Dolore, piacere, desiderio e pulsione sono i quattro punti cardinali che orientano l’andamento della ricerca svolta da Andrea Nicolini sul tema del masochismo. Questi quattro centri di gravità, oltre a orientare la ricerca, hanno la funzione pratica di dare il titolo alle quattro parti che compongono la struttura di Masochism – A challenge for ethics, testo edito da Mimesis nel 2022 e composto in lingua inglese. In questa sede, per favorirne la ricezione italiana e per rendere omogenea questa review, il recensore ha optato per tradurre in italiano gli estratti, segnalando tuttavia le pagine di provenienza dell’edizione originale.
Quello proposto da Nicolini è uno studio multilivello sul tema del masochismo che, seguendo la trazione esercitata dagli elementi succitati, procede ad aprire il campo al confronto con alcune tra le più eminenti interpretazioni filosofiche e «antifilosofiche» del masochismo nel Novecento europeo, sviluppando, al contempo, una serie di interlocuzioni correlate su temi che riguardano il dibattito morale e politico in senso ampio.
Gli interlocutori principali con i quali Nicolini si interfaccia sono Jacques Lacan, Emile Durkheim, Michel Foucault, René Girard, Gilles Deleuze e Felix Guattari.
Il policentrismo posto alla base dell’argomentazione di Masochism investe, da un lato, il fronte dell’analisi svolta corpo a corpo con il tema del masochismo su un piano di indagine psicologico-empirico; dall’altro lato la necessità di inquadramento teorico delle pratiche masochistiche permette all’autore di interfacciarsi, di volta in volta, con le architetture concettuali proposte dai suoi interlocutori. A tal scopo, introduce in modo dettagliato e approfondito le linee teoriche che soggiacciono alle riflessioni sul masochismo scoprendo le carte alla filogenesi di alcune grandi costruzioni – e de-costruzioni – concettuali della filosofia contemporanea. Questi détour introduttivi forniscono, al lettore avveduto, la possibilità di comprendere appieno la posta in gioco e gli spazi di caduta di ognuno dei confronti operati.
Masochism – A challenge for ethics ha una struttura quadripartita, funzionale nell’ottica che ne muove le argomentazioni – dunque al di qua di ogni dominio pervasivo del concetto – alla delineazione delle serie dei moti profondi che configurano i rapporti di radicale prossimità e trasformatività carnale tra quelli che, per comodità e per meri scopi introduttivi, indichiamo temporaneamente come soggetti. Una comodità che è meglio abbandonare in fretta, in quanto il soggetto – o meglio il concetto di soggetto – è il convitato di pietra di ognuno dei confronti aperti da Nicolini con gli interpreti del masochismo.
Ragione e negatività è la prima coppia (apparentemente) opposizionale a emergere nelle pagine di Masochism, all’interno del discorso sul Dolore. È proprio nello scioglimento delle calcificazioni filosofiche che si sono stratificate attorno a questa diade, messa in rapporto con il dolore, che si gioca la prima sfida di questo libro. L’autore esplicita, in prima persona, il suo intento nel: «considerare la nozione filosofica di negatività attraverso un’analisi fenomenologica e psicoanalitica del dolore al fine di mostrare […] il lato ontologico del dolore: vale a dire il versante del dolore correlato alla pulsione di morte» (p.14) che è costitutivamente irriducibile. Per stanare il lato ontologico del dolore, Nicolini si sposta «al di là del linguaggio» (p.15) seguendo quelle tracce di Reale che il dominio del Simbolico non può rimuovere, pena la perdita del suo stesso orizzonte di senso; infatti, «il Reale è la negatività sempre presente nella struttura del Simbolico nella duplice funzione di condizione di possibilità e di limite insuperabile» (p.15). Il Reale è altro dalla ragione solo nella misura in cui sfugge ai tentativi di incasellamento imposti dalla razionalità filosofica moderna. La soggettività razionalmente orientata della filosofia moderna ha tentato programmaticamente di braccare il residuo di ciò che non può essere ricondotto a sé stessa, per Nicolini «da un certo punto di vista, la storia della filosofia consiste dei più sofisticati tentativi coprire questo al di là della ragione provando a dominarlo con la ragione stessa». Questi tentativi estremi di comprensione e di razionalizzazione di ciò che pare essere irriducibilmente altro dalla ragione – e che, invece, ne rappresenta l’insopprimibile limite trascendentale e la cornice di senso – sono stati smascherati da quella che si potrebbe definire alla stregua di una «contro-storia» della filosofia decisa a rompere il dominio del concetto onnipervasivo, attivato dalla posizione di un soggetto razionale completo o di un cogito inarrestabile.
