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Qual è il soggetto della storia: prospettive andersiane tra psicopolitica e datismo

Autore


Giovanni Di Rienzo

Università degli Studi di Napoli Federico II

ha conseguito la Laurea Magistrale in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


1.Un rischioso passaggio di testimone

2. Il Calcolo congeda la Narrazione

3. Datismo: arrendersi al nuovo soggetto della storia

 

 

 

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S&F_n. 22_2019

Abstract


Who or what is the historical subject? – Andersian outlooks between psychopolitics and datism

In this paper I will question the equivalence between mankind and historical subjectivity. Following the philosopher Günther Anders’ thoughts about industrial revolutions and technological development, I will outline the changes technology is forcing over mankind, to the point of a potential change of roles. The digital turn shows how this is still an ongoing process, as I will highlight referring to the works by the philosopher Byung-Chul Han and the historian Y. N. Harari. The internet, as well as algorithms and Big Data, marks a trend showing the synthetic being becoming more relevant than the biological one.

 

 

 

  1. Un rischioso passaggio di testimone

L’esonero progressivo dell’umanità dalla fatica, dallo svolgimento di certi compiti, è il segno precipuo delle scoperte o invenzioni che hanno dato il via alle trascorse rivoluzioni industriali. La macchina a vapore, l’elettricità, la catena di montaggio e infine internet e l’automazione hanno contribuito ad alleggerire il lavoro, nonché a semplificarlo e velocizzarlo. In generale, è ciò che fa lo strumento: agevola una certa azione, colmando una lacuna umana. Ed è anche ciò che si ripromette di fare l’industria 4.0, attraverso una strumentazione collegata alla rete e capace di sfruttare i dati in essa contenuti, con l’obiettivo teorico di far lavorare la macchina in modo sempre più indipendente e intelligente. E, di conseguenza, facendo lavorare sempre meno l’essere umano.

Nonostante gli ovvi vantaggi che ogni progresso tecnologico porta con sé, è al contempo opportuno interrogarsi sul modo in cui esso modifichi il mondo e coloro che lo abitano. In questo senso, Günther Anders, filosofo “outsider” ed estraneo all’accademia, è un punto di riferimento. Il filo rosso che lega i suoi scritti è la minaccia che il sistema tecnico rappresenta per l’essenza umana, in quanto agente della sua frammentazione e del suo irrigidimento e anche di una possibile apocalisse, esemplificata dal rischio atomico. In continuità con la nascente antropologia filosofica degli anni ’20-30[1], Anders individuava l’elemento cruciale dell’umanità nella sua indeterminatezza e capacità di evadere dal proprio ambiente[2] e produrre molteplici mondi culturali. E proprio le opere antropologiche scritte all’epoca[3] sono l’ideale punto di partenza della sua filosofia della tecnica. Il rischio di perdere la propria indeterminatezza e le capacità di “tenersi a distanza” dal mondo per farne esperienza, di astrarre e agire liberamente come soggetto coerente e unitario, sono il terreno su cui si sviluppa tutta la sua analisi. L’uomo è antiquato[4], così come molte altre opere, possono essere lette come la descrizione della perdita, o quantomeno l’avvilimento, di questo bagaglio ontologico umano, condizione che rende l’ente per eccellenza terribilmente obsoleto. Descrizione indissolubilmente legata all’analisi del dislivello prometeico[5], quella condizione in cui le facoltà umane «si perdono di vista tra di loro» e l’unità dell’essere umano viene frammentata e sottomessa alle molteplici fasi del consumo. L’umanità è inferiore a se stessa[6] e soccombe a ciò che lei stessa produce, rompendo il legame tra azione e immaginazione. Uguale importanza riveste il concetto di vergogna prometeica, ovvero la «…vergogna che si prova di fronte all’“umiliante” altezza di qualità degli oggetti fatti da noi stessi»[7]. Posto di fronte all’infallibile precisione della macchina, l’essere umano si sente umiliato e prova pena per se stesso in quanto singolo non riproducibile in serie e con una “attrezzatura” biologica resistente alle modifiche[8]. Sebbene Anders sviluppi tale concetto in rapporto al factory worker e dubiterà poi dei suoi presupposti epistemologici[9], getta un’importante luce sul rapporto umanità-tecnica in toto. Come si vedrà nell’ultimo paragrafo, la messa in dubbio della valenza ontologica umana a favore di un altro ente è tutt’altro che fantasiosa.

