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Sébastien Balibar – L’atomo e la mela. Dodici storie di fisica contemporanea – tr. it. a cura di D. Calonico, Bollati Boringhieri [Torino 2009, pp. 187, € 26]


Come spiegare problemi complessi di fisica contemporanea ai non addetti ai lavori? Sébastien Balibar raccoglie la sfida partendo dalla propria biografia, convinto come Marie Curie che uno scienziato non sia solo un tecnico che agisce in laboratorio, ma un bambino che guarda ai fenomeni come a un immenso racconto di fate e che procede  nella scoperta delle cose unendo curiosità, amore per la natura e razionalità.  Si tratta di un libro in prima persona dove l’autore raccontandosi, racconta la fisica. È a partire dalle prime esperienze con un telescopio rudimentale, utilizzando il quale ci si sentiva come Galilei, che Balibar incontra i misteri dell’universo e le sue bellezze: « Venere talvolta ha la forma di un croissant come la luna, Saturno sembrava un occhio, un occhio che mi guardava […] e mi sentivo così piccolo, preso dalle vertigini in questa enorme giostra» (pp. 13-14). Ogni breve storia si apre con una domanda, talvolta all’apparenza banale, talvolta bizzarra, ma che nella sua semplicità pone il lettore ignaro dinnanzi ai crucci più inestricabili della scienza: perché fa buio di notte? Cosa abbiamo in comune coi porri? È vero che siamo tutti radioattivi? Il cielo ci cadrà sulla testa? Da dove vengono i colori della materia?

Le risposte che l’autore fornisce si sviluppano a partire da una premessa di fondo: per comprendere certi fenomeni «le equazioni da sole non bastano. Siamo scienziati razionali e tuttavia abbiamo bisogno dell’immaginazione per capire» (p. 53). Per questo Balibar si serve di metafore colorate, pittoresche, che fanno sorridere il lettore e allo stesso tempo lo istruiscono: utilizza le macchie di Rorschach per spiegare la vita come opposizione al principio di simmetria, oppure un tavolo da cucina per affrontare la teoria quantistica e mostrarci che «una particella è anche un’onda» (p. 64). Racconta l’individualismo degli elettroni, il carattere capriccioso degli atomi che preferiscono «legarsi con alcuni atomi piuttosto che con altri» (p. 67); lo spettacolo di una notte stellata diviene pretesto per riflettere su Big Bang e Big Crunch, su materia visibile e materia oscura.

Balibar non è di quei fisici che auspicano o credono che in futuro si potrà formulare una teoria del tutto, come se «la comprensione della natura potesse ridursi a identificare le particelle elementari e a determinarne le interazioni» (p. 112); questa forma di riduzionismo universalista è assolutamente fuorviante poiché «un gruppo ha qualità che gli individui da soli non possiedono. Capire le proprietà degli atomi non basta per svelare quelle delle mele» (ibid.). Pur non essendo una somma di conoscenze slegate e frammentarie, la fisica è in effetti ben lontana dall’essere unificata. Ciononostante, il suo punto di forza sta nel metodo, caratterizzato dal «triangolo osservazione, modellizzazione, verifica delle predizioni» (p. 113), che permette di giungere se non all’universalità, quantomeno a delle generalizzazioni unificanti, che riescono a descrivere fenomeni diversi entro lo stesso quadro concettuale: Einstein per esempio, «cercando di unificare il continuo delle onde con il discontinuo della materia, elaborò un quadro teorico più generale di quello a lui contemporaneo e permise la spiegazione di nuovi fenomeni come l’effetto fotoelettrico» (p. 114).

Con la domanda che chiude il testo “che cosa non so?”, Balibar esprime un punto di vista preciso in merito alla conoscenza: «preferisco l’incertezza della ricerca scientifica alle sicurezze della scienza insegnata […] sono uno scienziato che combatte lo scientismo» (pp. 175-176); critica l’arroganza di un certo establishment scientifico che spesso approfitta di un linguaggio complesso e inaccessibile ai più per imporre opinioni e scelte di rilevanza politica. Ma, si chiede Balibar: questo tipo di competenza tecnica autorizza davvero lo scienziato a ritenersi in possesso della verità in materia « di modificazione genetica delle piante, di etica della scienza o di moralità dello sviluppo industriale?» (p. 177). Balibar critica quegli intellettuali non addetti ai lavori – filosofi, psicanalisti, scrittori – che utilizzano impropriamente il linguaggio della fisica, fingendo di padroneggiarlo e svilendone al contrario l’immagine, con un intento che lungi dall’essere formativo risulta dogmatico e ideologico, e spesso caratterizzato da intenti di indottrinamento. Convinto che la scienza debba essere «un soggetto su cui riflettere e non uno strumento di potere» (p. 180), Balibar dedica questo testo a tutti coloro che ritengono la fisica materia misteriosa e incomprensibile, a quelli che temono di sembrare ridicoli ponendo domande ingenue, a quelli che a scuola non capivano le scienze perché seguiti da cattivi insegnanti, sperando soprattutto di trasmettere al di là delle specifiche nozioni, la passione mai paga per la ricerca.

 

Fabiana Gambardella

12_2009

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