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Il cinguettio dell’universo. Le onde gravitazionali tra teoria, tentativi ed errori

Autore


Mario Graziano

Università degli Studi di Messina

Ricercatore in Logica e Filosofia della Scienza presso il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali dell’Università degli Studi di Messina

Indice


  1. Introduzione
  2. La relatività generale
  3. La rilevazione delle onde gravitazionali
  4. Gli interferometri ottici

 

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S&F_n. 15_2016

Abstract


The Tweet of the Universe. Gravitational Waves between Theory, Efforts and Mistakes


The recent discovery of gravitational waves fills a substantial gap in the theory of general relativity, since these waves were the only phenomenon predicted by Einstein’s theory that had not yet been directly observed. This was mainly due to the fact that the passage of waves is an elusive phenomenon, almost imperceptible, up to the point that even Einstein thought that it was almost impossible to detect it using “traditional” tools. This paper will explore the efforts made over the years to detect the passage of these waves, the mistakes made, and the recent results obtained through the use of the twin optical interferometers LIGO and VIRGO. This extraordinary discovery shows one more time that the history of science is full of trials, errors and sudden steps forward maybe due to the use of new technology. 


  1. Introduzione

La recente scoperta delle onde gravitazionali va a colmare un pesante vuoto della teoria della relatività generale giacché era l’unico fenomeno previsto dalla teoria di Einstein che non si era ancora riuscito a osservare direttamente. Il passaggio delle onde è, infatti, un fenomeno molto debole da intercettare, impercettibile, tanto che lo stesso Einstein pensava fosse quasi impossibile da captare attraverso una strumentazione “normale”.

Le onde gravitazionali sono differenti dalle più comuni onde elettromagnetiche. Quest’ultime, infatti, sono oscillazioni del campo elettromagnetico che si propagano nello spazio-tempo e sono, quindi, facilmente assorbite, diffuse e disperse dalla materia. Al contrario, le onde gravitazionali sono oscillazioni del tessuto spazio-tempo che si propagano nell’Universo astrofisico, senza significativa attenuazione o dispersione.

A causa della piccolissima interazione tra gravitazione e materia la rivelazione delle onde gravitazionali è, pertanto, assai difficile poiché è possibile rilevare soltanto onde generate da sorgenti cosmiche particolarmente energetiche e a condizione di avere a disposizione strumenti estremamente sensibili. Nonostante queste difficoltà, la ricerca sperimentale è stata molto attiva.

In quest’articolo proveremo a tracciare sinteticamente la storia dei tentativi messi in atto nel corso degli ultimi 50 anni, iniziando dai primi pioneristici esperimenti di Joseph Weber (risalenti agli anni 60 del secolo scorso), passando per le antenne risonanti del gruppo di Frascati, fino all’utilizzo attuale degli interferometri LIGO e VIRGO a cui si deve la prima rivelazione diretta delle onde gravitazionali. Questa eccezionale scoperta dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, che la storia della scienza è costellata di tentativi, di errori e di brusche accelerazioni dovute magari alle nuove tecnologie disponibili.

 

  1. La relatività generale

Albert Einstein ha formulato la teoria della relatività generale in un lasso di tempo che va dal 1907 al 1915. Il punto di partenza della riflessione di Einstein è costituito dalla redazione, nel 1907[1], di un articolo critico, che aveva al centro di discussione la “teoria della relatività ristretta”. In questo saggio, infatti, Einstein tenta di inquadrare in una nuova cornice esplicativa la formulazione delle leggi fisiche, allontanandosi dalle spiegazioni fornite in precedenza da Galilei, Cartesio e Newton. Ancor prima di Einstein lo stesso tentativo era stato compiuto da Lorentz (1900) e da Poincaré (1905)[2]. Tuttavia, nel 1907, Einstein si rese conto di come l’interazione gravitazionale possedesse delle caratteristiche tali da suggerire la necessità di generalizzare il quadro e la struttura della relatività ristretta. Dopo alcuni anni di riflessione, nasce così la teoria della relatività generalizzata (o appunto relatività generale), in cui Einstein attua una profonda modificazione della struttura spazio-temporale della teoria della relatività ristretta: lo spazio-tempo, infatti, da semplici fattori neutri, dati a priori, e indipendenti da ogni contenuto materiale, divengono nella teoria einsteiniana un campo fisico ben identificato (il campo gravitazionale), dinamicamente influenzato e, a sua volta, capace di influenzare la distribuzione della materia-energia.