Indeterminatezza, dislivello prometeico e vergogna prometeica sono tre coordinate fondamentali su cui si muove l’inversione delle soggettività storiche umana e tecnica. Tale inversione diviene possibile sia perché il sistema tecnico sembra guadagnare sempre più autonomia, sia perché l’umanità tende ad adeguarsi a esso, ritrovandosi in una posizione co-storica[10]. I due punti sono interdipendenti. Attraverso la sua personale lettura delle rivoluzioni industriali, Anders illustra come l’eterno presente del consumo[11] si sia guadagnato una posizione privilegiata, compromettendo la consapevolezza del consumatore medio di far parte di un processo storico. La prima rivoluzione industriale inaugura il «principio del macchinale»[12], ovvero la possibilità di meccanizzare la produzione su larga scala, allargando sensibilmente il mercato e la fabbricazione di prodotti: l’atto stesso del consumo diventa mezzo di produzione, nell’esigere sempre e ancora nuovi prodotti; già in questa prima fase, l’essere umano viene emarginato all’inizio (come inventore/azionatore della macchina) e alla fine del processo (come consumatore)[13]. Diretta conseguenza di quest’incremento dei consumi è una «mancanza di mancanza», condizione in cui non si può che provare «troppo poco bisogno»[14]. È questa l’essenza della seconda rivoluzione industriale, in cui il bisogno stesso è un prodotto (ottenuto grazie alla pubblicità)[15]. Si crea un dislivello tra ciò che possiamo produrre e ciò che possiamo usare o di cui necessitiamo. Infine, ed è l’ultima rivoluzione industriale, con la scoperta della bomba atomica si inizia a gestire «la produzione della nostra stessa distruzione»[16]: dopo la gestione dei nostri bisogni, anche la sopravvivenza o l’estinzione dell’umanità vengono subordinate all’esistenza dello strumento tecnico. Lungo queste rivoluzioni tecnologiche il soggetto storico umano perde la propria centralità, cedendo spazio alla tecnica. L’individuo, piuttosto che plasmare il mondo e dare una certa conformazione alla propria indeterminatezza, è ridotto a «eremita di massa»[17], isolato e al contempo allineato a ciò che il circolo di produzione e consumo impone. Parallelamente a questo suo perenne contributo, ha un rapporto estremamente mediato con la realtà: più che tramite la propria esperienza, egli conosce il mondo attraverso i media di massa (radio, televisione e ora computer). Isolato in un cosmo consumistico sempre più ritagliato su misura, l’eremita di massa tende a essere solo presente nella storia, più che esser suo agente: è infatti sempre più lontano da quella sfera pubblica dove la storia avviene e si fa. Frammentando sistematicamente tanto l’unità del singolo (ogni suo senso è impiegato in attività di consumo)[18] quanto qualsiasi forma di comunità che rendono possibili progettualità e cambiamento (ognuno è isolato nel suo personale ambiente), il raggio d’azione umano si riduce. A guadagnarne è invece la tecnica, che, sebbene spesso fraintesa come strumento da adoperare per fini eterogenei, ha invece grandi capacità performative. Ogni strumento tecnologico sottende infatti una certa interpretazione della realtà e in tal senso tende a plasmare coloro che lo utilizzano[19]. L’analisi andersiana dei fantasmi e delle matrici[20] può far sorridere nelle sue arringhe contro la televisione, ma resta una lente efficace se puntata contro il fenomeno della rete, come illustrerò nel paragrafo seguente. I fantasmi («forme che si presentano come oggetti»)[21] sono i nostri interlocutori principali, dotati di origini e intenzioni opache. Il mondo reale viene occultato dietro le sue rappresentazioni e la nostra relazione con esso si fa sempre più indiretta, vincolata alla condizione passiva della visione.

In un orizzonte povero di finalità e popolato di scopi sempre meno lungimiranti, l’umanità sembra rinunciare sempre più al suo agire storico, ossessivamente (pre)occupata dal soddisfacimento dei suoi desideri personali. È così la tecnica ad assurgere, secondo Anders, al ruolo di nuovo soggetto storico, perché non è più essa a essere qualcosa che esiste nella nostra storia, ma siamo piuttosto noi a esistere ancora nella storia della tecnica[22].