Al punto opposto, alla massima convessità del cogito, troviamo l’alter ego e la figura di resistenza alla sua «potenza», ovvero il Cogito ferito di Paul Ricoeur.
Ricoeur ricostruisce una genealogia del cogito brisé che individua il capocorrente in Nietzsche e ne fa il grande oppositore di Cartesio. L’obiettivo di questa tradizione di oppositori della pervasività della soggettività razionale è quello di mostrare come «il soggetto, a partire dal quale il cogito è stabilito, è strutturalmente costituito da una scissione» (p.17).
Questa ripartizione rende esplicita l’immagine del soggetto come manque à être e dà il la alla considerazione per la quale «il potere onnicomprensivo del cogito sembra essere null’altro che una fantasia prodotta dal Simbolico nel tentativo di riempire il vuoto del Reale» (p.18). Nicolini introduce lo schema del cogito brisé, approfondendo il suo spazio di origine e il suo orizzonte di senso, al fine di mostrare la prossimità di questo schema con le motivazioni che soggiacciono alla riflessione della queer theory – nello specifico rispetto alle torsioni argomentative offerte da Leo Bersani e Lee Edelman. Se il cogito brisè è «la negazione inflessibile di ogni identità fissa […] dà voce alla negatività che non si lascia catturare dalla ragione e si impegna nello smantellamento del potere, allora appare chiaro che il cogito brisé e il queer siano due modi differenti per “definire” la stessa cosa – sebbene questa cosa rimanga strutturalmente priva di definizione» (p. 19).
Nella ricostruzione della genealogia dei de-nobilitatori del cogito si inserisce a pieno titolo la queerness, che Nicolini, seguendo la traccia di Edelman, lega, come forma embodied, alla diade lacaniana Reale-Simbolico. È solo sulla base di questo schema che si può abbandonare il feticcio di una soggettività integra in grado di fare i conti interamente con il dolore – e con il suo versante ontologico. «Quello che sto cercando di descrivere non è un tipo particolare di dolore che affligge il corpo o la mente, ma ciò che ho definito il lato ontologico del dolore», Nicolini rimarca ancora la necessità di fare i conti con l’irriducibilità di una condizione nella quale il dolore non può essere «curato o redento» (p. 27). È l’impossibilità di accedere al significato nel dominio del Simbolico – ovvero allo spazio di ciò che è accessibile al concetto – del dolore che lo pone fuori dalla portata di qualsivoglia tipo di riunificazione soggettiva. Il suo habitat è la lacerazione della soggettività, la sua espressione è disarticolata e prende consistenza nell’urlo. «Come il Reale, l’urlo impone la sua presenza al di là delle parole che, nel tentativo di afferrarlo, finirebbero per negarlo» (p. 30). È nell’urlo che si satura la quota di comunicabilità di quel versante ontologico di un dolore irriducibile alle concettualizzazioni.
La relazione del masochismo con questo genere di dolore risulta decisiva per la tesi proposta da Nicolini: «Se il dolore […] è l’esperienza senza senso le cui urla devono essere silenziate nel significato, se il dolore è l’esperienza che il Simbolico deve riscattare dalla sua intrinseca negatività, allora il masochismo pone al Simbolico una sfida difficile, nella misura in cui designa un dolore che non desidera redenzione, un dolore che trae piacere da se stesso, un dolore che abbraccia la negatività» (p. 41). Questo rapporto non mediabile del masochismo con il Reale rende difficile perseguire la strada dell’interpretazione che, come avverte Nicolini, rimane parziale a prescindere dalle posizioni e dagli stessi metodi interpretativi applicati – filosofici, psicoanalitici, psichiatrici o provenienti dalla stessa comunità BDSM. «Le pulsioni che spingono qualcuno ad abbracciare il dolore e l’auto-distruzione non possono essere “comprese”»; è su questa base che Nicolini pone e svela l’intento della sua ricerca, «il masochismo rimane incomprensibile» sul versante delle ragioni e dei moventi, ma è, invece, possibile (e utile) mettere in atto un confronto tra «prospettive etiche» e interpretative, tenendo ferma lo schema lacaniano Reale-Simbolico «e le sue relazioni con il sesso, la vita e la morte» (p. 42).
