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Dieter Grimm – Sovranità. Origine e futuro di un concetto chiave [Laterza, Roma-Bari, 2023]

Uno dei capolavori della (presunta) spoliticizzazione neoliberale è l’aver reso tabù alcuni lemmi-concetti classici della Dottrina dello Stato. Se l’esistenza di un popolo ha mantenuto una presenza evocativa – per quanto rielaborata in direzioni divergenti – e il territorio ha dalla sua un referente concreto che si fa più fatica a rimuovere, il destino della sovranità è stato quello di divenire uno scabroso non detto    della    politica contemporanea. Come questo sia stato possibile è una domanda che la teoria non può non porsi, e la risposta alberga, forse, nei meandri della grande trama neoliberale volta a detronizzare anche la possibilità minima dell’attività politica in favore delle magnifiche sorti offerte da una società di mercato. C’è un ma: anche quella del mercato è, a suo modo, una sovranità, il che equivale a dire che dalla sovranità non si scappa, per quanto possano cambiare referenti reali e oggetti.

Su questo tema enorme e decisivo, un costituzionalista di fama internazionale come Dieter Grimm ha scritto un agile seppur densissimo volume, che la lucida traduzione di Olimpia Malatesta – curatrice del volume insieme a Geminello Preterossi – offre oggi meritoriamente al dibattito italiano. La densità concettuale dell’edizione tedesca – Souveränität. Herkunft und Zukunft eines Schlüsselbegriffs, del 2009, poi rivista nell’edizione statunitense di cui la versione italiana mantiene le integrazioni – è preservata senza che la leggibilità ne sia compromessa, merito di una traduzione che rende con efficacia le sfumature teoriche della ricostruzione di Grimm – professore emerito di Diritto Pubblico alla Humboldt Universität di Berlino, nonché ex-giudice della Corte Costituzionale della Repubblica federale tedesca –, il quale, dall’alto del suo cursus di straordinario rilievo, nel cuore stesso dei poteri decisivi dell’Unione Europea, ha costruito un testo di grande impatto e vivacità.

Il volume non è solo una storia del concetto di sovranità bensì un denso promemoria delle sue trasformazioni, dei suoi riadattamenti funzionali, degli sviluppi complessivi, nonché di alcune ipotesi di nuovi possibili modi di strutturare l’intricato reticolato di funzioni e poteri che confluiscono nel lemma e nell’esercizio pratico della sovranità. Grimm ricorda come essa non si dia in astratto bensì sempre in contesti concreti, storicamente stratificati e geograficamente particolareggiati. In estrema sintesi, il testo è, in tal senso, una critica giuridico- filosofica della sovranità – da Bodin a Hobbes, da Kelsen a Schmitt –, ne sottolinea la genesi nel dibattito tutto moderno intorno al potere e alle sue raffigurazioni concrete, il legame con l’emergere della priorità occidentale per la forma Stato, così come le frizioni date dalle nuove (disfunzionali?) giuridificazioni internazionalistiche. In tale prospettiva critica, Grimm invita a ripensare le nozioni di potere, autorità e democrazia in relazione alle trasformazioni geopolitiche ed economiche che caratterizzano il nostro tempo.

Perché  la  sovranità  non  è  solo  storia  moderna,  bensì contemporaneità. È proprio sulla sovranità oggi che Grimm prende la parola con vigore, descrivendo mitologemi e realismi di un concetto continuamente operante eppure vieppiù considerato umbratile; in tal senso lo scritto (e ancor più la sua traduzione) è figlio di un’urgenza, quella di investigare la recente ondata acritica che ha reso inservibile il concetto di sovranità servendosi di una banalizzazione giornalistica a scarsissimo valore epistemico, il sovranismo. Il dibattito italiano si è distinto nell’uso irriflesso di tale lemma, comparso in tempi recenti sullo scenario francese e poi trasferitosi, al solito passivamente, sullo scenario nostrano. Come sostiene Preterossi – nella assai incisiva Introduzione – dal titolo, non a caso, Sovranità, non sovranismo: «La sovranità ha invece una lunga storia, decisiva per la modernità politica e giuridica. Il fatto che una questione seria sia stata trasformata in un “ismo” del tutto strumentale mostra che c’è un’evidente difficoltà, nella cultura politica e istituzionale attuale, a fare i conti seriamente con i “fondamenti” dell’artificio politico e giuridico moderno e il suo lascito, e in particolare con la persistenza di un “concetto chiave” come quello di sovranità, pur nelle sue metamorfosi» (p. V).