 

  1. Il Calcolo congeda la Narrazione

Il filosofo contemporaneo Byung-Chul Han condivide l’impostazione andersiana. La storia della tecnica è a uno snodo cruciale nella nostra epoca, nel quale con l’avanzare del progresso, cresce anche l’esonero da un agire autonomo. I concetti da lui adoperati di “trasparenza” e “psicopolitica” si pongono come sviluppo ulteriore dell’antiquatezza dell’uomo.

Per descrivere la condizione illustrata precedentemente, Anders usa la definizione di “totalitarismo morbido”: il sistema tecnico non si impone con mezzi coercitivi, ma tramite l’offerta di comfort. Tale condizione diventa preferibile per le comodità che promette, nonostante richieda (quasi sempre implicitamente) di rinunciare ad alcune libertà personali[23]. Se il mondo è sempre più filtrato attraverso immagini e i dogmi di produzione e consumo vengono assolutizzati, l’autonomia del singolo si riduce vistosamente.

Con psicopolitica, Han intende un sistema assimilabile al totalitarismo morbido, ma coniugato sul terreno digitale. Tramite i social network, o il semplice utilizzo della rete, l’utente fornisce ormai un gran numero di informazioni su di sé. Tale mole immensa di dati (i Big Data) è sondabile solo dalle intelligenze artificiali, capaci di processare informazioni a ritmi molto più rapidi di quelli umani. Una volta analizzati, diventano uno strumento fondamentale per calcolare il comportamento, tanto individuale quanto collettivo, ed eventualmente regolarlo, attraverso metodi statistico-associativi piuttosto che interpretativi. È bene notare quanto ciò non accada sempre con reale consapevolezza[24] e che la nostra adesione a tale sistema non è imposta con la forza, ma accettata per la sua comodità; l’unica forma di costrizione, dagli effetti variabili, è socio-culturale e non imputabile a un responsabile determinato.

È proprio il carattere previsionale dei Big Data a destare preoccupazioni, secondo Han. Analizzando informazioni circa il nostro comportamento e dunque la nostra vita psichica, possono intervenire su ciò che desideriamo[25]. Su cifre così elevate, il semplice calcolo associativo si rivela uno strumento sempre più efficace, senza che vi sia bisogno di un supporto teorico definito. Sostituendo il «così è» al «come/perché»[26], le I.A. hanno accesso a un “inconscio digitale” che sembra quasi rendere capaci di poter anticipare i nostri desideri: intervento risultante in una limitazione della libertà. Sicché le informazioni personali vengono rivendute a compagnie pubblicitarie, ciò che l’utente desidera (prima ancora di desiderarlo) si fa merce e produttore di altre merci.

Il paradigma tecnologico deve la sua efficienza alla perenne ricerca di soluzioni funzionali, capaci di elevare le prestazioni e la velocità del ciclo produzione-consumo. Nella sfera personale, ciò si concretizza in un’aspirazione alla trasparenza. Il pudore, il segreto e qualsiasi forma di negazione sono osteggiati in favore di una dittatura del positivo e della velocità. Il circolo inarrestabile di informazioni si configura come un Panopticon digitale[27], dove ci si espone sempre più, facendo crollare ogni barriera. Già nell’analisi andersiana, il non aver nulla da nascondere era una massima fondamentale[28]. Han ritiene che l’esposizione dell’utente diventi sempre più capillare grazie alla sua spiccata collaborazione, rendendo sospetti coloro che reclamano una sfera privata. Ogni ostacolo rallenta un processo che si vuole continuo e frenetico. L’utente è sempre esortato a condividere, esprimersi, sfogarsi, secondo il dogma implicito che solo ciò che è convertito in informazione è degno di essere. Come si è visto grazie ad Anders, le esigenze neocapitalistiche producono un certo tipo di essere umano, incline a collaborare con il sistema vigente.