La prima di queste comparazioni è messa in atto con la prospettiva di Michel Foucault e si svolge su un piano di continuità che sembra far emergere il profilo di una seconda coppia (apparentemente) opposizionale: dolore-piacere.
L’operazione del filosofo francese è orientata a presentare una prospettiva non solo alternativa ma opposta a quella della psicoanalisi sul tema del masochismo: «Foucault rigetta completamente la psicoanalisi, costruendo la sua narrazione sulla “sessualità” attraverso la nozione di piaceri» (p. 44). Con questa torsione, intende svelare i fondamenti del dispositivo della sessualità che ha prodotto l’idée du sexe attraverso un sistema artificiale ed eterogeneo composto da elementi biologici, anatomici, sensoriali e, soprattutto, culturali che sintetizzano il concetto di sessualità e orientano i comportamenti e le soggettivazioni ad esso correlate. Non c’è possibilità di uscire dal giogo di un potere che si presenta fin dentro alla carne, attraverso il ricorso alla configurazione funzionale del desiderio. L’attacco alla psicoanalisi e la pars destruens che prelude alle originali riflessioni foucaultiane si determina proprio sull’idea del desiderio: «[Foucault] intende sottolineare che nella creazione del sesso, il dispositivo della sessualità crea anche la fantasia di una “verità” ad esso correlata». Nicolini sintetizza la posta in gioco di queste riflessioni – mettendo a fuoco l’obiettivo di Foucault – sottoforma di domanda: «siamo sicuri che il desiderio sia in grado di rivelare la verità interna al soggetto oppure, al contrario, il desiderio – e la verità che porta con sé – siano solo un prodotto del dispositivo della sessualità, un prodotto in grado di disciplinare i corpi e i piaceri che questi contengono?» (p. 50). Una domanda che chiama in causa la psicoanalisi, il suo metodo disvelante e gli esiti riduzionisti che ne conseguono, sostanziandosi in un ulteriore tentativo di concettualizzare il Reale e portando all’acme il progetto di ogni potere pastorale.
La psicoanalisi assume – nell’interpretazione che Nicolini fornisce della pars destruens della riflessione foucaultiana – i tratti della «disciplina che emerge con il preciso intento di mostrare il ruolo fondamentale che il sesso ha per l’esistenza degli esseri umani e che, per questa ragione, produce un “discorso” che mette al centro della stessa riflessione una profonda analisi del desiderio» (p. 51). L’argomentazione anti-psicoanalitica di Foucault ruota interamente intorno al concetto di desiderio inteso non solo come «una delle costrizioni sociali che, controllate dal dispositivo della sessualità, controlla i soggetti, ma anche in qualche modo come il culmine di una procedura di produzione e disciplina che spinge il soggetto a rivelare tutto ciò che riguarda la sua sessualità, in modo tale da essere in grado di afferrarne e manipolarne ogni sfumatura» (p. 52).
La via d’uscita, dal dispositivo non è di facile individuazione, la costruzione dell’idée du sexe, attraverso l’uso orientato del desiderio, rende fortemente desiderabili le produzioni del dispositivo e, pertanto, non sembra esserci riparo dai flussi, dalle azioni e dalle retroazioni del potere. Questa considerazione spinge Foucault alla cautela anche rispetto ai risultati del fenomeno della liberazione sessuale dei quali è attento e critico testimone. Questo scetticismo deriva dall’ancoraggio dei teorici della liberazione sessuale alla liberazione del desiderio, un’operazione che non fa altro che accentuare gli effetti del dispositivo sui corpi fornendo al dispositivo «un’altra “presa” per afferrare – una presa attraversa la quale il dispositivo può estendere il proprio potere» (p. 57). Nessuna liberazione può sabotare il dispositivo, l’unico spiraglio attraverso il quale fare breccia nella struttura di potere del dispositivo è, secondo il filosofo francese, l’askesis dei piaceri. Foucault risemantizza il termine greco askesis, distanziandosi dal significato classico del termine connesso alle pratiche ascetiche e dischiude il suo campo semantico a un’estetica dell’esistenza attigua a una forma totalizzante di arte del vivere. È proprio sul sostantivo arte che si gioca la partita della risemantizzazione del sostantivo askesis. Nello specifico attraverso la sostituzione della scientia sexualis – che spinge verso la prigione del desiderio – con un Ars erotica – che si sostanzia «nel mostrare esempi riguardo alle possibilità di creare relazioni estetiche con la vita che, attraverso l’incremento delle capacità del soggetto di provare piacere, possono trasformare il soggetto stesso» (p. 85). È in quest’ottica – e nella possibilità che offre di ampliare la sfera dei piaceri al di là delle imposizioni del desiderio – che il S/M (sadomasochismo) acquisisce una carica trasformativa rispetto al dominio del dispositivo. «Per Foucault, il S/M non è né una strada per rivelare l’“inconscio” del desiderio del soggetto né un’espressione di questo desiderio. È, invece, un’apertura a “nuove possibilità di piacere” che non sono correlate al discorso dominante e – così facendo – provvede a fornire nuove possibilità di resistenza» (p. 61).
