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Sistemi personali e sistemi autopoietici

Autore


Guido Cusinato

Università degli Studi di Verona

Docente di Antropologia filosofica

Indice


  1. Filosofia della persona e metabolismo 
  2. L’intero, le parti e il punto di vista metabolico

  3. I sistemi personali sono sistemi autopoietici? 

  4. L’identità personale: metabolismo ed esemplarità iconica

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S&F_n. 02_2009


 1. Filosofia della persona e metabolismo

Negli ultimi anni il dibattito filosofico sul concetto di persona ha conosciuto un notevole sviluppo confrontandosi con la teoria dell’emergentismo, l’antropologia ermeneutica delle strong evaluations di Charles Taylor, la prospettiva in prima persona, la filosofia del linguaggio, la teoria dell’intero e delle parti di Husserl[1]. Quello che mi pare ancora mancare è un confronto con l’antropologia filosofica del XX secolo e con i risultati delle scienze biologiche e della nuova teoria dei sistemi.

Tralascio qui il problema dell’antropologia filosofica per focalizzare la mia attenzione sugli ultimi due aspetti. Ci sono una serie di concetti di origine scientifica che nel corso del XX secolo hanno conosciuto un notevole sviluppo, fra questi a mio avviso il più rilevante per un’indagine filosofica sulla persona è senz’altro quello di metabolismo, specialmente nel senso della biosintesi, ma tale rilevanza è finora passata inosservata. La valenza strategica del concetto di metabolismo era già stata compresa, relativamente alla definizione di vita, da E. Schrödinger e successivamente da H. Jonas[2], ma ritengo che maggiori potenzialità siano offerte dal tentativo di ripensare il metabolismo cellulare nel senso dell’unità autopoietica di Maturana o della chiusura operativa del sistema sociale di Luhmann.

Il concetto di metabolismo può offrire strumenti concreti per comprendere la costituzione dell’identità personale, senza per questo implicare la caduta in una qualche forma di riduzionismo é tanto meno l’esonero dalla fatica di una riflessione tutta filosofica sul concetto di persona, perché se è vero che le scienze biologiche e le teorie dei sistemi sono decisive per comprendere ciò che circonda la persona, e quindi per tracciare il confine fra i sistemi personali e il loro ambiente, è altrettanto vero che relativamente al nucleo del sistema personale urge uno sforzo complementare e tutto specifico della riflessione filosofica.

2. L’intero, le parti e il punto di vista metabolico

In che modo un sistema personale si distingue da un organismo? E a sua volta come si distingue il modo di stare insieme delle parti di un organismo da quello di un cristallo o di un orologio o di un’onda del mare? Che statuto ontologico riservare all’intero o a ciò che eccede la semplice somma delle parti? Si può ipotizzare che tutto quello che l’intero ha in più rispetto alle parti abbia solo un significato euristico da attribuire all’osservatore. Resta sempre da spiegarsi come faccia poi l’osservatore a sottrarsi esso stesso a questo statuto euristico.

Kant aveva egregiamente risolto il problema riequilibrando l’interpretazione euristica dell’auto-organizzazione con la validità universale delle categorie trascendentali che dirigono tale euristica. Una soluzione che però non aveva convinto Schelling, spingendolo a sviluppare una complessa teoria della Stufenfolge dell’auto-organizzazione organica mirante a preservare nei confronti dell’ambiente esterno la forma dell’equilibrio interno, cioè l’organismo come totalità; sempre nella direzione volta a comprendere il mistero della “totalità” nel corso del XIX e XX secolo si erano mossi innumerevoli tentativi, fra cui, a parte quelli di origine neokantiana applicati alle scienze biologiche, gli esempi più rilevanti sono quelli offerti dalla Gestaltpsychologie e dalla Terza ricerca logica di Husserl, dedicata al rapporto fra l’intero e le parti.