Tale esodo dell’interiorità verso la sfera pubblica è infatti avallato da un ben noto individualismo esasperato, di cui l’eremita di massa continua a essere il massimo campione. La sistematica rimozione del negativo e dell’alterità è l’altra faccia della “società della trasparenza” descritta da Han. Già L’uomo a una dimensione[29] di Marcuse descriveva il deperimento della negatività del pensiero, a favore di una positività pervasiva. Ai tempi di internet, è il concetto stesso di Altro a essere sempre più impoverito. Il mondo virtuale tende ad assomigliare a un ambiente, dove stimolo e reazione sono grossomodo prevedibili e l’esperienza non sembra più propriamente tale. Han echeggia le riflessioni andersiane nel fondare l’esperienza sull’incontro con l’alterità e sull’inevitabile rischio del dolore[30]. Caratteristiche che l’orizzonte virtuale tende a elidere. Internet annulla le distanze, rende raggiungibile il mondo quasi nella sua interezza, ma solo come trasfigurazione. Contemporaneamente isola: l’utente è un solitario, perché fa arrivare le informazioni sul suo computer, piuttosto che cercarle interagendo con il mondo. Inoltre, anche nelle forme di comunicazione di cui dispone (tweet, stati, chat), non è mai vincolato a una vicinanza reale con l’altro: piuttosto che “affrontarlo”, può sempre rimuoverlo o ignorarlo, se lo ritiene sgradito; l’interazione sociale in rete è, per forza di cose, difforme rispetto a quella reale, e le sue regole e usanze sono estremamente fluide e mutevoli, pertanto anche difficili da inquadrare e approvare o biasimare[31]. Eccezion fatta per la chat, che pure offre un dialogo mediato e schermato, i social network promuovono una comunicazione diretta a un non meglio definito pubblico, il contatto diretto con l’altro è sempre diluito o annullato. Il «monologo collettivo»[32] del consumatore conformato si digitalizza in una produzione di affermazioni, foto e informazioni personali dove la singolarità è il principale e spesso unico perno. Proprio perché il singolo è il principale referente e il processo produttivo e consumistico si basa sulla sua prestazione, si tende a rimuovere qualsiasi forma di negazione, al fine di levigare sempre più la superficie dove l’utente deve camminare senza impedimenti. Il dinamismo e l’imprevedibilità dell’incontro con l’altro si atrofizzano a favore di un culto di una positività individualistica. Gli eventi traumatici sono evitati dagli algoritmi, che cercano di calcolare e prevedere le modalità di consumo più fluide, le quali combaciano con un’ideale soddisfazione perenne dell’utente.

Proprio tale connubio tra compiacimento e neoliberismo porta avanti il processo di irrigidimento dell’essenza umana. Sebbene l’agevolazione offerta da nuove macchine abbia indubbi risvolti positivi non si dovrebbe accettare in maniera irriflessa la cosa, come un semplice upgrade di strumenti. Che il rapporto tra umano e algoritmo sia sinergico è, per ora, tutto da dimostrare. Proprio lo slittamento dal «come e perché» al «così è» è una chiara evidenza di quanto l’operato dell’algoritmo venga accolto passivamente e non è un caso che ne sfuggano alcuni meccanismi anche agli esperti del settore. Il rischio di mutare «al modo delle macchine»[33], come temeva Anders, è da tenere sempre presente. La nostra mente funziona narrativamente, ricorda e dimentica eventi, formula teorie che considerano alcuni aspetti del reale piuttosto che altri. All’opposto, la macchina si limita a calcolare, associare dati, estrapolare pattern da enormi moli di informazioni. Il dato rinuncia a qualsiasi senso: funziona solo in modo operativo[34] e, dal suo punto di vista, esiste solo ciò che si può contare[35]. Esso, di fatto, impone un’inversione: se precedentemente l’informazione era il punto di partenza per giungere a forme di conoscenza, ora è l’informazione a godere di assoluta priorità[36]. Inoltre, trattandosi di moli di informazioni ingestibili per l’intelletto umano, l’algoritmo sembra maggiormente degno di stima e fiducia, a fronte di un’umanità sempre meno autonoma.

C’è dunque la possibilità che affidarsi agli algoritmi non significhi semplicemente passare a uno strumento più efficace, ma intraprendere un percorso che potrebbe progressivamente mortificare la capacità di ragionamento e astrazione, in linea con la vergogna prometeica andersiana. Lasciar sempre più che siano gli algoritmi a compiere sforzi, piccoli o grandi, mette a rischio la capacità di orientarsi e fare esperienza del mondo[37], ancor prima della libertà personale. E più questa “presa sul mondo” si indebolisce, più l’eremita di massa è isolato dall’altro e cullato nei suoi processi di consumo, più si abdica al pensiero e alla capacità di rendersi coscienti e padroni della propria condizione[38]. Trasformazione che rende sempre più difficile agire da protagonisti sul piano storico.