Tuttavia, questa apertura a nuovi piaceri, attraverso la moltiplicazione potenziale dei punti di emersione di questo piacere che devia dal sesso al corpo, non tiene conto, secondo Nicolini, dell’«energeia che spinge (drives) l’attività sessuale – una forza prodotta, secondo i greci, da piacere e desiderio» (p. 91). Il richiamo alla grecità è, per Nicolini, il richiamo a una «soggettività forte in grado di moderare le forze che guidano l’attività sessuale» (p. 92). È in questi passaggi che l’autore di Masochism individua le contraddizioni della proposta foucaultiana: non ci può essere askesis volontaria e de-soggettivazione a un tempo, ciò che resta è «un’involontaria caduta negli abissi delle pulsioni (drives)». Questo schema riconduce in modo controintenzionale alle teorie della psicoanalisi. Nicolini rileva che il piacere abissale e de-soggettivato non è molto distante da «ciò che Bersani (sulla scorta di Lacan e Laplanche) chiama “shattering jouissance”» (p. 93). Alla base di questo godimento sconvolgente è difficile distinguere tra piacere e desiderio, sesso e corpo. Anzi, queste distinzioni vengono necessariamente depotenziate: sulla scorta di quanto propone Nicolini, rileviamo, infatti, che la distanza tra i poli di queste coppie «diviene niente di più che una questione terminologica incapace di rispondere al fatto che il problema non riguarda tanto la distinzione tra piacere e desiderio, quanto, invece, la relazione tra il sistema piacere/desiderio e ciò che si pone alla base – ovvero le pulsioni» (p. 94). Non ci può essere perdita del soggetto se non nell’abisso delle pulsioni, o più nello specifico, nella vertigine della pulsione di morte. Pertanto il tentativo foucaultiano è impotente dinnanzi a un «involontario ritorno alle “forze” che la psicoanalisi riconosce come quelle che attivano la sessualità» (p. 94). Dunque, non sembra esserci una lettura del fenomeno del S/M depurata dalla considerazione del desiderio come versante necessario di un sistema che non si regge sulle gambe di un in sé e per sé del piacere ma trova il suo al di là nella pulsione di morte.
Dopo il rilievo critico rispetto alla proposta foucaultiana, Nicolini apre il confronto con le argomentazioni tematizzate da Deleuze e Guattari sulla sessualità e sul masochismo. La sezione è denominata Desiderio e presenta, nella prima parte, un’analisi dettagliata delle innovazioni metodologiche presentate da Gilles Deleuze e Felix Guattari, ripercorrendo alcune delle tappe fondamentali dell’«anti-teoria» elaborata dai due filosofi, al fine di restituire interamente il processo creativo sul quale si installa la loro etica della sessualità. Al contrario di Foucault, Deleuze e Guattari attraverso il loro metodo frammentario e «rapsodico» (p. 96) superano l’idea per la quale il desiderio è l’appiglio del dispositivo e il vettore dell’assalto finale al corpo, tentando di ribaltare i risultati della psicoanalisi non elidendone le categorie. Pertanto, il concetto di desiderio riacquisisce una spendibilità in base all’applicazione di criteri trasformativi sul piano etico-politico. La distanza rispetto allo schema psicoanalitico si allarga sulla base della volontà di restituire spazio alla produzione e all’espressione dei flussi che soggiacciono al desiderio: «secondo loro [Deleuze e Guattari], il problema della psicoanalisi è quello di intrappolare il desiderio dentro strutture interpretative rigide che inibiscono le sue forze libere e produttive» (p. 107).