Negli anni successivi è rintracciabile un graduale passaggio dalla coppia intero-parti a quella sistema-ambiente. Il percorso compiuto da Ludwig von Bertalanffy ne è un esempio icastico. In Kritische Theorie der Formbildung (1928) il punto di partenza è costituito ancora dalla relazione intero-parti, anche se l’interesse è già rivolto a ripensare la totalità oltre la Gestaltpsychologie in direzione dell’autoregolazione di W. Roux e della teoria ambientale di von Uexküll, fino a ipotizzare che essa abbia a che fare con un “equilibrio chimico” dell’organismo con l’ambiente. Nei lavori successivi la teorizzazione esplicita del Fließgleichgewicht, quale carattere essenziale del sistema organico, comporta un’esplicita sostituzione della coppia intero-parti con quella sistema-ambiente: il problema diventa la distinzione fra sistemi chiusi di tipo meccanico (sistemi fisici che funzionano in modo indipendente e autonomo da fattori esterni) e sistemi aperti (ad es. meccanismi omeostatici).

Ma è con la nuova teoria dei sistemi che la coppia concettuale intero-parti viene messa duramente alla prova. Basta porre una semplice domanda per evidenziare il problema: quali sono le “parti” di un organismo? Nemmeno la distinzione proposta da Husserl nella Terza ricerca logica fra “parti indipendenti” e “parti non-indipendenti” riesce a risolvere l’inadeguatezza concettuale relativa al concetto di “parte”.

Si può osservare che l’organismo non importa le “parti” di cui è costituito dall’ambiente: proprio per questo la teoria autopoietica nega che un sistema organico possa essere descritto in termini di input-output. In realtà l’organismo non è costituito da “parti” bensì da “operazioni”. Nel sistema autopoietico non ci sono parti che provengano direttamente dall’esterno e che possano formare un’unità strutturandosi attraverso particolari interfacce: il sistema è chiuso operativamente verso l’ambiente, in quanto è costituito esclusivamente da elementi autoprodotti dal sistema stesso, ma contemporaneamente aperto a uno scambio materiale con l’ambiente. Questa tesi rappresenta non solo un’alternativa alla teoria dell’identità mereologica, ma si pone già nell’ottica di una teoria dell’identità diacronica.

Questo processo è esemplificato molto bene dalla biosintesi. Una pianta non assorbe le sue “parti” dall’ambiente, piuttosto sintetizza le proprie molecole organiche a partire da molecole inorganiche più semplici, così nella fotosintesi le piante verdi, in presenza di luce, producono molecole organiche a partire da anidride carbonica e acqua, rilasciando a loro volta ossigeno. Nei processi di biosintesi le molecole inorganiche, a disposizione nell’ambiente, sono trasformate in qualcosa di ontologicamente nuovo grazie all’auto-organizzazione del sistema organico: i materiali ambientali entrano a far parte integrante dell’organismo solo nella misura in cui vengono riorganizzati in “cellule”, cioè assumono su di sé il marchio dell’auto-organizzazione sistemica. Un organismo è dunque ontologicamente nuovo non rispetto alla sue “parti”, cioè cellule, ma solo rispetto ai materiali ambientali che sintetizza. È quindi attraverso la biosintesi che l’organismo traccia un confine fra sé e l’ambiente ed esprime la propria identità.

3. I sistemi personali sono sistemi autopoietici?

Nel 1960 Maturana, prendendo le distanze da von Bertalanffy e in contrasto con le teorie ancora dominanti in ambito biologico, tenta di spiegare i sistemi viventi non attraverso il rapporto con l’ambiente, ma attraverso il processo che li realizza. La tesi è che l’identità del sistema non sia il risultato diretto dell’interazione fra sistema e ambiente, ma un processo interno al sistema stesso, e che quindi il sistema autopoietico vada considerato come un sistema chiuso: il sistema si definisce esclusivamente in base a una chiusura operativa verso l’ambiente. In seguito è risultato abbastanza chiaro che se esiste un’apertura omeostatica con l’ambiente, ciò può avvenire sulla base di una chiusura operativa, tanto che, come nota Luhmann, esistono sistemi psichici e sociali capaci d’incorporare nella propria chiusura operativa un incremento dell’apertura ambientale (Umweltoffenheit). Successivamente Maturana stesso ha ritenuto opportuno precisare che la propria teoria autopoietica non escludeva la possibilità di scambi con l’ambiente: non è il sistema, ma solo la sua autopoiesi a essere chiusa, cioè autonoma dall’ambiente.