 

  1. Datismo: arrendersi al nuovo soggetto della storia

Se l’analisi di Han circa i media digitali attualizza il totalitarismo morbido andersiano, l’analisi dello storico Y. N. Harari approfondisce l’inversione della gerarchia ontologica. Nella lettura di Anders, l’elevazione della tecnica a nuovo soggetto storico avviene a causa di processi impliciti e sotterranei. L’analisi del datismo di Harari cambia la prospettiva. Si osserva, come già in parte in Han, un esplicito riconoscimento di superiorità a un ente non umano. I profeti di questa nuova “religione” affermano che il dato o l’informazione sono l’elemento più importante al mondo. Anzi, i dati e gli algoritmi sono i nuovi dei, che ci osservano dal Panopticon digitale creato da e per gli utenti[39]. Lo stesso concetto di esperienza è subordinato alla produzione di informazione. Come ben sintetizza l’imperativo implicito dei social network, la nostra biografia sussiste e ha senso solo se condivisa in rete. L’interazione con il mondo e la possibilità di plasmarlo secondo necessità vengono declassate a processo riproduttivo del dato, dunque ridotte a simulacro del loro significato originario.

Se Anders diceva «Libere sono le cose; mancante di libertà è l’uomo»[40], potremmo ora parafrasare dicendo: rilevante è solo l’informazione; mancante di rilevanza è l’uomo[41]. Infatti il «datismo sostiene che l’universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all’elaborazione dei dati»[42]. Ad acquisire priorità è dunque il flusso di informazioni e chi o cosa ne agevola maggiormente la velocità di produzione. Il fatto che Facebook o Wikipedia o il web stesso siano gratuiti costituisce un’ulteriore e importante prova di quanto la libera circolazione di informazioni sia posta in primo piano.

Indissolubilmente legato al datismo è il calcolo e gli algoritmi che lo eseguono. Questi, di per sé, non sono vincolati a una conformazione fisica particolare: a prescindere dall’hardware, ciò che conta è l’esecuzione di calcoli e compiti specifici. Tuttavia, la capacità di calcolo delle I.A. è di gran lunga superiore a quella umana e il paragone tra algoritmo biologico e sintetico acquisisce dunque centralità. Poiché si richiede di elaborare quantità immense di dati, la disparità è ineluttabile[43]. Non solo il ragionamento, ma anche la sfera emotiva risulta uno strumento obsoleto ai fini dell’informazione. Secondo l’interpretazione di alcune teorie biologiche, il sentimento può essere considerato un algoritmo votato alla sopravvivenza[44]. Tuttavia, se i Big Data contengono informazioni tali da consentire agli algoritmi sintetici di conoscerci meglio di noi stessi, allora il datismo scrive forse l’ultimo capitolo della storia dei sentimenti più volte auspicata da Anders[45]. Nell’orizzonte del datismo e della computazione di dati, l’essere umano come elaboratore di informazioni si mostra del tutto superato.

Il datismo suscita, al posto della vergogna prometeica, un umiliante riconoscimento di impotenza rispetto alla macchina, un cerimonioso ossequio verso l’intelligenza artificiale, fino a esiti paradossali[46]. Harari sottolinea più elementi che rendono cogente il paragone con la religione. Nell’esortazione ad accrescere il flusso d’informazioni, si avalla anche il carattere peccaminoso dell’interruzione di tale processo: il dato impone dunque una nuova scala di valori che stabilisce che cosa sia giusto e sbagliato. Non meno evidente è il carattere missionario del datismo, che ambisce a diffondere il suo messaggio e a convertire (o collegare e connettere) chi ancora non vi aderisce. Compito che dovrebbe avere esito nell’Internet of Things[47] e in un originale avvento, la singolarità[48]. Il primo è il progetto di collegare alla rete virtuale non solo le persone, ma anche le cose e forse qualsiasi oggetto sul pianeta, creando un unico flusso globale di informazioni; per quanto riguarda la seconda, si tratta di un presunto snodo cruciale dello sviluppo tecnologico, dopo il quale gli algoritmi si migliorerebbero autonomamente a ritmi tali da risultare incomprensibili[49].