Questa concezione radicalmente nuova della struttura dello spazio-tempo rimase, tuttavia, per molti anni ai margini delle spiegazioni fisiche[3]. La relatività generale apparve, infatti, per molto tempo una teoria non confermata dall’esperienza e di non facile applicazione finché questa situazione di marginalizzazione scientifica non scomparve e divenne attore indiscusso e principale delle scoperte fisiche del Novecento.

Numerosi test sperimentali di alta precisione, nel corso del secolo scorso, hanno confermato nei minimi dettagli la pertinenza della teoria della relatività generale, facendo di questa il mezzo privilegiato per la descrizione dell’universo macroscopico, del bing bang, dei buchi neri, del sistema solare, delle stelle, della descrizione della materia e di tutte le sue interazioni, compresa quella gravitazionale.

Un assunto fondamentale della teoria della relatività generale, così come formulata da Einstein, implicava tuttavia un fenomeno non facilmente sperimentabile, vale a dire l’esistenza di onde di deformazione della geometria dello spazio-tempo: le onde gravitazionali. Quest’ultime, matematicamente, erano analoghe alle onde elettromagnetiche ma, concettualmente, significavano qualcosa di rimarcabile poiché si sottintendeva il carattere “elastico” dello spazio-tempo. Difatti, prima della formulazione di Einstein, lo spazio-tempo era concepito come una struttura rigida, data a priori, non influenzata dal contenuto materiale dell’Universo. Con Einstein, al contrario, la distribuzione di materia (o più generalmente di massa-energia) cambia nel corso del tempo, deformando in tal modo la crono-geometria dello spazio-tempo nelle sue immediate vicinanze, propagandosi in tutte le direzioni a partire dal sistema considerato, e allontanandosi all’infinito sotto forma di onde le cui oscillazioni rispecchiano le variazioni temporali della distribuzione di materia.

Lo studio di queste onde, nella formulazione fornita da Einstein, poneva pertanto tre diversi ordini di problemi: il primo riguardava la loro “generazione”, il secondo la loro “propagazione” e, infine, ma non ultimo, quello della loro “rilevazione”.

 

  1. La rilevazione delle onde gravitazionali

La teoria della relatività generale di Einstein permetteva di “riconciliare” la teoria della relatività ristretta di Poincaré con la teoria della gravità di Newton, nella quale le forze si trasmettono a una velocità infinita. In questo modo, Einstein formulò una concezione geometrica della gravitazione, dove le forze di gravità sono descritte dalla struttura stessa dello spazio-tempo, dalle sue curvature. Ciò ha consentito di spiegare alcuni fenomeni fisici importanti (come, ad esempio, l’avanzare del perielio di Mercurio) e di chiarirne altri ancora poco noti (ad esempio, la curvatura dei raggi luminosi in presenza di massa, l’espansione dell’Universo, l’esistenza dei buchi neri). L’unico fenomeno che, al contrario dei precedenti, per molto tempo è rimasto fuori dall’osservazione diretta è quello che concerne l’esistenza delle onde di deformazione dello spazio-tempo, vale a dire le onde gravitazionali.

La rilevazione di quest’ultime ha rappresentato per molto tempo l’ultima delle grandi previsioni fatte dalla teoria della relatività generale non direttamente verificabile. Prima delle attuali scoperte, infatti, la sola prova della loro esistenza era indiretta e risaliva al 1974, anno in cui gli astronomi Russell Hulse e Joseph Taylor, lavorando all’enorme radiotelescopio di Arecibo in Portorico, osservarono la contrazione dell’orbita di alcune pulsar[4] in sistemi binari di stelle, rilevando in tal modo un segnale radio a 17 Hz.