Con il concetto di accoppiamento strutturale Maturana riesce a fornire qualche elemento ulteriore: l’accoppiamento strutturale non è una caratteristica peculiare dei sistemi viventi (è presente ad es. anche nelle macchine allopoietiche), ciò che caratterizza l’essere vivente è piuttosto la plasticità di tale accoppiamento, cioè la sua capacità di dare risposte nuove all’ambiente e di determinare un processo di adattamento che lo porterà a sviluppare un accoppiamento sempre più complesso con il proprio medium. Essere accoppiato strutturalmente in modo plastico significa, secondo Maturana, saper vivere e comportarsi in modo intelligente.

Il problema consiste nel fatto che solo gradualmente e solo in alcune forme viventi superiori nasce un individuo idoneo a sviluppare un punto di vista plastico diverso dalle forme istintuali della specie. Dove tale plasticità è ridotta bisognerà supporre una chiusura autopoietica in qualche modo eterodiretta? Un caso emblematico (già ampiamente considerato) è quello del rapporto fra il neonato e la madre: anche dal punto di vista delle leggi termodinamiche la costanza della temperatura corporea del neonato è assicurata solo dalle cure della madre, se non dalla vicinanza materiale del suo corpo: la madre svolge la funzione di regolatore attivo dell’auto-organizzazione del neonato. Ma anche per gli individui più intelligenti che vivono in unità sociali la situazione è complessa: sull’ontogenesi dell’individuo influiscono le tradizioni del gruppo in cui vive; ogni componente di un gruppo pensa primariamente dal punto di vista del branco; ogni fenomeno d’imitazione presuppone la possibilità d’influenzare la chiusura operativa di un altro individuo.

Il carattere omeostatico del rapporto ambientale (e Maturana sostiene la tesi molto impegnativa che le “macchine” autopoietiche siano una classe di macchine omeostatiche) non è inoltre facilmente conciliabile con il fenomeno dell’imprinting scoperto da Konrad Lorenz. Di conseguenza, avendo ricondotto l’autopoiesi a una particolare classe omeostatica, Maturana ha poi difficoltà a estenderla ai sistemi sociali e psichici. Tanto più rimarrà senza risposta la peculiarità ontologica della persona.

Il problema dell’autonomia di un sistema comporta quello della capacità di risposte individuali. Tuttavia ottenere rielaborazioni individualizzate di un dato ambientale è molto costoso, e in natura non è la regola quanto l’eccezione: di solito tutti i ragni reagiscono in un determinato modo al movimento di una mosca in quanto la struttura pulsionale del loro sistema ha già a disposizione dei programmi epistemologici capaci di leggere direttamente dall’ambiente le informazioni rilevanti. In questi casi l’informazione non è propriamente metabolizzata dal singolo sistema, ma è come se fosse metabolizzata dalla specie, ad es. attraverso l’istinto, che in questo senso diventa un potente riduttore di complessità. Quando invece si ha veramente a che fare con delle risposte individuali significa che il dato ambientale ha attraversato una struttura epistemologicamente irripetibile, il che nel mondo biologico rappresenta una vera anomalia.

Ciò ripropone con ancora più forza l’interrogativo ontologico di fondo su che cosa sia un sistema in grado di svolgere elaborazioni così irripetibilmente raffinate come la persona. La particolarità del sistema personale consiste nel rovesciare la logica autopoietica, non limitandosi a vedere autoreferenzialmente le proiezioni fantasmatiche dei propri bisogni. Questo rovesciamento può essere rappresentato metaforicamente attraverso l’uscita dal famoso sommergibile di Maturana e Varela[3]: solo trascendendo la prospettiva della chiusura ambientale è possibile aprirsi al mondo. Tutta la ricchezza presente nella dimensione estetica eccede di gran lunga le esigenze della chiusura operativa del più raffinato sistema autopoietico e tuttavia non può essere derubricata a fantasticheria soggettiva.

