industry 4.0 non è una tecnologia, non è qualcosa che si può comprare.
L’Industry 4.0 è un nuovo linguaggio progettuale, è un nuovo approccio all’intera catena di produzione dei beni fisici: dalla creatività al retail, dalla manifattura alla distribuzione. La vera grande novità di questo approccio progettuale sta tutta racchiusa in una sola parola: connessione.

L’Industry 4.0 sarà ricordata come la rivoluzione che connetterà il mondo dei dati (bit) con il mondo fisico degli atomi (sistema cyber fisico del protocollo tedesco), il mondo delle macchine utensili con il mondo dei computer, il mondo dei clienti con il mondo dei produttori.

Guardare alle connessioni tra elementi, una volta distanti e settoriali, è il segreto per capire, promuovere e praticare la Quarta rivoluzione industriale. Naturalmente le tecnologie continuano a giocare un ruolo centrale in questo discorso ma è l’approccio progettuale e culturale a fare la differenza. Insomma, per dirla in modo semplice, non basta comprare una stampante 3D o inserire qualche sensore in fabbrica per dire di essere un’azienda 4.0. Si deve fare molto di più, si deve imparare a gestire la complessità.

 

  1. Da complicato a complesso

In molti, spesso, confondono il concetto di “complicato” con il concetto di “complesso”; qui proveremo a sanare questa popolare ignoranza, non tanto per il gusto di farlo ma perché ci è utile chiarire tale differenza per costruire la mappa più corretta per muoversi più agevolmente all’interno della Quarta rivoluzione industriale. Il concetto di complessità, come quello di sistema, sarà fondamentale come una bussola per orientarsi in questo gigantesco regno 4.0.

Iniziamo con il concetto di complicato: una cosa complicata è tipicamente una cosa fatta a layer (strati). Per gestire o venire a capo di una questione complicata si devono fare tanti singoli passaggi, step by step. Gli algoritmi informatici, un labirinto, una catena di montaggio o un’equazione matematica sono buoni esempi di cose complicate. Cose che con pazienza e strumenti adatti, passaggio dopo passaggio, si possono dipanare, spiegare e risolvere.

Il concetto di complessità ha invece a che fare con l’interconnessione, con gli intrecci e le relazioni. Non si può trattare una cosa complessa, come ad esempio il nostro cervello/mente, i mercati finanziari o il clima, come una cosa complicata, agendo step by step, ma serve un nuovo approccio che tenga conto delle relazioni.

Passando dall’ambito puramente teorico a quello più vicino al nostro tema, l’Industry 4.0, proviamo a declinare i concetti di complicato e complesso, pensando a termini quali “filiera” o “cluster industriali”.

L’Enciclopedia Treccani definisce filiera industriale la sequenza delle lavorazioni (detta anche filiera tecnologico-produttiva) effettuate in successione al fine di trasformare le materie prime in un prodotto finito (in inglese supply chain)[9]. Le diverse imprese che svolgono una o più attività della filiera sono integrate in senso verticale ai fini della realizzazione di un prodotto, in contrapposizione alle imprese integrate in senso orizzontale che operano allo stesso stadio di un ciclo produttivo.

Il concetto di filiera è un concetto che appartiene alla precedente rivoluzione industriale e, per fare riferimento a quello che abbiamo detto all’inizio di questo paragrafo, rimanda a un processo complicato, fatto di layer e di passaggi successivi e verticali.

Il concetto di cluster è leggermente più raffinato e può essere definito come un’agglomerazione geografica di imprese interconnesse, fornitori specializzati, imprese di servizi, imprese in settori collegati e organizzazioni associate che operano tutti in un particolare campo, e caratterizzata dalla contemporanea presenza di competizione e cooperazione tra imprese.
In Italia il concetto di cluster trova una corrispondenza in quelli che sono i distretti industriali: nel nostro Paese vi sono distretti industriali come quello del tessile a Como e a Prato, quello della meccanica a Modena e poi vi sono distretti più trasversali come il Parco scientifico e tecnologico Kilometro Rosso di Bergamo in cui più aziende condividono strutture, impianti e laboratori di avanguardia. In questi luoghi, come si può leggere sul sito del Kilometro Rosso, è presente un contesto particolarmente stimolante, che favorisce la cross-fertilization, cioè la contaminazione tra differenti culture, esperienze e metodologie di ricerca, operative e gestionali, grazie alla vicinanza tra aziende hi-tech, centri di ricerca e laboratori appartenenti a settori e discipline diverse[10]. Il Kilometro Rosso diviene così un sistema di relazioni interpersonali e, soprattutto, interdisciplinari e multisettoriali. Ogni azienda può condividere la sua rete di relazioni consolidata nel proprio settore con gli altri insediati.