Per riprendere Preterossi, oggi il punto è esattamente comprendere le motivazioni della difficoltà (che sa di rimozione violenta) a concepire l’istanza politicamente sovrana in uno spazio mondiale che sembra rispondere perlopiù ad altre forme di organizzazione del comando. Non tanto nel negare la funzione della sovranità nelle ambivalenti sorti della politica statuale moderna si situa il punto, poiché essa è operazione storiograficamente impossibile, bensì nel negarne la legittimità oggi: la centralità della questione della dimenticanza del potere sovrano sembra in tal senso essere una facile via di fuga dalla complicazione della fatica del pensare una politica all’altezza dei tempi dell’interdipendenza del sistema mondo. Senz’altro, l’emergere di organizzazioni internazionali, quali l’Unione Europea o le Nazioni Unite, e il potere crescente di entità economiche sovranazionali, quali le multinazionali e le istituzioni finanziarie globali, hanno posto sotto evidente stress il paradigma della sovranità statale intesa come dominio esclusivo e indivisibile. La crescente interdipendenza tra gli Stati, infatti, non solo riduce la capacità di un singolo Stato di agire in maniera autonoma, ma espone i suoi confini a influenze esterne, che si riflettono nella gestione economica e nella regolamentazione globale. Grimm non manca di sottolineare, con grande lucidità, che la globalizzazione ha portato alla forte debilitazione dello Stato-nazione – forma di organizzazione del potere che, sebbene ancora essenziale nella politica mondiale, ha perso la sua capacità di esercitare sovranità esclusiva. La sovranità, pertanto, diventa una funzione che si frammenta e si distribuisce tra diverse istanze politiche ed economiche, con l’effetto di creare nuove forme di governance multilivello, dove le competenze politiche sono continuamente redistribuite tra attori statali e non statali, spesso opachi nonché apparentemente non contendibili democraticamente.

Eppure, il ritorno feroce sui nostri schermi – ma soprattutto sul terreno concreto – del dramma delle guerre sottolinea ancora una volta che la soppressione completa delle istanze estreme della sovranità è un’impossibilità de facto. Cosa ne è di essa, delle sue trasformazioni messe in discussione e riscritte dalla globalizzazione, dalla crescente interdipendenza economica e dalle nuove dinamiche di governance, se dalla sua rimozione essa risorge tramite le sue istanze più violente? Per pensare tutto ciò l’opera di Grimm è ancor più esemplare per ciò che non può dire, e non per suoi limiti – anzi, siamo dinanzi a una delle migliore sintesi politologiche sul tema – ma proprio perché mostra la dinamicità storica del concetto di sovranità: difatti, il dibattito su quest’ultima, rispetto alla pubblicazione originaria del testo, ha mostrato ulteriori problematizzazioni, e dal Donbass a Gaza, dal Libano alla Siria, tutto ci dice che la sovranità è “tornata” evidente e si mostra, per così dire, “in diretta”; negata, essa è riapparsa; velata, è stata riaccesa. Cosa ne è ora che riemergono i caratteri più ferini della sovranità statale? È possibile riattivare i caratteri protettivi per le associazioni politiche della sovranità come essa storicamente si è data o l’unica funzione attribuibile oggi è quella del passaggio all’atto distruttivo?

La questione sembra qui più generale, più complessa e anche più decisiva: uno dei grandi equivoci dell’evo contemporaneo è stato il pensare di poter evadere dai caratteri irriducibilmente politici, dai contenuti impossibili da giuridificare del tutto custoditi nel cuore del nucleo sovrano del Potere, di quell’attinenza al Politico che, pur nelle sue trasformazioni secolari, resta impossibile da scindere dalla presenza di una sovranità. Il problema che si palesa oggi è dunque non solo legato alla polemica politichese riguardo questa o quella forza “anti- sistema” ma è una spirale ben più complessa, che attiene alla dimenticanza epocale della capacità sempre emergente del Politico – la sua impossibile scomparsa così come la sua irriducibilità a ogni anestesia integrale.

L’opera di nascondimento della sovranità è, a sua volta, operazione iperpolitica, poiché, negando chiarezza, perimetrazione, visibilità e riconoscibilità alle prestazioni sovrane, attribuendole a forme assai più fluide e pervasive di organizzazione dello spazio del vivere associato – quelle del mercato, ad esempio –, si agisce in direzione del rafforzamento di surrettizie forme di potere opacamente antidemocratiche. Grimm invita dunque a pensare – per essere all’altezza delle complicazioni legate oggi all’esercizio e alle funzioni della sovranità nello spazio del sistema-mondo – alla latenza della sovranità quando inserita in un impianto costituzionale, ossia a non dimenticare mai che essa, pur risultando silente, continua in realtà ad agire ricordando la sua origine costituente, anche lì dove sembra completamente nascosta nel costituito. Essa si è espressa e ora infonde il corpo politico di sé ma non per questo è impossibile ripensare una sua riattivazione.