L’impressione è che invece nella teoria dei sistemi la chiusura operativa si muova in un’altra direzione. A questo proposito qualche risposta ulteriore viene offerta da Luhmann quando asserisce che l’efficienza di un sistema, la sua “potenza”, è proporzionale alla capacità d’incrementare l’apertura degli scambi con l’ambiente, cioè alla sua capacità di ricevere stimoli e informazioni dall’ambiente e di rielaborarli restituendoli sotto forma di prodotti, decisioni, azioni, ecc. La questione decisiva risiede nel fatto che l’ambiente ha, per definizione, una complessità infinitamente superiore a quella del sistema, tanto che quest’ultimo può sfidarlo unicamente mettendo in atto strategie appropriate. Poiché l’ambiente offre un numero infinito di stimoli, se il sistema li prendesse in considerazione uno per uno, rimarrebbe paralizzato in brevissimo tempo, con il risultato di dissiparsi nell’ambiente. Il sistema nasce nel momento in cui esiste una chiusura operativa idonea a tracciare un primo confine fra l’enorme massa degli stimoli completamente irrilevanti (il rumore ambientale di sottofondo) e quelli rilevanti per il sistema. È solo eseguendo tale operazione che il sistema dimostra di esserci, cioè di essere asimmetrico rispetto allo sfondo, ma più tale operazione è grossolana minore sarà lo scambio con l’ambiente e quindi l’efficienza del sistema stesso. Si tratta essenzialmente di un problema temporale: se il sistema avesse una potenza infinita sarebbe in grado di esaminare e rielaborare all’istante tutte le infinite perturbazioni ambientali, quindi non avrebbe bisogno del tempo, ma il sistema è sempre limitato nei confronti dell’ambiente e quindi è costretto a dotarsi di un tempo sistemico e di un dispositivo selettivo.

Per Luhmann la potenza selettiva può essere incrementata grazie a un aumento di complessità sistemica: questo aumenta l’efficienza del sistema e quindi lo scambio con l’ambiente. All’aumento della capacità selettiva del sistema corrisponde una riduzione di complessità dell’ambiente, ed è solo grazie a questa strategia che il sistema è capace di tener testa alla sfida della complessità ambientale. Il sistema sopperisce al proprio deficit di complessità attraverso una strategia di codificazione e programmazione degli stimoli sussumendoli sotto categorie tipiche: ad es. un organismo riconosce gli stimoli in base alla propria rilevanza vitale e li codifica secondo i valori binari dell’utile-dannoso, vantaggioso-svantaggioso, ecc., così in base a questa codificazione il sistema sarà capace di effettuare una ricorsività delle proprie operazioni elaborando patterns pulsionali che tengano conto dei risultati delle operazioni precedenti. Sempre secondo Luhmann a questa riduzione di complessità dell’ambiente corrisponde invece un aumento della varietà delle risposte a disposizione del sistema, misurabile secondo la Law of Requisite Variety enunciata da Ashby[4].

Non resta allora che guardare in che direzione porta tale aumento di complessità: Luhmann pone al vertice i sistemi psichici e sociali che elaborano il senso attraverso la coscienza o la comunicazione. In questa prospettiva non viene però lasciato uno spazio ulteriore alla persona, la cui funzione risiede esclusivamente nel sistema sociale della comunicazione. In questo modo, esattamente come per i sistemi psichici e sociali, la complessità del sistema personale diventa direttamente proporzionale a quella che Luhmann chiama apertura ambientale (Umweltoffenheit).

Si potrebbe ipotizzare un sistema personale capace di violare la correlazione fra aumento di complessità del sistema e chiusura sistemica? Secondo Luhmann un sistema che violasse questa correlazione risulterebbe necessariamente un sistema inefficiente o parassitario come la burocrazia. Il problema è che nella teoria di Luhmann l’aumento di complessità del sistema è finalizzato alla codificazione degli stimoli e all’aumento della varietà delle risposte a disposizione. In questo senso l’aumento della complessità del sistema e della chiusura operativa consentirà certo un incremento produttivo delle relazioni con l’ambiente ma non un rovesciamento di prospettive dall’apertura ambientale (Umweltoffenheit) all’apertura al mondo (Weltoffenheit).

Un sistema personale non segue però le stesse strategie di riduzione di complessità dell’ambiente: ad es. nell’arte lo sguardo abitudinario e codificato viene sostituito da un occhio capace di vedere quella cosa lì come se fosse per la prima volta, cioè sottraendola alle tipicizzazioni predominanti e inserendola in contesti non ancora esplorati. Questo rovesciamento di prospettiva è ottenuto attraverso la messa fra parentesi momentanea del punto di vista del sistema e del suo raggio di rilevanza, in modo da far emergere un modo di darsi dei fenomeni non più riducibile ai bisogni autoreferenziali del sistema stesso. Nell’apertura al mondo si determina un rovesciamento della disposizione fondamentale per cui il sistema personale non si limita più a recepire attorno a sé solo la proiezione e il riflesso dei propri bisogni ma è in grado di cogliere anche la dimensione estetica oppure di disporsi nei confronti di un’altra persona in quell’atteggiamento di ascolto che consente di cogliere un’intenzionalità che altrimenti rimarrebbe celata. La peculiarità del sistema personale è quella di costituirsi proprio nel modo di ricevere “passivamente” questa ricchezza che eccede l’orizzonte della propria rilevanza autoreferenziale, si tratta di una violazione della propria chiusura operativa che obbliga contemporaneamente il sistema personale a un processo “attivo” di tras-formazione della propria identità.