Nel concetto di cluster o distretto industriale si fa riferimento in modo chiaro alle relazioni e alle interconnessioni. Il concetto di cluster, rispetto alle filiere industriali, abbandona la complicazione dei layer e fa un passo deciso verso la complessità. Il passo non è ancora completo, perché rispetto al paradigma che si consoliderà nell’epoca dell’Industry 4.0 esclude dal sistema ancora molti attori dell’innovazione, della produzione e del consumo del prodotto, ma il concetto di cluster è fondamentale per iniziare a capire che cosa sarà il prossimo paradigma, quello che possiamo definire attraverso l’espressione “Open Innovation” o “Innovazione Aperta”, tipica dell’Industry 4.0, innovazione che va ben oltre il concetto di filiera e anche di cluster.

Nel prossimo paragrafo daremo una breve descrizione delle tecnologie 4.0 che in questi anni stanno maturando e che imprenditori, manager e professionisti dovranno governare e saper connettere l’una con l’altra per creare un ecosistema funzionale al business del futuro.

 

  1. Tecnologia 4.0

Nei sistemi complessi le relazioni sono più importanti degli elementi che compongono il sistema stesso, tuttavia non si può parlare di sistema se non si conoscono gli elementi che lo compongono. Solo dopo aver elencato e analizzato tutte le tecnologie tipiche dell’Industry 4.0 potremo iniziare a guardare alle relazioni tra questi elementi e alla ricchezza che da queste potrà emergere.

Tipicamente, quando si parla di Industry 4.0 ci si riferisce a una manciata di tecnologie o piattaforme tecnologiche che qui di seguito elenchiamo:

-Internet of Things (IoT), noto in Italia anche come Internet delle cose;

-Additive manufacturing, tecnologia volgarmente nota come stampa 3D;

-Digital fabrication, insieme di macchine utensili a controllo numerico;

-Robotica programmabile, robotica industriale flessibile e agile;

-Cloud computing, archiviazione ed elaborazione dati in rete;

-Big data, raccolta e gestione di una grande mole di dati eterogenei;

-Intelligenza artificiale, tecnologia basata sulle reti neurali e il machine learning;

-Cyber security, la sicurezza informatica.

Iniziamo a descrivere Internet of Things:

il nome “Internet of Things” è stato usato per la prima volta nel 1999 dal ricercatore del MIT Kevin Ashton, cofondatore e direttore esecutivo di Auto-ID Center. Il ricercatore statunitense utilizzò questo termine riferendosi alla possibilità di etichettare – taggare, per dirla in gergo – e tracciare tutte le merci con marcatori RFID (piccole antenne da attaccare agli oggetti) durante una presentazione presso Procter & Gamble, multinazionale che commercializza migliaia di prodotti di consumo. Dopo questa fortunata intuizione di Ashton – il nome infatti restituisce un’idea precisa di cosa sia questa piattaforma tecnologica –, fu la società di consulenza statunitense Gartner a sviluppare e diffondere questo nome nelle aziende e nelle diverse industrie. Per circa un decennio l’espressione “Internet delle cose” è rimasta utilizzata solo come termine tecnico, ma dal 2013 si è assistito a un vero e proprio boom nella diffusione di questo termine e della sua sigla (IoT).

Fondamentalmente e semplificando al massimo, IoT è una piattaforma su cui sensori e attuatori, collegati a microschede elettroniche, connesse in rete, possono raccogliere dati e attuare azioni in funzione dei parametri ambientali e delle abitudini o a seconda delle richieste degli user che utilizzano quegli ambienti e gli oggetti dentro i quali i sensori, gli attuatori e le microschede elettroniche sono integrati.

In questo nuovo paradigma, per esempio, la nostra lavatrice potrà dialogare con il forno e aspettare a scaldare l’acqua per il lavaggio, evitando così un sovraccarico sulla linea domestica, o ancora, al ritorno dall’ufficio, il nostro frigorifero potrà segnalare alla nostra auto (o al nostro navigatore) di dirigersi verso il supermercato perché nello sportello dedicato al latte il livello è sceso sotto la soglia di attenzione. Sembra fantascienza, ma secondo le stime più credibili, circa 10 miliardi di sensori e attuatori saranno connessi con un proprio IP alla rete Internet entro il 2020. Quello che ci aspetta nei prossimi anni, grazie a Internet delle cose, sarà davvero un nuovo mondo e l’Industry 4.0 sarà fondamentale per accelerare questo processo. Le tecnologie IoT si diffonderanno nelle fabbriche per il controllo dei processi industriali (smart factory) e le stesse industrie 4.0 produrranno nuovi prodotti, dalle sedie ai frigoriferi, dalle cucine alle automobili, in cui saranno integrati sensori ed elettronica (smart object), capaci di ridisegnare il nostro rapporto con gli oggetti.