Da questa osservazione, i due studiosi conclusero che quando due stelle di neutroni formano un sistema binario, entrambe ruotando vorticosamente su orbite ellittiche intorno al centro di massa del sistema, in queste condizioni, la perdita di energia del sistema è perfettamente descritta dall’emissione delle onde gravitazionali così come predetto dalla teoria della relatività generale[5]. Questi risultati valsero ai due astronomi il premio Nobel per la fisica nel 1993.

La ricerca “diretta” delle onde gravitazionali prende, invece, il via un decennio prima dell’osservazione di Hulse e Taylor e si deve a Joseph Weber considerato da molti l’iniziatore dell’elettronica quantistica. Weber, nel 1965, costruì presso l’università del Maryland negli USA un grande cilindro d’alluminio di 50 centimetri di diametro per 2 metri di lunghezza, sospeso in una camera da vuoto e ricoperto da ceramiche piezoelettriche ultrasensibili, capace, secondo l’autore, di rispondere con una oscillazione delle sue estremità alle onde gravitazionali provenienti dal centro galattico. Weber pensava, in tal modo, di aver ottenuto effetti positivi del passaggio delle onde e nel 1967 pubblicò un articolo in cui espose i suoi risultati in favore della rivelazione delle onde gravitazionali[6]. Tuttavia, i segnali ottenuti dal cilindro di alluminio “risonante” di Weber erano molto più grandi di quelli attesi. Come dimostrato da vari esperimenti simili condotti, successivamente, in diversi paesi, si trattava di un’errata interpretazione dei risultati e, quindi, di un errore sperimentale. Nello specifico, una esplosione di una supernova[7] nel centro galattico dovrebbe produrre nel migliore dei casi un’onda di ampiezza 10-18 mentre le barre di Weber potevano rilevare onde di ampiezza 10 volte più grandi. Inoltre, gli eventi che danno origine alle onde gravitazionali non sono molto comuni: esplosioni di supernovae nelle galassie più vicine, ad esempio, si verificano solo una volta all’anno e l’ampiezza delle onde che si vengono a creare è molto piccola.

Per non ripetere errori simili e allontanarsi da cattive interpretazioni e, contemporaneamente, per diminuire il rumore termico che limitava la sensibilità dei rilevatori alla Weber, nei primi anni 70 del secolo scorso, William Fairbank e William Hamilton proposero allora di ricorrere a degli impianti criogenici, vale a dire a degli impianti capaci di realizzare e mantenere temperature molto basse[8]. Il primo a seguire la strada indicata da Fairbank e Hamilton fu, ancora una volta, Weber che raffreddò il cilindro portandolo a una temperatura di 77 K. Purtroppo, anche in questo caso, i risultati non furono eccezionali perché ai problemi legati ai rumori termici si affiancarono i problemi dovuti ai disturbi associati ai sistemi di raffreddamento. Tuttavia, la volontà di risolvere questi problemi ha portato allo sviluppo, negli anni 80 del secolo scorso, di una strumentazione migliore e più efficace come, ad esempio, le antenne di II generazione a più bassa temperatura di funzionamento.

A promuovere questa nuova impresa è stato, tra gli altri, l’italiano Edoardo Amaldi che affascinato dalle ricerche di Weber lo raggiunse nel 1961 a Varenna per seguire un suo corso, e che successivamente con l’ausilio del collega Remo Ruffini entrò in contatto anche con Fairbank e Hamilton.