4. L’identità personale: metabolismo ed esemplarità iconica

È proprio sul problema della tras-formazione dell’identità sistemica che è possibile individuare il passaggio dai sistemi autopoietici a quelli personali. L’identità dell’Io si dispiega nelle varie età dell’individuo, questo “dispiegamento” nel caso dell’identità personale non c’è in quanto la persona ha di fronte a sé un compito ben più impegnativo: non tanto sviluppare un’identità già data, quanto “nascere” una seconda volta dando forma a un nuovo percorso esistenziale e a un’identità che non potrà mai chiudersi completamente. In questo senso la persona può essere definita come una “totalità incompiuta”.

Ma con quali logiche la persona affronta questo compito? Per esplicitare meglio il problema propongo di distinguere il modello dall’esemplarità: un modello è universale nella misura in cui fa fare a tutti la stessa cosa, invece un’esemplarità diventa universale nella misura in cui contagia ognuno con risultati diversi, cioè spingendo ciascuno a ricercare il proprio percorso individuale di realizzazione. Ne deriva che la dissipazione di un sistema personale nei confronti dell’ambiente si verifica se la violazione della chiusura operativa è effettuata in riferimento a un modello, ma non a una esemplarità.

Se si ammette che i sistemi psichici siano autopoietici è implicito ritenere che lo sviluppo dell’età evolutiva attraverso l’influsso e il modello altrui non violi la chiusura operativa: se tale modello violasse la chiusura operativa non ci sarebbe sviluppo ma piuttosto distruzione dell’identità. Diverso è il caso dei sistemi personali: questi lasciano contagiare la propria identità dall’esemplarità altrui fino alla violazione della propria chiusura operativa, tuttavia possono permettersi di farlo in quanto l’esemplarità, al contrario del modello, non produce sottomissione e livellamento bensì, grazie a una forza iconica completamente assente nel modello, promuove un rafforzamento delle differenze qualitative, quindi maggiore autonomia. Più un sistema personale è contagiato dall’esemplarità altrui, più avrà a disposizione materiali per dar forma alla propria particolare identità.

In definitiva oggi ci troviamo nella situazione di dover ipotizzare che il sistema personale viola le leggi biologiche, esattamente come all’inizio del XX secolo si scoprì che l’organismo violava quelle termodinamiche. Naturalmente ciò va inteso cum grano salis: in un certo senso anche un aereo “viola” la legge di gravità, ma questo non mi indurrà a supporre l’esistenza di misteriose entità spiritiche o vitalistiche (come fece Hans Driesch all’inizio del Novecento con l’entelechia) che sollevano l’aereo, mi basterà farmi spiegare da un ingegnere in che modo lo spostamento d’aria provocato dalle eliche permette all’aereo di “violare” la legge di gravità. Altrettanto i sistemi organici violano le leggi fisiche e, in contrasto con il secondo principio della termodinamica, riescono a conservarsi in uno stato fantasticamente improbabile solo grazie al lavorio dell’organismo: si può dire che il “motore che fa volare” i sistemi negentropici sia la chiusura autopoietica. Ora lo stesso metodo va applicato al centro personale: se questo si caratterizza per violare addirittura le leggi autopoietiche dovrà esistere un “motore” che gli permette di ottenere questo risultato. Di quale “motore” si tratta?

La chiusura operativa dei sistemi autopoietici può essere interpretata nel senso del metabolismo: nella metabolizzazione il materiale ambientale originariamente estraneo viene ristrutturato secondo la logica sistemica. Nel sistema personale avviene qualcosa di analogo: l’ambiente della persona è rappresentato dai sistemi psichici e dalle funzioni, per cui la persona può essere definita come un sistema che, in base alla propria chiusura operativa, metabolizza le funzioni psichiche in atti. L’atto diventa in tal modo peculiare alla persona, e come tale ha una propria modalità di darsi completamente distinta dal piano psichico: l’atto non viene eseguito, come l’azione dell’Io, ma solo “co-eseguito” dalla persona.