 

- Stampa 3D o additive manufacturing

Per stampa 3D si intende un metodo per creare oggetti fisici partendo da istruzioni digitali e attraverso la somma successiva di strati di materia. Questa tecnologia è chiamata anche produzione additiva o additive manufacturing (AM), perché, a differenza di altre tecnologie di produzione più tradizionali, come per esempio la fresatura, la tornitura ma anche il taglio laser, la materia viene aggiunta, layer by layer, e non eliminata attraverso punte, frese o altri utensili.

La prima macchina per la stampa 3D commercializzata è stata la SLA-1 di 3D System.

Nel 1986 l’ingegnere americano Chuck W. Hull brevettò la stereolitografia (U.S. Patent 4,575,330), ovvero un metodo per creare oggetti solidi da successivi strati induriti di polimero liquido fotosensibile colpito da luce ultravioletta. Hull successivamente fondò la 3D System, ancora oggi uno dei più importanti player nel mercato della produzione di tecnologie AM.

Semplificando al massimo, nella stampa 3D un modello tridimensionale, disegnato attraverso un software CAD (Computer- Aided Drafting), viene suddiviso in piccole fette orizzontali di altezza variabile, indicativamente dai 10 ai 100 micron, attraverso un software CAM (Computer-Aided Manufacturing), che provvede poi a dare istruzioni alla materia su come aggregarsi. Ma entriamo nel dettaglio delle tecniche di solidificazione del materiale; oggi ci sono fondamentalmente tre principali tecniche di stampa: SLA, SLS, FFF.

- La prima in ordine temporale, come detto, è la stereolitografia (Stereo- Lithography Apparatus, SLA), inventata da Hull, che utilizza le resine fotosensibili come materia prima e un laser o una luce di un proiettore per indurirle.

- La seconda, invece, è la sinterizzazione a laser selettivo (Selective Laser Sintering, SLS). In questo caso il materiale sinterizzato è una polvere finissima, di nylon, polimeri plastici o metallo, che viene indurita attraverso un fascio laser, strato dopo strato.

- La terza e più diffusa, invece, è la tecnologia conosciuta con il nome di Fused Filament Fabrication (FFF). In questo caso si utilizzano delle bobine di filamento plastico (polimero), solitamente ABS, PET o PLA, e la materia viene riscaldata e deposta grazie a un estrusore simile a una pistola per il silicone di dimensione molto piccola.

Esistono poi una moltitudine di altre tecnologie per la stampa 3D meno diffuse, come per esempio il Binder Jetting dell’americana Zcorp, che incolla tra loro strati di polvere di gesso colorata, o la tecnologia Jet Fusion di HP, che utilizza un reagente chimico per fondere tra loro strati di polvere.

Tutte queste tecnologie di fabbricazione digitale cambieranno il modo di progettare, produrre, distribuire e consumare i beni fisici nei prossimi decenni.

 

- Cloud computing e big data

Sempre più aziende e sempre più professionisti sono ormai abituati a salvare i propri dati su sistemi cloud, da Drive di Google a Dropbox, passando attraverso i sistemi nativi di Microsoft o Apple. Questa tendenza, tipica dell’ultimo periodo della Terza rivoluzione industriale, diventerà ancora più esasperata nelle Quarta; infatti, oltre agli archivi di dati, delegheremo al cloud anche analisi ed elaborazioni. Questo fenomeno avverrà perché usare un approccio di cloud computing permetterà a più persone interne allo stesso gruppo di lavoro di accedere alle stesse informazioni e, viceversa, a quelle stesse persone di poter caricare dati da elaborare in modo collettivo. In ottica IoT e Big data, nell’epoca dell’Industry 4.0 questa sarà una condizione indispensabile.

Se da un lato dunque il cloud computing sembra il destino dell’Industry 4.0 e non solo, dall’altro il numero di dati che raccoglieremo e dovremo elaborare nel futuro sarà sempre più grande. Gli accelerometri e i gps dei nostri smartphone, i sensori dell’IoT nelle auto, nelle macchine utensili, nei nostri frigoriferi e ovunque le aziende decideranno di metterli produrranno una quantità di dati incredibile. Per questo motivo, da qualche anno si sta facendo sempre più strada il concetto di big data, ovvero di grosse quantità di dati spesso non correlati e non organizzati che vengono raccolti e collettati su database in cloud e che devono essere organizzati per poi restituire dei modelli predittivi sui vari fenomeni di interesse per l’azienda o il professionista.