Proprio in questi due avvenimenti culminanti, la religiosità del datismo si fa paradossale. Infatti, se la religione, o più in generale il mito, sono gli strumenti grazie ai quali l’essere umano ha sempre messo in ordine il mondo per abitarlo, qui assistiamo piuttosto a una narrazione (nonostante tutto ancor presente) che tende all’elisione della componente homo sapiens. La preoccupazione andersiana di un «mondo senza uomo»[50] a causa dell’uomo stesso sembra dunque sopravvivere e trovare nuove conformazioni. Preoccupazione che cammina parallelamente con il torpore emotivo che rende «incapaci di provare ancora angoscia»[51] per le conseguenze delle azioni della comunità umana. Qui si consuma la contraddizione di un evento religioso che, invece di unire in vista di un progetto vitale, unisce in un progetto di rinuncia all’esistenza, di abdicazione verso enti ritenuti più degni dell’essere umano. È proprio questa contraddizione a mantenere il discorso circa l’identità del soggetto della storia un’eredità feconda, su cui è opportuno continuare a interrogarsi.

 


[1] Disciplina filosofica inaugurata dalle opere di Max Scheler e Helmuth Plessner e influenzata dagli studi del biologo Jakob von Uexküll.

[2] In breve, la distinzione tra mondo e ambiente può essere indicata come segue. Per ambiente si intende un perimetro circoscritto, proprio dell’animalità, al cui interno azioni e reazioni sono sempre prevedibili con elevata approssimazione. Per mondo, invece, si intende uno spazio non stabilito a priori. Grazie alle sue capacità di astrazione e astensione, l’umanità può progettare e decidere come strutturare il suo ambiente e la propria relazione con esso.

[3] Faccio riferimento a Un’interpretazione dell’a posteriori e Patologia della libertà, contenuti in G. Anders, Patologia della libertà. Saggio sulla non-identificazione, a cura di Luigi Francesco Clemente e Franco Lolli, Napoli-Salerno 2015.

[4] G. Anders, L’uomo è antiquato vol.1, Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale (1956), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2007 e G. Anders, L’uomo è antiquato vol.2, Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2007.

[5] Id., L’uomo è antiquato vol.1, cit., pp. 24-25.

[6] Cfr. ibid., p. 51.

[7] Ibid., p. 31.

[8] Anders illustra questi punti rispettivamente in ibid pp. 39-50 (dove indica lo Human Engineering come rimedio che l’essere umano usa contro il proprio corpo “ottuso”) e pp. 55-60 (parla di “malaise dell’unicità”).

[9] G. Anders, L’uomo è antiquato, vol.2, cit., p. 405, nota 14.

[10] Con “co-storico”, Anders intende, rifacendosi a Marx e al concetto di “astoricità”, la posizione di chi non è capace di intervenire autonomamente sul corso storico, lasciando ad altri agenti tale ruolo. Cfr. ibid., pp. 251-256.

[11] Cfr. ibid. pp. 275-276 e pp. 317-322.

[12] Ibid., p. 9.

[13] Ibid., pp. 9-10.

[14] Cfr. ibid., pp. 12-13.

[15] Cfr. ibid., pp.145-148.

[16] Cfr. ibid., pp. 13-14.

[17] G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. 1, cit., pp. 99-100.

[18] Ibid., pp. 133-134. In queste pagine Anders dà una descrizione di ciò che oggi definiamo multitasking. Inoltre, è interessante notare come Byung-Chul Han consideri il multitasking come un regresso allo stadio animale. Cfr. La società della stanchezza, tr. it. Nottetempo, Roma 2012, pp. 29-31.

[19] Cfr. ibid., p. 98.

[20] Cfr. Il mondo come fantasma e come matrice in ibid., pp. 95-199.

[21] Ibid., p. 161.

[22] G. Anders, L’uomo è antiquato, vol.2, cit., p. 258.

[23] Anders direbbe, per esempio, che non siamo liberi di desiderare o meno dei prodotti, perché essi sono sempre pubblicizzati come necessari. Cfr. L’individuo, in ibid., pp. 119-171. Originariamente il testo era intitolato proprio “Il terrore morbido” e tratta dell’articolazione di tale sistema.

[24] Non penso qui esclusivamente ai numerosi scandali che hanno colpito grandi nomi come Facebook e Amazon, ma anche e soprattutto al fatto che, nel fornire dati personali, non sempre si bada alla cosa e la si accetta come una procedura necessaria.