Amaldi nel 1971 decise, insieme ai colleghi Massimo Cerdonio, Renzo Marconero e Guido Pizzella, di realizzare in Italia un esperimento analogo a quello che Fairbank e Hamilton stavano realizzando a Stanford e Louisiana e che aveva al centro una grossa antenna ultracriogenica da cinque tonnellate dotata di trasduttore a SQUID. Venne costituito, quindi, un gruppo di ricerca denominato ROG (Ricerca Onde Gravitazionali) avente come sede i laboratori di Frascati. Tuttavia, l’assemblaggio del primo rivelatore criogenico creato dal gruppo ROG, EXPLORER, iniziò solo 9 anni più tardi al CERN in quanto sui laboratori di Frascati imperversava all’epoca una difficile situazione politica. Circa dieci anni dopo, sempre al CERN nasceva NAUTILUS che, contrariamente a EXPLORER, venne installato a Frascati su invito dell’allora direttore Enzo Iarocci. Lo spostamento del NAUTILUS a Frascati ha enormemente potenziato la ricerca del gruppo ROG poiché per la prima volta vi era la possibilità di cercare le onde gravitazionali mediante l’uso delle coincidenze di NAUTILUS con EXPLORER situato a una grande distanza. La migliore sensibilità raggiunta dalle antenne EXPLORER e NAUTILUS (insieme agli altri esperimenti fatti sempre con antenne risonanti come ad esempio le antenne ALLEGRO della Louisiana, AURIGA di Padova, NIOBE di Perth), l’utilizzo di una tecnologia più avanzata (trasduttori elettromeccanici e amplificatori dc-SQUID a basso rumore) e di nuovi sistemi di sospensione hanno sicuramente giocato un ruolo notevole nella ricerca delle onde gravitazionali. Tuttavia, bisognerà aspettare l’entrata in campo dei grandi interferometri per raggiungere gli eccezionali livelli attuali di rilevazione.

 

  1. Gli interferometri ottici

A partire dagli anni ‘90 del secolo scorso, lo sviluppo tecnologico portò alla creazione di strumenti sempre più sensibili dotati di una banda di frequenza di rivelazione più larga. Era oramai divenuto lapalissiano che per cercare di aumentare la sensibilità dei rivelatori bisognasse combattere in tutti i modi possibili il “rumore” ed eliminare tutti i potenziali disturbi che potessero intralciare il captare quel sottilissimo bisbiglio, quasi un cinguettio in mezzo a un traffico infernale, legato al passaggio delle onde.

Per far ciò vennero messi a punto apparecchi ultrasensibili messi in coincidenza tra loro in maniera tale che conoscendone la distanza si potesse calcolare il ritardo con cui il segnale di un’onda compariva nei vari luoghi e avere così a disposizione un ulteriore strumento di abbattimento del rumore. Divengono, pertanto, operanti in diversi punti della Terra gli interferometri a raggi laser terrestri[9].

Gli interferometri usano raggi laser per misurare variazioni nella differenza tra le lunghezze di due bracci perpendicolari (o quasi perpendicolari) e il loro principio di funzionamento è in realtà molto semplice. Come chiarisce il fisico italiano Guido Tonelli:

un fascio laser viene suddiviso in due e inviato in direzioni perpendicolari. I due fasci percorrono alcuni chilometri nel vuoto più spinto, poi vengono riflessi da specchi speciali e tornano indietro per incontrarsi di nuovo. L’incrocio dei fasci produce fenomeni di interferenze che dipendono dalle più piccole differenze di cammino ottico. Se passa un’onda gravitazionale, la distorsione dello spazio-tempo allunga uno dei due bracci e accorcia l’altro, e dalla minuscola differenza nasce un segnale[10].

 

Gli interferometri dedicati alla ricerca di onde gravitazionali sono senza dubbio fra i più raffinati strumenti che si è riusciti a ideare. Attualmente i principali progetti di rivelatori a interferometri terrestri sono i seguenti:

 

  1. Il progetto germano-britannico GEO600, costruito ad Amburgo, i cui bracci dell’interferometro misurano circa 600 metri.
  2. Il progetto giapponese TAMA, costruito a Tokyo e le cui braccia hanno una lunghezza di 300 metri.
  3. Il progetto australiano AIGO, situato a Perth, le cui braccia hanno una lunghezza di 5 km (da notare che quello australiano è il solo interferometro costruito nell’emisfero sud).