Ma qui emerge un paradosso poiché se la persona, in modo analogo all’organismo, si distingue dall’ambiente in base alla propria chiusura operativa, è anche vero che non è in tale operazione che la persona costituisce la propria identità ultima, come invece avviene per l’organismo e l’Io. Caratteristica del sistema personale è infatti quella di essere una “totalità incompiuta”, nel senso che la possibilità di dare una forma alla propria identità eccede le capacità della propria chiusura autopoietica: nel dedicarsi alla cura sui il sistema personale è costretto a violare la propria chiusura operativa e a determinarsi in riferimento alla capacità di aprirsi al mondo attraverso un proprio percorso individuale.

In altri termini il fatto di essere una “totalità incompiuta” comporta un compito ulteriore rispetto a quello, ancora autopoietico, della metabolizzazione delle funzioni in atti: il dare forma alla propria identità incompiuta attraverso la “co-esecuzione” degli atti. La violazione della chiusura operativa deriva dal fatto che nella co-esecuzione la persona rimane contagiata, nel bene e nel male, dall’esemplarità concreta di una persona che è riuscita a raggiungere iconicamente una pienezza esistenziale significativa, ma tale violazione della chiusura operativa non comporta necessariamente una dissipazione del sistema in quanto, sfuggendo alle leggi del desiderio mimetico, promuove un’ulteriore accentuazione del processo di singolarizzazione.

Il motore che consuma le energie del sistema personale per trascendere la chiusura autopoietica è quindi individuabile nella co-esecuzione dell’atto. La violazione della chiusura operativa assume nel sistema personale un significato del tutto imprevisto: non viene attuata in direzione della sottomissione alla chiusura operativa di un altro sistema, bensì del trascendimento dell’apertura ambientale, rovesciando la Umweltoffenheit di Luhmann in Weltoffenheit.

La persona s’avvale di una chiusura operativa autopoietica solo nel processo di differenziazione dai sistemi psichici, quindi nella metabolizzazione delle funzioni psichiche in atti ma poi, nel darsi quella forma che non possiede fin dalla nascita, s’affida a quell’apertura compartecipativa verso gli altri sistemi personali che si fonda sull’esemplarità. Il motivo risiede nella natura stessa dell’atto: l’atto non viene eseguito (come invece accade per un’azione o una funzione psichica), ma per l’appunto co-eseguito. In altri termini nella co-esecuzione la persona non auto-organizza gli atti autopoieticamente, ma li organizza compartecipativamente, nel senso di farsi contagiare da un’esemplarità che aiuta a distinguere le differenze qualitative necessarie al processo di costituzione della propria identità personale.

Questo significa che un sistema personale nel rapportarsi ai propri atti inaugurerà qualcosa di ontologicamente imprevisto: un sistema personale non è nuovo nei confronti dei propri atti, ma solo nei confronti dei materiali ambientali che metabolizza in atti, esattamente così come un organismo è ontologicamente nuovo nei confronti delle risorse che attinge dall’ambiente. Invece nel rapportarsi ai propri atti, nella co-esecuzione, il sistema personale dimostra di possedere una particolarità che lo distingue da tutti gli altri enti: si svela un ente ontologicamente innovativo in quanto è in grado di dar forma a un nuovo inizio, a un nuovo stile di vita.


 

[1]Per limitarmi solo ai più recenti: L. R. Baker, Persone e corpi (2000), tr. it. Bruno Mondadori, Milano 2007; R. Sokolowski, Phenomenology of the Human Person, Cambridge University Press 2008; R. De Monticelli, C. Conni, Ontologia del nuovo, Bruno Mondadori, Milano 2008.

[2]E. Schrödinger, Che cos’è la vita? (1944), tr. it. Adelphi, Milano 1995; H. Jonas, Organismo e libertà (1966), tr. it. Einaudi, Torino 1999.

[3] H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza (1984), tr. it. Garzanti, Milano 1992, p. 124.

[4] Cfr. W. R. Ashby, Introduzione alla cibernetica (1956), Einaudi, Torino 1971.

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