Il tema della produzione è centrale per i teorici della schizoanalisi. Deleuze e Guattari propongono infatti l’inversione – sulla spinta di un costruttivismo radicale – di desiderio e soggettività. Sulla base di questo obiettivo viene ad essere, in ultima istanza, l’idea dell’Anti-Edipo: il desiderio non muove da un inconscio stratificato – che informa la soggettività – da mettere sotto indagine per carpirne le ragioni e i moventi; ma sono i flussi stessi del desiderio a configurare (più che a strutturare) questo inconscio tanto da farne una «fabbrica, una macchina produttiva» più che «un teatro» da cui estrapolare un’interpretazione attraverso criteri di osservazione. In forma esplicita: «il desiderio è una forza libera senza castrazione e mancanza, un movimento inarrestabile che non può fare altro che prodursi continuamente» (p. 106).
Il movimento inarrestabile dei flussi del desiderio garantisce la sutura della scissione tra il soggetto desiderante e l’oggetto desiderato abbandonando i fantasmi dualistici e si pone in un circuito nel quale assume la posizione di condizione di esistenza e di esito di un inconscio molecolare connesso al funzionamento delle macchine desideranti: «secondo Deleuze e Guattari ogni volta che una perdita sgocciola dai flussi del desiderio e cade su qualcosa, produce un oggetto del desiderio» (p. 111).
Questa a-progettualità del desiderio ne fa una forza strutturalmente fuori controllo tanto sul fronte dell’innesco quanto su quello della direzione. Ed è proprio su questa mancanza di determinazione ontologica che si staglia l’etica della schizoanalisi, in quanto come rileva Nicolini: «il desiderio non segue né regole né patterns, ma propaga sé stesso in tutte le direzioni, abbracciando qualsiasi cosa e, in quanto composto da una molteplicità di flussi accidentali, è per sua natura invariabilmente schizofrenico» (p. 113). Questa estrema libertà dei flussi del desiderio che innescano le macchine desideranti rappresenta un punto di forza nella proposta di Deleuze e Guattari ma anche uno dei limiti individuati da Nicolini sulla base della rilevazione di una contraddizione di fondo. L’idea “normativa” dei teorici francesi si sostanzia nella possibilità di ri-orientare, su un piano etico-politico «le strutture che intrappolano, imprigionano e pervertono le forze innocenti del desiderio» schizofrenizzandole e aprendo, in questo modo, la strada «a un nuovo inconscio» (p.119). In questo passaggio appare il primo segnale del fraintendimento del masochismo da parte di Deleuze e Guattari, che si sostanzierà dopo il détour – del massimo grado di a-progettualità – che concerne il Corpo senza Organi (CsO). L’intuizione critica di Nicolini si concretizza in questi termini: «se noi accettiamo che ci sia qualcosa che Deleuze e Guattari considerano alla stregua di una “perversione del desiderio”, allora occorre assumere che vi sia qualcosa di simile a un “desiderio normale” che si sviluppa in modo “giusto”, “corretto” o almeno “utile”»; tuttavia è proprio questa solidificazione del desiderio ciò da cui i due filosofi intendo sfuggire «quando sostengono che il desiderio è una forza libera senza finalità o significato» (p. 120). In tal modo l’argomentazione segue una direttrice che conduce a un esito che presuppone «una prospettiva privilegiata» rispetto alle assunzioni di valore e, pertanto, attinge a una riserva esterna alla stessa «logica del desiderio» (p. 122). Questa esteriorità fa traballare l’orientamento monistico della prospettiva schizoanalitica, in quanto «l’innocente forza del desiderio» è tale solo a un grado zero di particolarizzazione e, dunque, sul piano della virtualità; salvo poi divenire soggetta a perversioni – anche politiche, si veda la presa del nazismo sulle masse desideranti – in seguito alla sua attualizzazione. Ciò che risulta problematico è, dunque, l’ingresso di un’esteriorità e dell’ordine simbolico nel contesto macchinico e auto-sussistente del desiderio. Come sottolinea Nicolini, in una ritematizzazione dell’argomento foucaultiano riguardante l’impossibilità della fuoriuscita dalle dinamiche del potere: «non c’è modo di fuggire dall’ordine simbolico in quanto l’ordine simbolico non è solo la totalità delle produzioni simboliche, ma anche la struttura generale del significato» (p. 125).