Capire quando le lampadine di una fabbrica devono essere cambiate, oppure quale tipologia di utensile usato su un tornio in una catena di produzione sia più performante, o ancora quale strada è la meno dispendiosa in termini di consumo energetico per una flotta di camion che consegnano merci: tutte queste domande potranno essere scientificamente sviscerate grazie ai dati, a grandi moli di dati e a nuove figure professionali, note come data scientist, che sempre di più troveranno spazio nelle industrie 4.0, al suono dello slogan: «Data is the new Oil»[11]

 

- Robotica programmabile e digital fabrication

La robotica industriale è nata in concomitanza dello scoppio della Terza rivoluzione industriale, le sue prime sperimentazioni sono addirittura state compiute nei primi anni Settanta, ma solo negli ultimi anni sta entrando prepotentemente nel tessuto industriale, a tutti i livelli, sia nelle grandi multinazionali (si pensi all’industria automobilistica, dove è già presente da decenni), sia nelle piccole aziende di manifattura.

Da un lato questo fenomeno è dovuto a un abbassamento radicale dei prezzi e a una maggiore segmentazione del mercato, dall’altro a una sempre maggior facilità d’uso dei software per pilotare queste sofisticate macchine, circostanza che permette a sempre più tecnici e operai all’interno delle fabbriche di utilizzarli. Vi sono diverse tipologie di robot industriali, le due principali categorie sono i “robot seriali”, tra cui ricordiamo gli SCARA (Selective Compliance Assembly Robot Arme), i PUMA (Programmable Universal Machine for Assembly), i Cartesiani, e i “robot paralleli” come i Delta. Negli ultimi anni abbiamo visto entrare nelle fabbriche e nei magazzini aziendali anche i robot AGV, l’acronimo di Automatic Guided Vehicle (veicolo a guida automatica) e che, per esempio, con i robot Kiva, sono i grandi protagonisti nei magazzini di Amazon. È inutile dire che chiunque oggi pensi alla fabbrica nell’epoca dell’Industry 4.0 immagina un luogo pieno di robot e iperautomatizzato. Attenzione però: questi robot hanno una caratteristica speciale rispetto al passato, hanno sensori e connessioni che li rendono parte dell’ecosistema della fabbrica e di quello più allargato dell’azienda che li ha comprati. Fino a pochi anni fa i robot restavano chiusi dentro a una gabbia come animali feroci e ripetevano meccanicamente un lavoro a essi assegnato. Oggi, invece, i robot sono diventati collaborativi e gli uomini possono lavorare fianco a fianco con loro, inoltre sono connessi tra loro e con le altre macchine utensili della fabbrica e si rendono conto dell’ambiente in cui lavorano, capendo quando accelerare, rallentare o fermarsi.

Ma il lato più interessante dei robot 4.0 è che sono facilmente programmabili. Sempre di più i robot del futuro potranno essere programmati da chiunque operi nel sito produttivo, perché i linguaggi che capiranno saranno sempre più alti, ovvero vicini a quelli che usiamo per impartire ordini ai nostri simili. Fino a oggi i robot nelle fabbriche venivano programmati solo da pochi tecnici e questo ne limitava l’impiego e la diffusione; nelle fabbriche del futuro, invece, i robot saranno più simili a colleghi a cui chiunque potrà impartire ordini.

Insieme alla robotica, nelle fabbriche prenderanno sempre più spazio macchine di fabbricazione digitale. L’espressione “fabbricazione digitale”, o digital fabrication, fa riferimento a un processo produttivo attraverso cui è possibile creare oggetti/prodotti partendo da file digitali.

Le principali tecnologie utilizzate per la fabbricazione digitale sono quelle additive, ovvero quelle in cui il materiale viene aggiunto layer by layer, che abbiamo già analizzato in precedenza, e quelle sottrattive, in cui si procede alla produzione del pezzo desiderato attraverso la sottrazione di materiale da una materia prima grezza. Sono un esempio di tecniche sottrattive i sistemi di taglio e incisione laser e i sistemi di fresatura o tornitura. Tutte queste macchine utensili, a volte dei veri e propri centri di lavoro, sono diventate automatizzate durante la seconda parte del Novecento e si sono evolute in macchine a Controllo Numerico Computerizzato (CNC). Verso la metà degli anni Ottanta del secolo scorso l’accelerazione tecnologica dovuta alla diffusione dell’informatica e della microelettronica ha permesso la diffusione delle macchine CNC dalla grande alla piccola industria. Oggi, mentre stiamo entrando nell’epoca dell’Industry 4.0, queste macchine non solo tornano di moda ma si arricchiscono di nuove funzionalità e, come i robot, per essere coerenti con la rivoluzione in atto, dovranno essere connesse e ricche di sensori IoT.