[25] Cfr. B.-C. Han, Psicopolitica (2000), tr. it. Nottetempo, Roma 2016, p. 75.

[26] Cfr. ibid., p. 81.

[27] Cfr. Id., L’espulsione dell’altro, tr. it. Nottetempo, Roma 2017, p. 65.

[28] Cfr. G. Anders, L’uomo è antiquato vol.2, cit., p. 210.

[29] H. Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industrial avanzata, a cura di L. Gallino e T. G. Gallino, Einaudi, Torino 1999.

[30] Cfr. B.-C. Han, L’espulsione dell’altro, cit., p. 95. Vedi anche G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. 1, cit., p. 118 («il mondo è disagevolezza»).

[31] Senza contare fenomeni come il revenge-porn o il cyber-bullismo, verso cui la legislazione italiana solo di recente ha iniziato a prendere posizione. Vedi https://www.ilsole24ore.com/art/cyberbullismo-cresce-l-allarme-ma-legge-ora-resta-carta-ACxV4BP (ultima consultazione 10/11/19) e https://www.ilpost.it/2019/04/02/camera-revenge-porn/ (ultima consultazione 10/11/19).

[32] G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. 2, cit., pp. 138-141.

[33] Id., L’uomo è antiquato, vol. 1, cit., pp. 47-50.

[34] Cfr. B.-C- Han, Psicopolitica, cit., p. 71.

[35] Cfr. Id., Nello sciame. Visioni del digitale, tr. it. Nottetempo, Roma 2015, p. 52.

[36] Cfr. Y. N. Harari, Homo Deus, tr. it. Bompiani, Milano 2015, p. 560.

[37] Branche come la domotica o la robotica sociale, pure nelle loro potenzialità assistenziali, sollevano rilevanti quesiti, non solo etici, in merito alla crescente dipendenza dalle macchine.

[38] La scena di Matrix, dove si scopre che gli esseri umani sono “allevati” come fonte di energia dalle macchine e intrappolati in una realtà virtuale, è tuttora interessante. Pur nella sua esagerazione orrorifica e suggestiva, echeggia la condizione dell’eremita di massa, anch’egli allevato, in questo caso dal conformismo, e lasciato all’oscuro dei processi che lo guidano.

[39] Cfr. Y. N. Harari, Homo Deus, cit., p. 587.

[40] G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. 1, cit., p. 41.

[41] Harari, inoltre, sottolinea il diritto delle informazioni alla libera circolazione, spesso prevaricatore rispetto alla libertà di espressione e alla privacy umane. Vedi Homo deus, cit., pp. 582-83.

[42] Ibid., p. 559.

[43] Un esempio di ammissione di inferiorità è contenuto in L’uomo è antiquato, vol. 1, cit., pp. 63-67, dove Anders illustra il caso in cui, durante la guerra in Corea, il generale McArthur fu esonerato, in quanto essere umano, dal prendere decisioni, a favore di un calcolatore elettronico, ritenuto capace di fornire una risposta oggettiva e più affidabile di qualsiasi altro esperto.

[44] Cfr. Y. N. Harari, Homo Deus, cit., pp. 595-96.

[45] L’interesse storico per i sentimenti, che non è possibile approfondire qui, è esplicitato in numerose occasioni da Anders e si focalizza molto su quanto l’utilizzo di certi strumenti possa cambiare lo spettro emotivo umano. Vedi, oltre ai due volumi de L’uomo è antiquato, L’odio è antiquato, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2006 e Amare. Ieri. Annotazioni sulla storia della sensibilità, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2004.

[46] C’è infatti chi si è reso martire in loro difesa e chi crede che il nostro compito principale sia migliorare le prestazioni delle I.A., le quali erediteranno infine la Terra. Cfr. Y. N. Harari, Homo Deus, cit., p. 583-584 e J. Lanier, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, tr. it. Il Saggiatore, Milano 2018, p. 177.

[47] Cfr. Y. N. Harari, Homo Deus, cit., p. 579.

[48] Cfr. J. Lanier, Dieci ragioni per…, cit., pp. 177-179.

[49] Raymond Kurzweil è sicuramente uno dei “profeti” più ferventi di questa svolta tecnologica radicale. Vedi R. Kurzweil, La singolarità è vicina, tr. it. Apogeo Education - Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna 2013.

[50] G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. 1, cit., pp. 229-230.

[51] Ibid., p. 249.

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