I tentativi di fuga dalla dualità, dalla solidità e dalla progettualità da parte di Deleuze e Guattari non si esauriscono e vengono mostrati, in maniera evidente, attraverso il ricorso alla figura del CsO messo in atto in Mille piani. Il CsO rappresenta l’acmé della disarticolazione e dell’a-progettualità e può essere esplicitato – tra le altre – dalla forma del corpo masochistico per la sua capacità di creazione di un pattern non solidificato della sessualità. Queste caratteristiche aprono il fronte di una spendibilità sociale al CsO: «la forza etico-politica del CsO è precisamente quella di non avere sentieri preesistenti da seguire, né obiettivi prestabiliti da raggiungere; può vagare liberamente, seguendo soltanto le intensità casuali che trova nelle sue peregrinazioni» (p. 133). La libertà del CsO è soprattutto una liberazione dalla trascendenza, intesa come esternità allo schema del desiderio. Il principale obiettivo polemico di questa stagione deleuziana è la jouissance di Jacques Lacan e il suo riferimento alla pulsione di morte come al di là del masochismo. Alla luce di questa distanza da Lacan, «il masochismo non si riferisce in alcun modo a un fantasme che ne orienta gli atti. Al contrario, il masochismo è un “programma” di creazione grazie al quale è possibile stabilire nuove relazioni con le parti del corpo che, da quel momento, smettono di avere funzioni predeterminate e diventano loci di intensità inaspettate» (p. 149). Tuttavia, questa interpretazione del masochismo lascia intravedere la possibilità di una scelta, per l’appunto, programmatica e restituisce cittadinanza, in modo controintenzionale alla soggettività. La manipolabilità dell’accesso e del recesso dalla dimensione masochistica che solo in tal modo – ovvero innervata dal volontarismo – può acquisire una programmaticità politica, conduce, in definitiva, alla sua stessa negazione, seppure venga introdotta solo attraverso piccole dosi di razionalità calcolante in chiave auto-conservativa. Secondo Nicolini, «il limite della proposta etico-politica di Deleuze e Guattari è quello di trasformare qualcosa che è fuori dal controllo in qualcosa di manipolabile e, addirittura, utile per il soggetto» (p. 157). Ed è proprio con una ri-centralizzazione delle pulsioni – e di ciò che sta al di là del desiderio – che Nicolini muove la maggiore obiezione alla concezione deleuziana e apre all’ultima parte del libro, dedicata proprio alla pulsione (drive): «le pulsioni, in quanto forze che sostengono e creano le nostre fantasie sessuali e ci spingono in modi imprevedibili verso posti indesiderati, non sono sotto controllo. Le pulsioni parlano il linguaggio dell’inconscio e sebbene siano la parte più intima del soggetto, esercitano un controllo su di lui, che lui non potrà mai esercitare su di loro» (ibid.).
Da questi presupposti si diparte, dunque, la quarta e ultima sezione di Masochism. La ricerca, a questo punto, si concentra sull’attività e sul ruolo delle pulsioni e sul loro legame con la sessualità e con il masochismo che sembra esserne il terreno di emersione. Al fine di sgombrare il campo da ogni piegatura volontaristica e “politicizzante” del discorso sul masochismo e prima di occuparsi della jouissance lacaniana – rimasta intatta dopo le sferzate di Deleuze e Guattari – Nicolini apre un fronte interpretativo con le posizioni di Durkheim e Girard sul concetto di effervescence e un confronto tra questo concetto e il concetto di jouissance. L’effervescence si lega a doppio filo a una dimensione comunitaria della sperimentazione del dolore e della violenza in generale. Sia nel senso del superamento delle asperità incontrollate derivanti dall’espressione di gradi potenzialmente incontenibili di violenza, cui seguono forme di routinizzazione delle pratiche per mezzo normalizzazione societaria; sia per il ruolo di queste ritualizzazioni nella creazione delle condizioni di possibilità finalizzate alla cementificazione della coesione tra gli individui e alla formazione di spazi di co-appartenenza.