I problemi giuridici posti dai rapporti tra Stati sovrani (ma mai del tutto, in uno spazio interconnesso) hanno raggiunto l’acme con le evoluzioni/involuzioni legate all’organizzazione in ambito europeo, con le nuove riconfigurazioni dei punti di intersezione tra competenze e ambizioni, cessioni e mantenimento di volontà nazionali tra Stati, relazioni rese ancora più difficili da uno scontro immanente tra forme di potere vieppiù indipendenti e sorde al controllo popolare. È proprio nella relazione interstatuale che la sovranità riacquisisce l’evidenza negata dal movimento convergente della dimenticanza della sua latenza e dalla volontà politico-culturale di considerarla un vetusto retaggio storico, declassata a strumento puramente storiografico, non certo attuale ai tempi della fine della Storia. La Storia però, non avvisata della sua fine, è di nuovo tra noi, almeno se si accetta che essa è anche la possibilità di utilizzo delle prerogative che da sempre la sovranità ha avocato a sé affidandole alla forma Stato: monopolio interno ed esterno dell’utilizzo della violenza organizzata a fini protettivi o aggressivi.

Quindi la rimozione delle possibilità delle prerogative ultime della sovranità ha creato spaesamento e terrore una volta tornate sui nostri schermi – non che fossero mai scomparse nella parte di mondo considerata irriflessiva dall’Occidente. Al contempo, ha offerto uno spiraglio per una possibile presa di coscienza riguardo l’idea che la lotta per la difesa delle possibilità della sovranità democratica, può essere oggi, in questa congiuntura, una lotta per la possibilità di preservare forme autonome e realmente democratiche di coesistenza politica. Ed è per questo che l’opera di Grimm – equilibrata, ma non per questo meno appassionata – si chiude con una presa di posizione che va oltre il puro diritto e rende chiara la possibile alleanza odierna tra sovranità e democrazia: «oggi la funzione della sovranità è la difesa della facoltà di una società politicamente unita di decidere autonomamente e democraticamente sull’ordine ad essa più adatto. L’aumento progressivo dell’espletamento dei compiti pubblici sovranazionali, che superano le capacità dei singoli Stati, così come la progressiva giurisdizionalizzazione del potere pubblico sul piano internazionale, non vengono ostacolati da un ulteriore sviluppo del concetto di sovranità. Finché mancheranno dei modelli convincenti di democrazia globale non si dovrebbe permettere che sul piano statuale venga prosciugata la fonte stessa di legittimazione e di controllo democratico. Sovranità oggi significa anche Democrazia» (pp. 127-128).

Perché solo pensando la sovranità e la democrazia si possono pensare la pace e l’equilibrio, nel solco del modo in cui uno dei grandi trionfi della ragione occidentale fu quello di saper pensare una forma politica – lo Stato – che ponesse un argine al devastante conflitto civile che sfigurò l’Europa e che, in forme diverse, sembra oggi minacciare il mondo intero. Non basta la diagnosi, ci vuole una terapia, e Grimm consegna alle stampe un tentativo di esplorazione di nuove forme di sovranità, non riconducibili a esclusivismo territoriale o etnocentrismo bensì a nuovi patti di convivenza all’altezza dell’interdipendenza globale, sempre negoziabili in chiave multilaterale. Solo con nuove pratiche e forme politiche in grado di ragionare da punti ben situati ma all’interno di una cornice globale, solo identificando le competenze negoziabili del potere sovrano, solo bilanciando i diritti degli Stati e dei suoi componenti e la necessità di un confronto internazionale su alcuni temi troppo più grandi delle competenze nazionali – le crisi ambientali, quelle migratorie, la demografia – si potrà avere ragione del caos generato dalla distruttiva mentalità mercatale e dai rivolgimenti bellici. Solo nel riconoscere che la sovranità è anche processo dinamico tra diversi gradi e scale di potere, solo nel pensare a una concezione inclusiva della sovranità democratica che sappia però esercitare la propria forza a fini difensivi dall’invadenza degli attori antidemocratici, solo così, ancora, l’idea stessa di una convivenza civile ed equa tra soggetti politici nonché tra soggetti e ambiente potrà avere un senso. Cooperazione, patto sociale e valoriale, cooperazione e giustizia, o la guerra alle porte. Non solo ai posteri, bensì anche a noi, l’ardua sentenza.

 

Mario Cosenza

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