 

Tuttavia, i risultati (almeno a oggi) più importanti sono stati ottenuti dal progetto americano LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), costituito da tre interferometri situati rispettivamente due a Hanford (di cui uno con bracci lunghi 2 km e l’altro con bracci di 4 km ma che condividono lo stesso sistema a “vuoto”) e uno a Livingston con bracci di 4 km e dal progetto italo-francese VIRGO costruito a Cascina, non lontano da Pisa, che dispone di bracci di 3 km e sistemi di isolamento vibrazionale avanzato che lo rendono più sensibile a frequenze più basse. Nello specifico, VIRGO si caratterizza per avere una più ampia banda di rivelazione (da 10 Hz a 6 kHz) in particolare nella regione di bassa frequenza (da 10 a 500 Hz), disponendo quindi di una maggiore sensibilità in virtù anche dell’adozione di un sistema di superattenuatori capaci di ridurre il rumore sismico.

Grazie alla collaborazione del progetto LIGO e del progetto VIRGO, lo scorso 11 febbraio, i circa 1000 ricercatori hanno finalmente coronato il loro sogno di poter annunciare ufficialmente, in una conferenza stampa gemella tenuta quasi contemporaneamente a Pisa e negli Stati Uniti, la scoperta delle onde gravitazionali. In realtà, la rilevazione reca la data del 14 settembre dell’anno scorso quando i due interferometri LIGO hanno registrato un cinguettio gorgogliante prodotto dalla nascita catastrofica di un buco nero di circa 62 masse solari, prodotto dalla fusione di due buchi neri più piccoli (di massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari), avvenuto nella galassia qualche miliardo di anni fa ma finendo per investire il nostro pianeta, appunto, lo scorso settembre.

A questa prima rilevazione ne è seguita un’altra a distanza di pochi mesi (per l’esattezza il 26 dicembre 2015) e anche in questo caso le onde gravitazionali sarebbero state emesse dalla fusione di due buchi neri avvenuta circa un miliardo e mezzo di anni fa.

Questi risultati che rappresentano una pietra miliare nella storia della fisica faranno, molto probabilmente, guadagnare il premio Nobel ai numerosi studiosi che hanno collaborato a questa fantastica e quasi “immaginifica” impresa scientifica collettiva.


[1] Sull’origine concettuale da parte di Einstein della teoria della relatività generale è utile la lettura di A. Einstein, The origins of the general theory of relativity: being the first lecture on the George A. Gibson foundation in the University of Glasgow, delivered on June 20th, 1933, Jackson, Wylie and Co., Glasgow 1933; oppure di S.M. Carroll, Spacetime and geometry: an introduction to general relativity, Pearson Education, Harlow 2014.

[2] Questo compito di riformulazione, soprattutto circa la legge newtoniana di gravità, proseguì fino al 1915 nelle ricerche di Max Abraham, Gunnor Nordstrom e Gustav Mie.

[3] Ciò accadde perché si riuscì a scoprire molti fenomeni fisici nuovi attraverso il quadro concettuale dello spazio-tempo così come concepito dalla teoria della relatività ristretta.

[4] Le pulsar sono delle stelle altamente magnetizzate, estremamente compatte, che ruotano su se stesse emettendo impulsi di radiazione elettromagnetica.

[5] R.A. Hulse, J.H. Taylor, Discovery of a Pulsar in a Binary System, in «Astrophysical Journal», 195, 1975, pp. 51-53.

[6] J. Weber, Gravitational radiation, in «Phys. Rev. Lett.», 18, 1967, pp. 498-501.

[7] Una supernova è un’esplosione stellare molto energetica.

[8] Vedere W. M. Fairbanks, Proc. Of the VI International Conference on General Relativity and Gravitation, 1971, Copenhagen.

[9] Al contrario, la missione LISA, coordinata da ESA e NASA, si poneva invece come obiettivo quello di porre nello spazio un interferometro laser per rivelare onde gravitazionali attorno al mHz di frequenza.

[10] G. Tonelli, La nascita imperfetta delle cose. La grande corsa alla particella di Dio e la nuova fisica che cambierà il mondo, Rizzoli, Milano 2016.

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