In situazioni di estasi collettiva l’effervescence è descritta come «una forza interna che cancella l’auto-controllo e la volontà, una sorta di droga che spinge le persone a comportarsi come animali euforici in stato di estasi» (p. 164). Porre in rilievo le caratteristiche dell’effervescence e della pulsionalità che lo innerva, è funzionale all’autore di Masochism per mettere in rilievo l’elemento sociale della violenza e del dolore e a differenziarlo da ciò che soggiace alle dinamiche masochistiche correlate, invece, alla jouissance. Nicolini, riprendendo la distinzione tra Reale e Simbolico, evidenzia che «è vero che sia l’effervescence che la jouissance cercano il loro oggetto nel Simbolico, ma solo l’effervescence può davvero trovarlo lì» in quanto «emerge da un violenza diretta contro un oggetto esterno e che, nella distruzione di questo oggetto, lascia finalmente in pace il soggetto» (p. 184).
Sulla base del rilievo degli attributi dell’effervescence, Nicolini rimarca la sensibilità della distanza di questo concetto da quello di jouissance: «la jouissance è una violenza inarrestabile dal momento che l’oggetto che cerca nel Simbolico è solo uno dislocamento metonimico dell’oggetto a. Il Reale oggetto della jouissance, quello che la jouissance distrugge, è il soggetto stesso» (ibid.). L’oggetto a, motore metonimico del desiderio, che sorge al fondo dello spazio pulsionale e ai margini dell’abisso del Reale viene dislocato nel raggio di azione dell’Altro, reprimendo l’espressione incontrollata della jouissance, ma surrogando la soddisfazione del suo raggiungimento. Seguire fino in fondo l’oggetto a, nel luogo del suo sorgere significherebbe, invece, abbracciare una radicale de-soggettivazione fino alle soglie dell’annullamento del soggetto e del suo stesso felo de se. Anche questi estremi tentativi di annullamento non basterebbero tuttavia a raggiungere l’oggetto a «dal momento che ogni atto accade nel Simbolico» (p.185). La tollerabilità dell’attrazione all’oggetto a è garantita, quindi, dallo schermo interposto dalla struttura del fantasme e dall’azione del piacere e del desiderio. Tuttavia, il fantasme non è soltanto un ostacolo al ripido piano inclinato che potrebbe condurre in ultima istanza alle realizzazioni della pulsione di morte ma è anche la stretta via d’accesso sul crinale della lacerazione, interna già al piano pulsionale, all’intuizione di ciò che sta al di là del Simbolico.
Sulla base di questo schema, ne La logica del fantasma, Lacan si occupa del tema del masochismo. Nello specifico ponendo l’attenzione sull’interazione tra la figura del perverso e la dimensione della jouissance e considerando il masochismo non solo «come il nucleo di ogni perversione» (p. 186) ma anche – in un’apparente contraddizione – come il perno mediante il quale «spiegare il nucleo della sessualità umana in generale» (ibid.). La ragione di questa centralità del masochismo risiede nel cortocircuito che innesca con lo schema del fantasme: «il masochismo […] in quanto prodotto del Simbolico non può sfuggire all’Altro. Cionondimeno […] quello del masochismo sembra essere l’unico caso in cui l’oggetto a viene riportato dentro il soggetto attraverso il fantasme» (p. 187). Il masochismo pur rimanendo nel Simbolico elude l’imposizione metonimica del fantasme, in questo contesto «il soggetto non segue più l’oggetto a nella jouissance che prende il posto dell’Altro – è lui stesso a divenire l’oggetto a» (ibid.).
Con la presentazione dell’interpretazione lacaniana del masochismo la ricerca di Nicolini giunge a conclusione. Possiamo affermare che Masochism – A challenge for ethics è un libro prezioso. In quanto oltre a presentare un percorso analitico e comparativo tra alcune tra le prospettive etiche più influenti del secolo scorso – su questioni che popolano il dibattito della contemporaneità su più livelli – fa filosofia: costruisce, decostruisce e fa reagire concetti e interpretazioni addentrandosi nelle cose. Attraverso queste operazioni speleologiche riesce a restituire la complessità di movimenti che spaziano dalla teoresi filosofica alla psicoanalisi attraverso un linguaggio tecnico ma al contempo essoterico e mai fumoso.
Si tratta, in definitiva, di una ricerca schietta in cui emerge l’apertura al confronto e la generosità verso il lettore, che seguendo la presentazione puntuale dei presupposti che stanno alla base delle strutture concettuali destinate a produrre le singole prospettive etiche sul tema del masochismo, può vagliarne gli esiti attraverso i passaggi che ne informano le fasi costruttive e si garantisce, in tal modo, una prospettiva ampia e ponderata.
Giuseppe Metaponte