 

- Cyber security e intelligenze artificiali

Ogni azione di condivisione di dati sul cloud, sia su server interni sia su server esterni all’azienda, prevede un rischio di attacco informatico, e per questo motivo ogni azienda e ogni professionista che vuole entrare nel mondo dell’Industry 4.0 deve investire risorse economiche e temporali per strutturare una buona sicurezza sui propri sistemi informatici. Questo vale già per informazioni quali mail, contabilità, contratti, che da anni le aziende mettono in condivisione, immaginatevi cosa potrà succedere quando le aziende di manifattura inizieranno a condividere in cloud anche i progetti, i file di oggetti fisici e le istruzioni della propria produzione industriale. Sempre di più diventerà chiaro quanto la sicurezza informatica sia un punto centrale della Quarta rivoluzione industriale. Il tema è delicatissimo ed esistono molti libri e manuali, oltre che agenzie specializzate attive in questi settori, che aiutano le aziende a mettersi al riparo da attacchi informatici.

L’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence, AI), infine, è la vera tecnologia emergente di questi ultimi anni: ormai gli scienziati e i gruppi di ricerca di questa disciplina hanno raggiunto livelli incredibili. Questa scienza è molto antica e risale addirittura ai primi anni di storia dell’informatica, epoca in cui anche mostri sacri come John von Neumann e Alan Turing si cimentarono con la domanda: una macchina può pensare? Per molti decenni si incontrarono grandi difficoltà e il tema rimase arenato all’interno di nicchie scientifiche, ma negli ultimi anni, anche grazie a un cambio di paradigma, in particolare all’utilizzo delle reti neurali, il tema delle intelligenze artificiali è uscito dai laboratori per approdare al mondo industriale e delle aziende con le prime applicazioni concrete. In particolare, società come IBM, Google e Facebook hanno sviluppato o stanno sviluppando sistemi AI per le aziende. Nel futuro i robot, gli smartphone, ma anche molti oggetti, nelle fabbriche e fuori, saranno dotati di intelligenza artificiale e sistemi di apprendimento basati sul Machine Learning che permetteranno a queste macchine e dispositivi di prendere decisioni autonome evitando agli esseri umani di intervenire in molti processi decisionali.

Abbiamo completato la sintetica disamina delle tecnologie associate alla Quarta Rivoluzione industriale, ora tocca agli imprenditori, ai professionisti ma anche ai semplici cittadini che hanno avuto la pazienza di leggere queste pagine il compito di unire i puntini e di far emergere dalla complessità di tutte queste relazioni una società e una cultura migliore di quella del Novecento, diventando, dunque, protagonisti della Quarta rivoluzione industriale.


[1] Industrie 4.0: Mit dem Internet der Dinge auf dem Weg zur 4. industriellen Revolution https://www.ingenieur.de/technik/fachbereiche/produktion/industrie-40-mit-internet-dinge-weg-4-industriellen-revolution/  https://www.ingenieur.de/technik/fachbereiche/produktion/industrie-40-mit-internet-dinge-weg-4-industriellen-revolution/

[2] Traduzione presente in M. Temporelli, F. Colorni, B. Gamucci, 4 punto 0. Fabbriche, professionisti e prodotti della Quarta Rivoluzione industriale, Hoepli, Milano 2017.

[3] https://www.manufacturingusa.com.

[4] https://www.usine-digitale.fr/industrie-du-futur/.

[5] https://www.mise.gov.it/index.php/it/industria40.

[6] M. Temporelli, F. Colorni, B. Gamucci, op. cit.

[7] Per una rassegna delle principali pubblicazioni di Sanjai Sarma cfr. http://meche.mit.edu/people/faculty/sesarma%40mit.edu.

[8] Citazione presente in M. Temporelli, F. Colorni, B. Gamucci, 4 punto 0. Fabbriche, professionisti e prodotti della Quarta Rivoluzione industriale, cit.

[9] http://www.treccani.it/enciclopedia/filiera-produttiva/

[10] http://www.kilometrorosso.com.

[11] Affermazione associata al matematico Clive Humby.

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